Il territorio comunale della città rientra tra i primi 100 comuni italiani per superficie, piazzandosi al 37º posto con un'estensione di 302 km², che ne fanno il secondo centro della provincia alle spalle del capoluogo, ed il settimo della regione. Il suo punto più alto è di 877 m sul livello del mare, mentre quello più basso si colloca a quota 225 m, determinando una notevole escursione altimetrica che si registra tra il centro urbano e le località sottostanti, tra cui numerose sono le enclavi, ritagliate nei territori dei comuni limitrofi. Qualora dovesse formarsi la provincia di Gela, potrebbe rientrarvi anche Piazza Armerina.
NATURA
La città è circondata, oltre che dalle foreste del parco della Ronza, e dagli altri boschi, da altri siti dalla prospera natura, quali ad esempio il lago d'Olivo, bacino artificiale creato a scopi irrigui, o il sito archeologico di Montagna di Marzo, avvolto anch'esso nel verde. Senza contare che in un raggio limitato, nei pressi di Enna, si apre il lago di Pergusa, incorniciato dall'incantevole riserva omonima ad alta naturalità , o altresì la Riserva naturale orientata Rossomanno Grottascura Bellia, parte della quale ricade proprio in territorio armerino. Quest'ultima riserva abbraccia il bosco di Rossomanno, che prende nome dall'omonimo monte, una fitta selva i cui sentieri sono stati recentemente tracciati di nuovo per favorire le attività escursionistiche e di trekking.
POPOLAZIONE E DEMOGRAFIA
L'evoluzione demografica di Piazza Armerina dall'Unità d'Italia ad oggi ha seguito andamenti estremamente altalenanti. Nel 1861, infatti, fu censita una popolazione di 21.716 anime, addirittura leggermente superiore a quella attuale, dato per cui l'allora Piazza rappresentava il centro più grosso dell'odierna provincia di Enna. Seguì tuttavia una recessione, i cui effetti rimasero visibili fino all'inizio del Novecento, allorché Piazza raggiunse i 24.000 ab. e, in linea tra l'altro con l'andamento demografico nettamente positivo delle altre città della provincia, si avviò a superare quota 30.000 segnando il picco storico di oltre 38.000 ab. nel 1921, anno in cui oltrepassava Enna di 5.000 anime e Caltagirone di 2.000. Il decremento che si ebbe nel decennio a venire fu imponente, a causa dell'elevazione di Enna e Ragusa a Capoluogo di Provincia (1927), ad opera di Mussolini, punendo le Città di Piazza Armerina, Gela, Modica, Caltagirone. La città subi una mortificazione proseguita negli anni con il depauperamento delle risorse e dei servizi da parte del nuovo Capoluogo al che nel 1931 la città si attestò a 25.000 unità , destinate a rasentare quota 21.000 nel 1981, periodo di vera crisi, innescata dalla chiusura delle ultime miniere attive. Oggi, il trend appare lievemente negativo, in minor misura tuttavia rispetto ad altri centri della Sicilia interna. Esistono, ciononostante, concrete possibilità di crescita, legate essenzialmente al restauro della Villa del Casale e al turismo.
STORIA
Dai ritrovamenti numismatici presenti sul Monte Naone non lungi dall'abitato si può presumere che qui esistesse un abitato di età greca, forse una sub-colonia di Gela e più precisamente la Hybla Geleatis di cui fa menzione Tucidide in seguito chiamata Stiela. Sulla storia poi di Piazza dove è attualmente ubicata si sa con certezza solo dalla dominazione normanna in poi, in riferimento alla ricostruzione della città nel 1163 ad opera di Guglielmo II. Per il periodo precedente alla fondazione precedente a tale data diverse sono le ipotesi. Alcuni autori del Seicento favoleggiarono di un villaggio chiamato Plutia di origine romana, ma nessuna fonte classica ha mai riportato tale località . Tuttavia secondo diversi musulmani esisteva una città che essi, arabofoni, traslitteravano 'Iblâtasah o 'Iblâtanah, abitata da comunità islamiche, che dovette sorgere su un villaggio preesistente che le cronache medievali (come il Fazello) indicavano più tardi come Casalis Saracenorum. Tale villaggio potrebbe essere la Ibla Elatson o Ibla Elatton (Ibla minore) riportata da Idrisi[4] che corrisponderebbe alla Ibla Geleate (ibla Gelese) descritta da Tucidide (per Pausania Ibla Gereate, per Stefano Bizantino Ibla Era o Minore). La città islamica venne ribattezzata Placia o Platsa dai Normanni che la conquistarono e la affidarono agli Aleramici. Re Guglielmo I di Sicilia, per punirla della sua ribellione capeggiata da Ruggero Sclavo, figlio illegittimo dell'aleramico Simone, conte di Policastro, che in pratica aveva trucidato la popolazione araba, la fece incendiare e distruggere nel 1161[6]. Venne dunque ricostruita, nel 1163 più in alto da Guglielmo II sul colle Armerino e ripopolata con genti provenienti dalle aree "longobarde" settentrionali. Scavi recenti, condotti dall'università La Sapienza di Roma hanno messo in luce, nei dintorni della Villa Romana del Casale l'impianto di un villaggio di epoca medievale, presumibilmente riferibile alla città distrutta da Guglielmo il Malo. Piazza diviene sede di tribunali nel periodo federiciano e nel 1459, Nel 1517 Carlo V la fregia del titolo di Città , chiamandola sovente Opulentissima. In questo periodo Piazza è capitale di una Comarca che riunisce a sé i diversi paesi lombardi, accomunati da un linguaggio e una storia comuni. Dal 1689 fino al 1817 è sede della quarta Università del Regno[7]. Dal 1817 è anche sede di vescovato, mentre ottiene il titolo di Armerina nel 1863. Persa la sua egemonia sul territorio venne accorpata al Vallo di Caltanissetta e dal 1926 passò alla Provincia di Enna
CULTURA
La cittadina è nota per far parte dei cosiddetti "comuni lombardi" di Sicilia, il cui vernacolo (appartenente al gruppo cosiddetto "gallo-italico di Sicilia") ha poco a che fare con gli idiomi indigeni e molto invece con quelli delle regioni settentrionali piemontesi, specie delle zone del Monferrato. Il fatto è spiegabile storicamente per essere stata occupata storicamente da comunità provenienti da quell'area.
DIALETTO
 Il dialetto è stato scritto per la prima volta dal sig. Remigio Roccella da Piazza in un saggio di poesie originali stampate in Piazza stessa Poesie e prose nella lingua parlata piazzes. Ha pure provveduto a stilare un Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina ma si possono ricordare anche i contributi di Litterio Villari. A proposito delle origini piemontesi (anzi “monferrineâ€) di Piazza Armerina potrebbe riscontrarsi non solo l'uso del dialetto gallo-siculo con le altre notizie storiche variamente confermate ma anche una qualche aneddotica analogia tra un lemma del quale riparleremo e la leggenda che, sulla etimologia del nome Monferrato (in piemontese "mònfrà "), narra come nel 961, l'allora Conte Aleramo dovesse cavalcare con il proprio cavallo un giorno intero per delineare i confini del futuro suo feudo (che diventerà marchesato) che avrebbe ricevuto in premio da Ottone I per i suoi servigi. In quel giorno sembra che il cavallo di Aleramo perdesse un ferro e il cavaliere, non avendo niente di meglio per rimediare, usasse, lì per lì, un mattone trovato per terra e, con questo legato allo zoccolo del suo destriero, in guisa di ferratura, al fine di riprendere il suo viaggio. In piemontese il mattone viene chiamato usualmente "mòn" e da lì a "mònfrà " (ferrato con mattone) e quindi "Monferrato", il passo sarebbe breve! Ma ci sarebbe di più; risulta infatti che le origini di una particolare etimologia siciliana che indica il mattone siano appannaggio esclusivo di Piazza Armerina e dintorni: in quei luoghi il mattone da costruzione viene usualmente chiamato “zucculettu†che, tradotto in italiano, può suonare più o meno come “piccolo zoccoloâ€: ecco ritornato lo zoccolo del cavallo di Aleramo e, in qualche modo, riconfermate le origini piemontesi di Piazza Armerina. Una descrizione del poeta dialettale Gaetano Marino Albanese: « Per le vie di Piazza Armerina si vede non di rado un giovane di mediocre altezza, mingherlino, pallido, seguito da qualche amico e da ragazzi curiosi, che si compiace di regalare qualche sua poesia stampata su fogli volanti. Bravo ebanista, fornito di un facile estro poetico, ma senza cultura. Possiede invece una buona dose di buon senso e molte nozioni apprese nell'osservazione attenta della sua vita, anche della lontana America. Nei versi il Marino riflette la sua abituale piacevolezza comica della conversazione, in una forma raramente stentata, che ritrae dalla viva bocca del popolo. Preferisce per lo più versi brevi riuniti in quartine. Certo dal Marino non possiamo aspettarci un verso sempre corretto, rime simmetriche, né l'esatta grafia delle varie gradazioni vocali e delle consonanti, ch'egli, come ogni altro dilettante, raddoppia sulla falsa riga del dialetto siciliano » (Filippo Piazza)