(Antonina Casscio) L’origine di un mito può trovarsi in tempi lontanissimi, in Grecia, ad esempio, ai tempi Della Guerra di Troia, in Palestina,ai tempi della nascita di Gesù, in Argentina non si va più indietro dei 500 anni, sebbene se si cerca seriamente, si trovano bellissimi ed importanti vestigia lasciati dagli indigeni. Oggi invece, vi voglio parlare di Buenos Aires,

 la mitica città accanto al grande fiume, dove gli indigeni si mangiarono a Solìs ( i guaranìes, si mangiarono l’intero equipaggio di una nave comandata da un navigante spagnolo: Solìs; a salvarsi fu uno solo, che anni dopo raccontò il fatt) Buenos Aires, ancora più mitica, perchè subì due fondazioni. Della prima non sopravvisse quasi nessuno all’assedio che fecero gli indigeni, non permettendo di uscire dalla città ai coloni che non ebbero come cacciare nè pescare, e finirono ,dopo mangiarsi fino le scarpe, i cavalli, i cani ed i gatti, per mangiarsi tra se . Difficile metafora questa per spiegare la mancanza di solidarietà in una mostruosa, enorme città, che per la seconda volta scelse lo stesso assetto, carico di dolore e di orrore, per rinascere imponente, con i piedi di fango dentro lo stesso fiume che ingannò i primi naviganti, incluso Solìs, che credettero essere in un mare di acqua dolce. Strana città, Buenos Aires, cresciuta sotto il sole implacabile della pampa, senza alberi, col porto che portava a grande ondate la gente da lontano. Gente di tutte le origini e nazionalità, molti delle quali si stabilirono nei dintorni del porto, vicino al fiume, pronti a partire un giorno o l’altro, anche se quasi tutti ci rimanevano fino alla morte. Di fango e di piogge, la sua storia si estese e la città si espanse lungo le rive del fiume, ma anche verso l’interno, verso l’ovest, da dove arrivavano le lunghe file di carri con prodotti e cibi che venivano fin dal lontano Cile, dopo avere attraversato la Cordigliera de Los Andes e dopo essere passati da Mendoza, dove già in quei lontani tempi si caricavano i vini e l’olio di oliva. All’inizio del secolo XIX, incominciarono ad vedere la luce le case signorili e anche quelle chiamate “caseròn”, costruzioni a due piani con grande quantità di stanze, molte volte proprietà di commercianti che lì avevano i l negozio e la casa di abitazione. D’allora, la città cambiò, e tanto! Arrivarono prima gli architetti e gli ingegneri europei che pensarono alle piazze piene di alberi, ai parchi enormi (essendoci tanto terreno) e alle case che copiavano lo stile francese e anche le palazzine delle città italiane, o i vetusti edifici londinesi. A Palermo (a Buenos Aires), in un grande “caseròn” della zona in quel tempo signorile, funzionava un caffè, il mitico caffè di Hansen, aperto nel 1877. I nostri ricercatori archeologici (finalmente anche l’Argentina ha capito che un paese che non ha storia non esiste nel concerto mondiale dei paesi e non offre al turismo niente, al di là del presente, dato che il futuro non esiste ancora), addentrandosi mezzo metro sotto il livello del Parco di Palermo (BsAs), hanno trovato il suolo di mattoni del mitico caffè. Adesso approfitteranno della presenza di questi mattoni per far conoscere ai turisti la storia del tango. C’è chi racconta (ma non è vero, non ci credete) che questo caffè era frequentato da uomini e donne di buona posizione .Impossibile. Le donne per bene in quei tempi non andavano alla milonga. Si ci andavano gli uomini e ballavano tra loro. O con le signorine della mala vita. Ed era per queste donne (molte di loro bellissime ), che litigavano anche col coltello, e si facevano ammazzare. Quando il tango si fece più popolare ed arrivarono le orchestre a suonare “ a lo de Hansen”, Canaro, Firpo, ecc. il luogo diventò più pericoloso e forse anche più bello. Un ambiente bravo ,”malevo”, divertente dove ci andava la gente della notte, la gente “calavera”. Nel 1912, il caffè ed il vecchio “caseròn” soffrirono la demolizione. Ma non morirono, come non muore un mito, pieno di leggende e di storie vere e non vere, il caffè di Hansen appare nel tango che parla della “Rubia Mireya”, ma appare anche in poesie ed in molti libri della storia del tango. Ora apparirà anche nei percorsi turistici della grande città del Plata.Una città piena di incubi e di sogni. Chissà, forse per questo mi piace tanto. Come diceva Borges: no nos une el amor, sino el espanto.