(di Agostino Spataro*) - SARKOSZY: IL SUPERPRESIDENTE CHE NON VUOLE PERDERE LE ELEZIONI

Torniamo alla tragica attualità della Libia, di questo nostro inquieto Mediterraneo dove si vuol fare una guerra per rovesciare un vecchio e screditato dittatore come Gheddafi. Se dovesse passare questo principio, di guerre se ne dovrebbero fare almeno una trentina in giro per il mondo.

Come quella che gli stessi “volenterosi” hanno fatto in Iraq, provocando la morte di centinaia di migliaia di vittime innocenti. In Iraq la volle Bush junior, in Libia la vuole, fortissimamente, Sarkoszy, il “superpresidente” francese che non si capisce dove voglia andare a parare. Una scelta avventurosa la sua che si colloca fuori della tradizionale politica estera francese, da De Gaulle in poi, e della sensibilità del popolo francese che, ieri, in una elezione amministrativa parziale, ha sanzionato il partito di Sarkoszy, che ha perso un sacco di voti a favore di quello della signora Le Pen che per poco non lo ha sopravanzato. Insomma, la campagna elettorale non è facile come la guerra aerea: qui non si bombarda dall’alto e poi si scappa, ma bisogna combattere sul terreno, corpo a corpo, per conquistare i voti, uno per uno. I dittatori, di qualsiasi risma e colore, li devono abbattere i popoli sottomessi, con mezzi propri e rischiando quello che c’è da rischiare. La comunità internazionale può solo offrire la sincera solidarietà e, in caso di genocidio, l’intervento umanitario per evitarlo. E dalle poche notizie vere giunte dai luoghi del conflitto (non da quelle artefatte della Tv del feudo privato del clan dei Khalifa. Altro che dittatura!) in Libia non era in atto un genocidio, per come lo intende la giurisprudenza internazionale. Gli ebrei, che il genocidio l’hanno subito, potrebbero, meglio chiarire il significato, orribile, di questa parola. In una parte della Libia (la Cirenaica) è scoppiata l’unica rivolta armata del mondo arabo (chi ha fornito le armi e perché?), molto segnata dal fattore etnico/secessionista contro la quale si è mosso, rozzamente, Gheddafi con le conseguenze che tutti conosciamo. Una situazione che può verificarsi ovunque, anche nella nostra civilissima Europa (in Italia, Spagna, Belgio, Gran Bretagna e in diversi Paesi dell’Europa centro-orientale). Se, malauguratamente, dovesse accadere cosa dovrebbe fare il governo legittimo? Starsene con le mani in mano in attesa che arrivi, coi suoi aerei, questo o un altro Sarkoszy a bombardare l’Italia per portare soccorso agli insorti? Perciò, la vicenda libica lascia perplessi, sia per il modo in cui è stata gestita, sia per come la si vorrebbe concludere.

AL POSTO DI GHEDDAFI UN CONSIGLIO DI RICONCILIAZIIONE NAZIONALE

In ogni caso, l’Onu avrebbe dovuto, e potuto, deliberare subito una risoluzione per il cessate il fuoco ed inviare sul posto, invece di aerei e navi lancia missili, delegazioni di pace col mandato di trattare con le parti in conflitto una soluzione politica concordata. Con al primo punto l’uscita di scena del colonnello Gheddafi per insediare, al suo posto, un Consiglio provvisorio unitario, sul piano politico e geo-politico, che portasse il Paese alla riconciliazione nazionale sulla base di una nuova Costituzione per una riforma democratica, pluralista e laica dello Stato. Spiace rilevarlo, ma i fatti ci dicono che, negli ultimi anni, le Nazioni Unite sempre più stentano a svolgere, con giudizio ed equità, la loro missione di pace, riducendosi a un ente fornitore di autorizzazioni e legittimità presunte per guerre comunque camuffate. Dando così ragione a quanti non vogliono più pagare la retta per mantenerle in vita. Il caso della risoluzione n. 1973 del Consiglio di Sicurezza sulla Libia, (adottata a maggioranza con 10 voti a favore e 5 astensioni) è un esempio di tale preoccupante decadenza. In forza di quel voto, si sostiene che la “comunità internazionale” ha dato mandato ( a chi?) d’intervenire in Libia con un preciso limite operativo come abbiamo visto ripetutamente violato.

CRISI E DECADENZA DEL RUOLO ISTITUZIONALE DI PACE DELL’ ONU

A parte gli aspetti formali, mi domando: i dieci Paesi favorevoli in che misura rappresentano i sentimenti della Comunità internazionale ossia dell’intera umanità? Vediamoli: Bosnia-Erzegovina, Colombia, Gabon, Libano, Nigeria, Portogallo, Sud-Africa, più i tre membri permanenti Francia, Regno Unito e Usa. Si sono astenuti, cioè non hanno approvato: Brasile, Germania, India, più i due membri permanenti Cina e Russia. Da segnalare la singolare posizione del Portogallo, membro della Nato e della U.E, il quale ha votato per l’intervento militare, ma si è rifiutato di prendervi parte. Non è questa l’unica condotta contraddittoria dei paesi favorevoli i quali, ai sensi dello statuto dell’Onu, potevano varare la controversa risoluzione, ma avrebbero dovuto tener conto della esiguità della loro rappresentatività demografica (circa 650 milioni di persone) contro quasi tre miliardi dei paesi astenuti, contro sei miliardi dell’intera popolazione mondiale. In un regime democratico il principio fondante è: una testa un voto. Così dovrebbe essere anche all’Onu. E’ augurabile che, con la riforma da tutti auspicata e mai varata, si possa dare alle Nazioni Unite quella funzione di rappresentanza effettiva, democratica, che tenga conto anche della nuova geopolitica e del peso demografico delle nazioni. Poiché la “comunità internazionale” non è data da un ristretto gruppo di Stati e di statisti più potenti o più intriganti, ma da tutti gli uomini e le donne che vivono su questo Pianeta. ANNO 2003:

INIZIA LA “RECONQUISTA” DEGLI STATI PETROLIFERI CANAGLIA

Che anno funesto quel 2003! Iniziò con la guerra d'occupazione dell’Iraq, scatenata da George W. Bush, sulla base di un falso eclatante (costruito ad arte, anche con la partecipazione italiana) e senza la piena condivisione della cosiddetta “comunità internazionale”. Per esportare la democrazia si disse. In realtà, per mettere le mani sopra le imponenti riserve di petrolio irachene equivalenti a quasi il 10% del totale/mondo. Perciò, il signor Bush, la cui famiglia d’affari petroliferi molto s’intende, fece carte false pur di togliere di mezzo quel dittatore scomodo (o non più comodo come lo fu durante otto anni di guerra contro l’Iran) di Saddam Hussein e appropriarsi di quel gran bene celato sotto i deserti della Mesopotamia. Non contento del disastro iracheno (si parla di diverse centinaia di migliaia di morti innocenti), Bush estese le sue mire minacciose su alcuni Paesi arabi non perfettamente allineati al suo disegno strategico di controllo politico e militare delle risorse energetiche. Tra questi, ovviamente c’era la Libia che da sola produceva circa 2 milioni di barili/giorno di petrolio e poteva vantare importanti riserve accertate (3,5% del totale/mondo) di molto superiori di quelle Usa in esaurimento. Un piatto troppo ghiotto per lasciarlo gestire a un Gheddafi che vende quasi tutto il suo petrolio a Italia e Cina e che agisce d’intesa col suo amico Putin che stava per mettere sulle risorse libiche una pesante ipoteca commerciale. L’intervento è anche un monito a quell' Eni, da sempre irriverente verso i cartelli, il quale, oltre agli accordi coi libici, si era permesso di sottoscrivere accordi impegnativi, di ricerca e produzione, col governo di Hugo Chavez, "dittatore" eletto del Venezuela, che tanto fastidio procura alle compagnie e ai governi Usa. Visto che parliamo di riserve petrolifere è bene tenere a mente che prima dell’Iraq vengono il Venezuela (15%) e l’Iran (10%). Tutti Paesi sovrani che l’amministrazione Usa ha inserito nella lista nera o degli Stati- canaglia. Se dovesse passare il disegno di “riconquista” di questi Paesi molte cose potrebbero cambiare nel mondo. Anche l’Italia risentirà di tali cambiamenti, nel senso che potrà continuare ad approvvigionarsi di gas e di petrolio, ma per farlo i nostri dovranno probabilmente andare a Parigi o a Washington e non più direttamente alla fonte: a Tripoli, a Caracas, a Teheran.

PONTI D’ORO A GHEDDAFI TERRORISTA DICHIARATO

Ma ritorniamo al dittatore libico, che pazzo non è mai stato, semmai furbo e rozzo, il quale, capita l’antifona contenuta nella minaccia di Bush, corse ai ripari: si dichiarò disponibile a distruggere gli impianti di produzione di armi chimiche (che nel mondo possiedono ben 132 Paesi) e si accollò perfino la responsabilità dei due terribili attentati ad aerei di linea (Loockerbie e Uta). Era questa la verità o solo un’assunzione di colpa sotto minaccia, come dissero taluni uomini dell’entourage del colonnello? Fatto sta che Gheddafi accettò quella tremenda responsabilità, addirittura risarcendo le famiglie delle vittime, e dunque ammise, ufficialmente, che la Libia era un Paese governato da un dittatore sanguinario e terrorista internazionale. Di fronte ad un' ammissione così grave, c’era da aspettarsi la più severa condanna, morale e politica, la messa al bando di Gheddafi da parte della famosa “comunità internazionale”, della stessa Onu; almeno dei Paesi occidentali (soprattutto Usa, Francia e Inghilterra) ai quali appartenevano le vittime. Invece nulla. L’Inghilterra, addirittura, liberò dall’ergastolo l’unico imputato libico in carcere per gli attentati. Per il colonnello non fu richiesto nemmeno il deferimento al Tribunale internazionale dell’Aja, emanazione dell’Onu, che gli Usa non accettano salvo ad appellarvisi per perseguire le responsabilità di altri (solitamente dittatori caduti in disgrazia). Insomma, la politica dei due pesi e due giustizie. Anche questo non è un bel modo di stare nella comunità internazionale, addirittura di volerla guidare.(continua/2) * Agostino Spataro, giornalista e scrittore, direttore di “Informazioni dal Mediterraneo”( www.infomedi.it) già componente delle Commissioni Esteri e Difesa della Camera dei Deputati.