(Verónica Trentini - Argentina) “Cosa vuoi fare da grande?” Ci domandavano spesso quando eravamo piccoli e noi rispondevamo meccanicamente: “studiare, lavorare, metter su casa, avere una famiglia...” E magicamente venti anni dopo i risultati:

 un giovane laureato (a volte anche “stra-laureato”, bilingue, stage all’estero), trentenne, single, che vive con i genitori e che lavora da precario. Dov’è rimasta la vita da favola che volevamo? Alcuni giorni fa, è stata pubblicata la classifica europea riferita alla quantità di curriculum che un neolaureato dovrebbe spedire prima di trovare un lavoro. Secondo l’indagine, i giovani italiani dovrebbero spedire una media di 32 curriculum prima di essere assunti in un posto di lavoro (il primo lavoro). Ma dopo l’assunzione non tutto è risolto: lo stipendio che gli spetta al giovane è tra i più bassi di Europa: 23.799 euro l’anno, mentre in Danimarca un giovane guadagna più del doppio: 50.389 euro l’anno. Se facciamo i calcoli risulta che lo stipendio (mensile) corrisponde a poco più di 1.983 euro (quantità significativa se si fa un paragone con uno stipendio argentino). Ma cosa si fa con 1.983 euro in Italia? Bastano per vivere da soli, mangiare, pagare il mutuo, concedersi qualche svago e vestirsi? Nel Bel Paese (in Europa in genere ma soprattutto in Italia) c’è un fenomeno che preoccupa: “la generazione mille euro”: giovani molto preparati a livello intellettuale (molti anche con un master) che non guadagnano più di 1000 euro al mese. Il libro: “Generazione 1000 Euro” scritto da Antonio Incorvaia e Alessandro Rimassa, racconta la storia di Claudio, un ragazzo 27enne, laureato, che lavora presso una multinazionale in una delle città industriali più importanti del nord Italia e affitta un appartamento con amici (per condividere le spese). Il suo impiego gli piace, ma lo stipendio di 1.029 euro netti al mese senza tredicesima lo fa dubitare sui debiti che dovrà affrontare, per esempio al momento di comprarsi uno spazzolino da denti. Quella di Claudio purtroppo è una delle situazioni più comuni dell’Italia di oggi. Seguendo questa linea, pochi giorni fa è uscito in libreria altro libro dal suggestivo titolo: “Non sono un bamboccione” di Giuseppe Carlotti. Il protagonista del libro è Daniele, un giovane fobico, che lavora da precario, guadagna poco più di 900 euro al mese e quindi è costretto a vivere ancora con sua madre perché i soldi non gli bastano per andare a vivere da solo e neanche per pagare il mutuo. Bisogna ricordare che in Italia sono stati istituiti i “mutui per i giovani” che prevedono che la rata mensile non deve superare un terzo del proprio stipendio. L’autore del libro in un’intervista spiega che “questi mutui sono un vero bluff” perché potendo pagare una rata da 300 euro al mese, si ottiene un mutuo al masimo di 70.000 euro. E “in una città come Roma, con 70.000 euro non si compra nemmeno un garage in estrema periferia”. Quindi, bamboccione (figlio di papà e mamma, che vive con loro ed è “sponsorizzato” da loro) ma bamboccione forzato. Ma quali sono le risposte che fornisce la classe politica ai 3 milioni di precari in Italia? Il 13 marzo di quest’anno, Silvio Berlusconi dichiarò: “Contro la precarietà? Cerchi di sposare il figlio di Berlusconi” o qualcun altro del “genere milionario, con quel sorriso se lo può permettere…” Questa è stata la risposta del leader del Popolo della Libertà alla domanda di una studentessa che gli chiedeva come sia possibile per una giovane coppia, farsi una famiglia senza un lavoro stabile. E davanti a questa risposta (risposta o ironia?) è scattata una bufera di critiche da parte dell’opposizione. L’ ex Ministro dell’Economia e della Finanza Padoa Schioppa dichiarò nel 2007: “Mandiamo i bamboccioni fuori di casa.” Ma se i bamboccioni restano a casa un motivo ci sarà. Lavori precari (o in nero), stipendi bassi rispetto ai prezzi e politici lontani dalla realtà sono alcuni degli elementi più significativi di questa difficile realtà. Ecco alcuni esempi quotidiani: un milleurista ha un mutuo a 15 - 20 anni: per piccoli appartamenti di non più di 50 mq; un precario compra verdura fresca: ma solo quella in offerta; mangia un po’ di bresaola: una volta a settimana, mangia pane sì, ma solo quello fatto in casa; ha una macchina: ma con l’impianto a gas; beve acqua: del rubinetto; mangia carne? Solo in occasioni speciali. E dopo un anno di lavoro e di creative strategie di sopravvivenza low cost, si prende un mese di vacanze? Sì, ma in città, ossia a casa. “Quando più grande è il sogno più grande è l’incubo (per raggiungerlo)” dice la saggezza popolare, ma quanto dura l’incubo per un giovane milleurista? Ci sarà qualcuno che possa rispondere a questa domanda? E domani, al supermercato, potrà comprare altra verdura al di là delle solite melanzane in offerta?