Buongiorno e grazie a tutti voi per essere venuti dai diversi paesi europei che rappresentate. Grazie a Nella Sempio e al circolo del PD di Basilea che ci ospita e che ha curato l’organizzazione dell’evento qui in città. Grazie ad Alessandra Fabrizio che, invece, ha curato l’organizzazione da Roma. E grazie a Emanuele Fiano per la disponibilità a seguire i nostri lavori in un’ottica complessiva del più ampio disegno di riforme istituzionali. Quando abbiamo pensato a organizzare questa giornata di lavoro, eravamo molto lontani dall’insediamento del nuovo CGIE. E l’intento era da subito quello di mettere insieme un universo ampio di persone e di organizzazioni anche molto diverse tra di loro, ma che comunque si riconoscessero in un ambito ideale e di valori comuni. Quindi quei partiti, quelle associazioni, quei rappresentanti istituzionali che non solo vivono in mezzo alle nostre comunità e ne conoscono bene storia, bisogni, aspettative e potenzialità, ma che ispirano il proprio agire quotidiano ai principi della solidarietà, dell’eguaglianza, della redistribuzione, del merito mai slegato dal bisogno. In termini politici, coloro che si riconoscono nell’ambito del centrosinistra. E quindi abbiamo pensato di ritrovarci e di lavorare insieme per analizzare il quadro generale del nostro Paese nella contemporaneità, nel cambiamento vorticoso che sta vivendo anche e soprattutto nel contesto più particolare europeo e in quello più generale mondiale e provare a capire in questo nuovo contesto quale sia il ruolo delle nostre comunità in rapporto all’Italia e quale quello delle sue rappresentanze in rapporto ai grandi cambiamenti istituzionali italiani. Non ultimo quello della riforma costituzionale che ridisegna una nuova cornice dell’Italia. Ecco, abbiamo pensato che era utile leggere questo contesto prima di tutto partendo da chi avesse una certa omogeneità ideale (quindi il centrosinistra di cui parlavo prima) e provare a trovare prima in questo contesto una chiave di lettura e un indirizzo politico su cosa siano oggi le nostre complesse e diversificate comunità e che rapporto queste devono avere con l’Italia. E dalle risposte che ci daremo far derivare anche gli strumenti istituzionali, le politiche e le eventuali proposte di riforme da discutere poi con gli altri interlocutori che hanno visioni ideali e politiche alternative. Ma fare questa discussione all’interno del centrosinistra, trovare una linea e portarla poi nel CGIE, tra i Comites e in Parlamento, ci aiuterà a percorrere il cammino che abbiamo davanti senza strappi, senza lacerazioni, senza forti contrapposizioni e, magari, come io auspico, d’intesa con il Governo. E vengo ora al quadro istituzionale - Il CGIE e i Comites, dopo 11 anni di attività e tre rinvii delle elezioni che ne hanno più che raddoppiato la legislatura e logorato gli organismi e chi li rappresentava, sono stati rinnovati; - nell’attuale fase istituzionale, la riforma costituzionale ha previsto la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie territoriali, con conseguente cancellazione della rappresentanza degli italiani all’estero nella Camera alta; - la rappresentanza politica diretta degli italiani all’estero in Parlamento è diventata di 12 deputati per una platea estera di 4,8 milioni di elettori su un territorio vasto come il mondo e nel quale la presenza fisica nel “collegio” di detti 12 rappresentanti sarà praticamente ridottissima, soprattutto fuori dall’Europa; - le rappresentanze diplomatico-consolari sono state, sia per esigenze strategiche e politiche che per esigenze economiche, ridotte nel numero e, conseguentemente, le rappresentanze dei Comites, legate territorialmente alla circoscrizione consolare, hanno subito la stessa sorte; - il CGIE è già stato ridotto anche nel numero di consiglieri elettivi, passati da 63 a 43, e in quello di nomina governativa, passati da 30 a 20; Questo quadro ci consegna un arretramento fisico della presenza dello Stato nelle sue rappresentanze territoriali all’estero e una difficoltà numerica e di qualità a rappresentare un’ampia comunità sia in termini politico-territoriali che in termini di funzione e potere della stessa articolazione della rappresentanza all’estero. Per questi motivi, anche e soprattutto in relazione alla nuova riforma costituzionale, si rende necessario avviare e realizzare una riforma del CGIE e, se è il caso, anche dei Comites. Riforma da armonizzare all’intero quadro della rappresentanza nazionale e senza strappi o contrapposizioni laceranti e pericolose che possono avere oggi effetti negativi non più recuperabili in futuro. Permettetemi poi di fare un quadro politico - con il rinnovo di Comites e CGIE c’è stato un buon ricambio degli eletti, con l’arrivo di molti rappresentanti giovani (soprattutto nei Comites) e protagonisti delle nuove forme di emigrazione giovanile, soprattutto alcune di quelle eccellenze altamente scolarizzate che spesso vengono – erroneamente e genericamente – definite “cervelli in fuga”; - sia nei Comites che nel CGIE il centrosinistra come lo vediamo qui oggi ha una rappresentanza numerica ampia e di grande qualità, sia per esperienza che per culture; - l’articolazione dei consiglieri del centrosinistra nel CGIE è plurale e complessa, espressione di tutte le realtà organizzate all’estero e rappresenta quindi una forte ricchezza che garantisce l’autonomia e il carattere soprattutto associativo di questo organismo. Ma una complessità e pluralità che, se non trova raccordo e sintesi, rischia la lacerazione e lo sfaldamento, soprattutto nei rapporti col principale partito di Governo – il PD –, col Parlamento e col Governo stesso: sarebbe il peggior danno che potremmo fare alla rappresentanza e alle comunità. Anche per il fatto che si perderebbero le basi della governabilità degli stessi organismi. Per questo, dunque, faccio una premessa politica Dopo il rinnovo del Parlamento, dopo il rinnovo di Comites e CGIE e dopo la riforma costituzionale che taglia la rappresentanza degli italiani all’estero al Senato, è necessario oggi trovare un metodo e dei tempi per ragionare insieme – sottolineo insieme – di una riforma del CGIE (ed eventualmente dei Comites) che veda il coinvolgimento e il dialogo non formale, ma vero, degli stessi organismi Comites e CGIE e dei parlamentari eletti all’estero col Governo. Ciò può portare a quel metodo utilizzato con successo agli inizi degli anni 2000 e che ha portato Parlamento, Governo e CGIE a presentare e votare una riforma largamente condivisa dei Comites nel 2003 senza contestazioni né contrapposizioni frontali. In questo contesto, dunque, visto il quadro istituzionale e politico descritto, vista la premessa politica appena esposta, io ritengo che noi dobbiamo farci carico di organizzare e tenere un dialogo politico e farci punto di raccordo e di riferimento tra Governo (nello specifico ministri degli Esteri e delle Riforme), Partito Democratico (quale principale forza parlamentare e di Governo), gruppi parlamentari, con particolare riferimento agli eletti nella circoscrizione Estero e presidenti Intercomites e Consiglieri CGIE di centrosinistra. L’obiettivo, quindi, deve essere quello di individuare insieme a questo mondo e a questa parte politica largamente maggioritaria le modalità, i tempi e le linee guida di una riforma in ambito di centrosinistra, in modo da poter avere una linea politica forte e chiara nella nostra parte politica e ideale e portarla poi nella discussione generale nei Comites, nel CGIE e in Parlamento e arrivare a una riforma discussa dal basso e condivisa tra Governo, Parlamento, Comites e CGIE. In quest’ottica il PD all’estero ha costruito tutta la campagna elettorale per i Comites, ha deliberato nelle sue assemblee continentali di circolo all’estero e nelle discussioni nei principali dibattiti pubblici e alle feste nazionali de l’Unità. E in quest’ottica di continuità tra partito sul territorio e Parlamento, come primo passo, abbiamo voluto questo seminario a porte chiuse tra rappresentanti del PD all’estero, parlamentari del PD eletti all’estero, consiglieri CGIE e presidenti intercomites del centrosinistra in Europa e lo stesso responsabile del PD per Riforme istituzionali, Emanuele Fiano. E qui vorremmo si decidessero e proponessero (almeno tra di noi) tempi e modi di una possibile riforma, le linee guida e l’indirizzo generale e le forme per portare questa discussione nei Comites, nel CGIE e in Parlamento guidandola politicamente come centrosinistra e rendendola condivisa dai più e nei territori. Questo percorso aiuterà certamente a ridurre divisioni, a costruire una proposta di riforma includendo i soggetti interessati e ad avere tempi certi e consenso largo in fase di calendarizzazione e votazione. Un percorso che aiuterà certamente anche le nostre comunità e il lavoro del Governo. Poi – e provo a venire a qualche nota di merito – in questa sede abbiamo dirigenti politici locali e nazionali, parlamentari eletti all’estero, rappresentanti del mondo associativo, presidenti Intercomites, consiglieri del CGIE e il Segretario generale uscente. Quindi abbiamo una rappresentanza plastica, politica e, oserei dire, scientifica di questi organismi. Abbiamo le condizioni migliori per fare un lavoro di raccordo politico su una proposta che sia non solo la proposta unitaria, ma la proposta più forte alla quale il CGIE potrà arrivare in raccordo col Governo. E questo ci consentirà di rafforzare reciprocamente sia l’azione e le capacità del CGIE che quella degli eletti all’estero nelle aule parlamentari. Per questo io direi che da qui, da oggi, dobbiamo cominciare a lavorare. Dobbiamo tener presente la trasformazione che si è verificata nelle nostre comunità: con le prime generazioni diventate più anziane e con bisogni tradizionali ai quali si aggiungono nuove richieste; con le seconde generazioni integrate nei paesi ospiti e che in parte perdono il legame sia con le stesse comunità italiane all’estero che col Paese d’origine e in parte lo rinnovano e chiedono però un nuovo e diverso rapporto con l’Italia: nuovo e diverso sia rispetto ai genitori sia rispetto a quello delle stesse seconde generazioni di qualche decennio fa. Con i nuovi migranti e le nuove mobilità. Queste nuove mobilità sono costituite certamente di un numero consistente di giovani altamente scolarizzati, di risorse sulle quali l’Italia ha investito in formazione e intelligenza e che altri paesi ottengono gratuitamente. E non parlo solo di ricercatori, ovviamente, ma anche di semplici diplomati o laureati e di giovani piccoli e medi imprenditori o impiegati, funzionari, dirigenti, artisti, artigiani ecc. Ma sono costituite anche, ancora, di molta manodopera specializzata e non, di famiglie, che partono soprattutto dal Sud Italia e dai piccoli paesi. E sono costituite persino da immigrati arrivati anni fa in Italia (o diventati cittadini italiani), dove si erano stabiliti e avevano trovato un lavoro che poi hanno perduto o che non bastava più. E sono ripartiti per l’estero. Il segretario del PD in Albania è uno di questi giovani, insieme a diversi nostri iscritti al PD all’estero: immigrati ormai cittadini o lavoratori italiani o italici (come direbbe Piero Bassetti) che sono emigrati dal nostro Paese. Tutto questo universo, ha cambiato anche economicamente il rapporto con l’Italia rispetto al passato. Oggi sarebbe difficile, ad esempio, pensare che da questo universo l’Italia possa ricavarne qualcosa in rimesse, in investimenti edilizi mirati a un possibile ritorno, in risparmi con i quali pensare di tornare ad aprire una attività in Italia ecc. Ed è difficile anche pensare che chi parte dall’Italia per una determinata destinazione poi diventi un pezzo di Italia stabilmente residente in quella località per tutta la vita. Che lì rimarrà per sempre e magari a fare sempre lo stesso lavoro. Insomma, oggi abbiamo una comunità italiana nel mondo con dentro molte comunità diverse e articolate, che spesso non si rapportano né si trovano o si parlano tra loro o con l’Italia. E abbiamo anche una enorme potenziale comunità che, per un motivo o per l’altro, per un motivo sentimentale o nobile o per altri meno nobili e più di interesse pratico o economico, si sente italiana o vorrebbe essere italiana. O per lo meno si comporta come se lo fosse: i discendenti e oriundi che non hanno ancora la cittadinanza e la vorrebbero, gli stranieri che amano l’Italia per la cultura (in senso ampio del termine) e vestono, mangiano, acquistano in stile italiano. Insomma, per non farla troppo lunga, dobbiamo partire dalla fotografia di queste comunità così come sono diventate oggi, per capire non solo come esse vogliono o possono rapportarsi con l’Italia, ma soprattutto come l’Italia vuole rapportarsi con esse. Cosa l’Italia vuole da questo universo e come l’Italia le integra, le considera nella sua proiezione internazionale. In quest’ultimo senso, il discorso è duplice: politico e istituzionale. Politico perché in fatto di proiezione internazionale le politiche del Paese possono variare a seconda del tempo, del contesto geopolitico internazionale, della visione politica delle maggioranze e dei governi che cambiano. Istituzionale perché il Parlamento e il Governo devono avere gli strumenti adatti per applicare in modo efficace la visione politica che perseguono. In questa direzione, la riforma costituzionale ha ridisegnato delle istituzioni più snelle e veloci, nelle quali l’indirizzo politico esecutivo tende ad accentrarsi sul Governo e sulla politica del premier e a consentire ad esso una maggiora capacità di azione e una più veloce realizzazione degli obiettivi politici. E non lo dico qui in termini negativi, anzi lo declino come un orientamento generale positivo in chiave nazionale, internazionale e politica, soprattutto se questa maggiore capacità di governare i processi si risolvesse anche in una maggiore capacità di rimettere la politica al centro dei processi e in una nuova capacità della politica di imporsi sul mercato e sulla finanza. Dunque, se le cose sono come le ho dette, l’Italia come Stato si colloca in un determinato contesto geopolitico regionale e generale e i nuovi governi che verranno avranno una forte capacità di decidere una impostazione politica, una visione del Paese, una strategia e gli interessi ad essi collegati anche fuori dall’Italia, e di individuare le aree di prevalente impegno e intervento: culturale, economico, politico. Intervento che sarà calibrato e orientato dal Governo (dai diversi governi) sulla base di evoluzioni continue. E le nostre comunità all’estero, se devono essere parte del rapporto con l’Italia, se devono essere parte della proiezione internazionale dell’Italia, se devono essere parte degli strumenti ampi e moderni della nuova diplomazia diffusa, allora devono avere strumenti istituzionali in grado di leggere velocemente i contesti locali, regionali, internazionali e dell’Italia stessa e raccordarsi in modo efficace col Governo e con le altre istituzioni, come le regioni e gli enti locali, sotto un duplice aspetto: per perseguire al meglio le politiche e gli obiettivi che il Governo si dà in ambito internazionale e di proiezione del Paese; per dare risposte efficaci alle esigenze dell’ampia comunità italica che con l’Italia si rapporta, alla quale chiede risposte e dalle quale deve avere un ritorno. Allora mi chiedo se la nostra rappresentanza, quella parlamentare, di 12 parlamentari che sono parlamentari a tutti gli effetti e non solo degli italiani all’estero, può fare tutto da sola o non abbia bisogno di altri strumenti istituzionali che aiutino e affianchino il suo lavoro e quello del Governo e della diplomazia. Ecco, quindi, che in questa cornice generale, dobbiamo prima di tutto discutere se questi strumenti istituzionali devono essere di rappresentanza oppure devono essere altro. Se devono essere di rappresentanza, dobbiamo chiederci come articoliamo questa rappresentanza e che diversi tipi e livelli di poteri gli affidiamo e, soprattutto, come li eleggiamo (direttamente o indirettamente) o se li nominiamo e chi li nomina. Se devono essere altro, dobbiamo capire se devono diventare seri strumenti di analisi delle diverse e complesse realtà e, anche qui, che risorse, caratteristiche, missioni, poteri gli diamo e come e con chi li raccordiamo. Ma soprattutto come queste analisi e/o proposte camminano e si concretizzano evitando il rischio di creare nuovi CNEL dell’estero per i quali dopo qualche anno se ne constata l’inefficacia e se ne chiede la chiusura. Magari anche a fini di risparmio. Se si va verso la rappresentanza, o una rappresentanza elettiva, è chiaro che va rivisto il sistema complessivo di voto: va reso più sicuro e meno attaccabile, va alleggerito nei costi, va magari legato all’elezione dei parlamentari in un’unica tornata, va rivisto il quadro generale di chi vota pensando anche a una riforma dell’AIRE capace di essere inclusiva di tutte le nuove mobilità e, magari, rivedendo anche le ripartizioni elettorali della Circoscrizione estero, rimpicciolendole e dividendole a loro volta in singoli collegi uninominali. E vanno poi rivisti i poteri reali di organismi e singoli componenti. Se si va verso altre direzioni, va forse creato un rapporto organico con i parlamentari eletti all’estero prima e con la Presidenza del Consiglio dopo, va probabilmente previsto un legame diretto con le Università e l’ISTAT, una presenza concreta e a pieno titolo nella Conferenza delle regioni e nel CINSEDO. In particolare, in quella sede, queste nostre istituzioni all’estero dovrebbero avere un ruolo riconosciuto soprattutto nel confronto sulla diffusione delle “best practices” (portando le esperienze di altri paesi oltre che delle regioni italiane e delle nostre comunità all’estero) e nella sottolineatura del ruolo dei territori e degli italiani nel mondo alla costruzione dell’Unione Europea, di diversi contesti locali nel mondo e di diversi organismi internazionali. Dunque, in questa complessità, in questa velocità, in questa centralità del Governo e della Presidenza del Consiglio, in questa necessità di orientamento, di risposte e incisività, dobbiamo anche ragionare seriamente e con chiarezza se è ancora il caso di pensare questi organismi riformati incardinati sempre nel MAE o se non sia meglio e più proficuo, come io penso, incardinarli proprio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, favorendo il ruolo di raccordo e interlocuzione con tutti i ministeri che hanno competenza sugli italiani all’estero, da quelli classici degli esteri e dell’Interno a quelli del lavoro, dell’economia, della Cultura, dell’Università e ricerca. Quale miglior luogo di raccordo se non la Presidenza del Consiglio? Questo certamente migliorerebbe l’azione esecutiva e di raccordo da e verso il nostro mondo e quello della politica estera e della proiezione del sistema Paese, per la quale pure i nostri organismi devono avere un ruolo definito. La sola diplomazia ufficiale, infatti, nel mondo iperglobalizzato, non è più sufficiente, va correlata dall’azione concreta e riconosciuta delle organizzazioni non governative, dal mondo imprenditoriale, dai cittadini organizzati che il Paese ha sparsi nel mondo e facendo sinergia tra tutti questi attori. Ovviamente, con queste indicazioni non voglio definire le linee guida della nostra proposta di riforma, ma stimolare la riflessione e la direzione del dibattito: poteri reali di rappresentanza territoriale se rappresentanza deve essere; raccordo istituzionale concreto con le istituzioni politiche ed esecutive (Parlamento, Governo, ministeri, regioni, luoghi di studio e ricerca); riconoscimento di funzioni che diano concretamente un valore aggiunto alle nostre comunità e al Paese. Come declinare tutto ciò, vediamolo insieme e con l’apporto del territorio e dei Comites in un percorso condiviso. Diamoci un tempo: si può partire dalla prima riunione del CGIE dei prossimi giorni per arrivare, se siete d’accordo voi, se lo sarà il CGIE e il Comitato di presidenza che definirà il calendario dei lavori del 2016, se vi è la volontà del Governo, a una bozza di proposta di riforma – o delle linee guida della riforma – nei lavori della prossima plenaria. In questa mia riflessione assegno al CGIE il luogo istituzionale, politico e di raccordo di questo lavoro perché, oltre ad essere esso stesso oggetto della riforma, mi piacerebbe che proprio da qui partisse (ovviamente in raccordo e col protagonismo dei parlamentari eletti all’estero, col Parlamento e il Governo che qui dentro interloquiscono) la proposta di riforma. E se questa fosse, come spero, ampiamente condivisa nel CGIE e tra gli eletti all’estero, che fossero proprio questi ultimi a presentarla formalmente in Parlamento per una rapida approvazione col sostegno del Governo.