È con grande emozione che oggi sono Valguarnera, ospite di una delle più belle terrazze che si possano immaginare, per partecipare alle celebrazioni per la giornata del Siciliano nel mondo, nella giornata dedicata alla Regione Sicilia, e per questo ringrazio la Presidenza e gli organi direttivi del CARSE, e in particolare il Presidente Salvatore Augello,

dal quale ricevo oggi un riconoscimento per me prezioso. Ringrazio la Giornalista Dott.ssa Sandra Pizzurro, che occupandosi della moderazione dell'incontro, con una attenzione e forza empatica eccezionale mi ha voluto introdurre ripescando una frase di una vecchia intervista da me rilasciata diversi anni fa e che ancora oggi, parafrasata ritorna nel contributo che per questa premiazione avevo tracciato. Essere una siciliana nel mondo è una scelta, un percorso, una responsabilità. Sono nata nella Sicilia della metà degli anni ’70, con forti radici, corroborate dai valori della resistenza, della lotta per il lavoro e la giustizia sociale, dell’impegno quotidiano per un futuro migliore per tutti, della solidarietà e della curiosità, dell’onestà. Da bambina mi guardavo intorno e mi dicevo: “Qui si è sempre fatto così, ma sono sicura che esistano luoghi dove ciò che qui è norma non è più normalità, dove le persone pensano e agiscono diversamente”. Forse è questo che mi ha spinta a partire. Appartengo alla generazione Erasmus, Europea per nascita e vocazione, nel 2001 misi i miei valori, i sogni, la mia casa nello zaino e partii. Mi dissero: “Non tornerai più.” Tempo e luogo, le scelte ci formano ma le radici restano. Ero carica di curiosità e di sensi di colpa: la mia generazione stava lasciando in massa la Sicilia. 10 anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio; Marcelle Padovani, si chiedeva dove fossero finiti i Ragazzi e le Ragazze del ’92. Io sentivo il peso di quella domanda e continuavo a non volere asciare del tutto la mia terra. Molti emigrati di questo tempo vivono due vite in una, desiderando di essere a casa ovunque e finendo troppo spesso per restare stranieri dappertutto. Altri troncano apparentemente ogni legame con la terra di origine, perché guardare indietro sembra troppo doloroso o perché troppa è la rabbia con la quale si è partiti. Potrei aprire una lunga riflessione sul significato del turismo delle radici, che pur dietro buone intenzioni viene oggi proposto dal nostro governo in modo troppo vago e superficiale: una promozione di mercato che non esplora il sincero e spesso doloroso, faticoso legame di ogni migrante con le origini. Il 2008 fu un anno per me importante. Fra le altre cose, fui candidata alle elezioni politiche per la Camera dei deputati. Tra i miei più stretti compagni di campagna elettorale, insieme al Sen. Claudio Micheloni, ci furono Michele Schiavone, compianto Segretario Generale del CGIE, con cui ero stata candidata, e Maurizio Chiocchetti, allora Responsabile del PD Mondo, da cui ricevetti la chiamata con la proposta di affrontare l’avventura della candidatura. Michele e Maurizio ci hanno prematuramente lasciati, entrambi in seguito a lunghe malattie, questo marzo a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Maurizio Chiocchetti aveva in qualche modo rivoluzionato il paradigma delle candidature, puntando su diverse giovani professioniste in giro per il mondo; Michele Schiavone, da giovane emigrato e una vita trascorsa in politica, ha fatto tanto per il mondo dell’emigrazione. Tanti qui lo ricordano per la sua presenza rassicurante, il garbo e la generosità con la quale si è speso fino all’ultimo respiro. Due compagni di viaggio e due amici, due politici integri e generosi dell’emigrazione e dell’associazionismo regionale che non possiamo non ricordare in una giornata come questa. In quel marzo del 2008 ricevetti la telefonata di un’altra persona a me estremamente cara e vicina, Giacomo Di Benedetto, il mio zio più giovane, in quelle settimane anche lui in campagna elettorale, ma per l’ARS. Proprio lui mi propose di mettermi in contatto con l’USEF, realtà che ha sempre sostenuto fortemente. Fu così che conobbi il Sen. Angelo Lauricella e Salvatore Augello. Pochi mesi dopo, in occasione della preparazione del convegno giovani, entrai a far parte dell’USEF. Da allora l’associazionismo regionale divenne la mia uniforme, risvegliando un elemento identitario che da quel momento in poi avrei coltivato con maggiore consapevolezza e più apertamente, attraverso l’associazionismo regionale. Insieme ad un bel gruppo di siciliani e non solo, facemmo rinascere l’USEF in Germania e a Monaco, fondammo l’associazione delle Zagare, riprendemmo i contatti con la realtà Svizzera. Allo stesso tempo si stava aprendo una nuova stagione in cui politica e associazionismo italiani nella mia città cominciarono a parlare una lingua diversa e a rivolgersi ad un pubblico rinnovato, offrire nuovi formati. L’impegno associativo e politico in ambito italiano, regionale e tedesco, mi facevano sentire di stare restituendo qualcosa alla mia terra. Non voglio elencare le diverse funzioni con le quali porto avanti il mio impegno ma solo dire che sono convinta che associazionismo e politica siano servizio e gioco di squadra, in cui piccolissimo è il valore aggiunto di ciascuno di noi se non riconosciamo la necessitá di lavorare insieme e costruire il necessario ricambio generazionale. L’Emigrazione dall’Italia cambia, e in particolare quella verso la Germania. Celebreremo l’anno prossimo i 70 anni dagli accordi bilaterali sulla manodopera tra Germania e Italia e, come sempre in questi casi, è tempo di bilanci e valutazioni. Oggi non sono solo i giovanotti a lasciare l’Italia e la Sicilia. Da molti anni emigrano anche le donne, da alcuni anni le famiglie e, più di recente, con le famiglie, hanno preso ad emigrare anche i nonni, che seguono figli e nipoti. Questo trasforma il volto e i bisogni dell’emigrazione e abbiamo il dovere di seguire questa metamorfosi. Abbiamo il dovere di informare chi progetta di andare via. Emigrare non è mai semplice. Le sfide sono molte e gravose, sia per gli adulti che per i più giovani. Se trovare lavoro può sembrare semplice, ottenere un contratto dignitoso, un salario che permetta di arrivare a fine mese e di vivere, trovare un alloggio altrettanto dignitoso, sono spesso ambizioni lontane. Per questo rivolgo un appello alle amministrazioni locali: prendete contatto con il CGIE e con i Com.It.Es., aprite una campagna di informazione su cosa davvero voglia dire emigrare e su quanto sia importante emigrare con consapevolezza. Mi viene spesso chiesto se oggi, nell’era della globalizzazione e dell’intelligenza artificiale, abbia senso l’associazionismo regionale. La mia risposta è un sì convinto. Stiamo per andare a votare per rieleggere il parlamento Europeo: non può esistere una Europa che non sia consapevole delle proprie molte identità regionali. Queste ultime devono sprigionare le energie necessarie a rinvigorire l’Europa in un clima di collaborazione, progettazione, memoria, innovazione e accoglienza. Quando dico accoglienza, non parlo certo dell’accoglienza di lager di “accoglienza” in Albania, in cui i migranti vengono “radunati” senza potervene uscire per un periodo che, così suonano gli accordi presi, potrebbe protrarsi fino all’anno e mezzo! Mi fa pensare che questa idea venuta al Presidente del governo italiano piaccia così tanto a primo ministro Bavarese, tanto da volerla riproporre. Peccato che oggi non corra l’anno 1933 ma il 2024 e che questa debba tornare ad essere attualità. Noi che conosciamo la storia degli accordi bilaterali sulla manodopera e sappiamo dai reportage di allora e di oggi come venivano trattati i nostri corregionali, noi che conosciamo la storia dell’emigrazione degli Statti Uniti d’America e il modo in cui venivamo classificati e relegati a certi angoli della società, noi che siamo migranti e abbiamo una particolare sensibilità per la storia dell’emigrazione, non possiamo tollerare che la storia si ripeta senza lanciare un monito. Al monito segua però un voto attivo e consapevole, perché dal modo in cui sceglieremo di posizionarci politicamente discenderà il futuro dell’Europa e dei nostri figli. Allo stesso modo, noi che in emigrazione abbiamo sviluppato una vera etica del lavoro, il rispetto per i lavoratori, il bisogno di sicurezza, non possiamo restare passivi di fronte ai sempre più frequenti incidenti sul lavoro, come se quella per il lavoro fosse una quotidiana guerra casalinga. Per il lavoro si può partire ma non morire, per il lavoro si deve poter ritornare senza dover rinunciare a sé stessi e ai propri sogni. Dicevo di appartenere alla generazione Erasmus. L’Europa è casa mia, casa nostra e la mobilità europea una realtà, speriamo lo resti. L’emigrazione, anche quando va oltre la semplice mobilità, e ci confronta con un distacco più duraturo, è un fenomeno umano di sempre, naturale, che garantisce la salute del sistema. Questa deve però sempre confrontarsi con il progetto di vita di chi migra. Non si può migrare “ad ogni costo”: non possiamo chiederlo a chi va, non possiamo aspettarcelo da chi accogliamo. Migrazione e rispetto dovrebbero sempre viaggiare insieme. Invece, purtroppo, troppo spesso la migrazione non prevede una via di ritorno: mancano i presupposti e la visione. Per queste ragioni mi piacciono i progetti tipo south-working, dall’idea di Elena Militello, o come back, dell’arcidiocesi di Monreale e sono felice di apprendere dalle parola della Dott.ssa Maria Letizia Di Liberti, Direttore Genenerale del Dipartimento per la famiglia e le politiche sociali, come la stessa Regione Sicilia stia per lanciare una serie di interventi atti a favorire il rientro e la non partenza di giovani e meno giovani. Nella vita è importante sapere chi si è, avere radici forti e profonde, per permettere ai rami di portare lontano i propri frutti. Le radici e il fusto vanno però nutriti, con lo studio, l’approfondimento, la cultura, con relazioni umane e professionali, con fiducia. Nessun giovane sarà in grado di esprimere il meglio di sé stesso, se non avrà ricevuto fiducia nel crescere e nell’esporsi: questa é una grande responsabilità che ricade sulle spalle delle famiglie e del mondo della scuola, della formazione, della società tutta. Desidero, se posso, dedicare questo premio a tutti i giovani siciliani in Sicilia e nel mondo, che cercano e costruiscono un futuro, a mia figlia Vittoria, che in quel marzo del 2008 di cui parlavo sopra stavo aspettando e che oggi, a Monaco, compie 16 anni e, nonostante ciò, mi ha permesso di venire a ritirare questo premio di persona. A lei, da donna a giovane donna, alle giovani e ai giovani di ieri e di oggi, di Sicilia e nel mondo, desidero dedicare questo importante riconoscimento. Grazie a tutte e tutti! (Daniela Di Benedetto)