L’immigrazione italiana ebbe inizio dopo l’unificazione del paese, completata nel 1870 con la presa di Roma, fino al termine del secolo, in circa trent’anni emigrarono oltre mezzo milione di italiani, soprattutto in paesi europei che avevano bisogno di manodopera ( Francia, Svizzera, Belgio anche Polonia, Cecoslovacchia). Questo si prolungo in ondate e con la fine della seconda guerra mondiale si aprì il quarto periodo dell’emigrazione italiana tanto in Europa come nelle due Americhe. Questi flussi migratori, appaiono oggi fenomeni storici di massa, quasi impersonali. In realtà furono la somma di tragedie individuali, che al dolore della partenza aggiungevano l’angoscia dell’ignoto; alla povertà dalla quale si fuggiva, aggiungevano la povertà nella quale si giungeva. Non esisteva al tempo nessuna legge che tutelasse l’emigrazione, nessuna organizzazione che controllase le partenze e coordinasse gli arrivi. Fu una specie di esodo che svuotò tanti paesi, lasciando una scia sterminata di sofferenze e di disperazione. Per chi partiva e, in misura non dissimile, per chi restava. Si pensa che questo fatto storico sia concluso, non sono sicura; e di emigrati, di loro figli e nipoti, nei cinque continenti se ne possono contare a milioni. Quanti? Difficile saperlo. Ma certamente tanti da consentirci di pensare e di affermare che gli italiani all’estero sono molti di più di quelli che vivono in patria. Che cosa intendono fare dei milioni di italiani presenti nei cinque continenti? Cancellarli dalla storia? Dire che non esistono più? Nel 1989 mentre l’attenzione pubblica italiana era assorbita dalla presenza di immigrati afroasiatici, si produceva una corrente immigratoria silenziosa, invisibile, che proveniva dal paese che è stato la dimora del maggior contingente di emigrati italiani nel mondo, dall’Argentina. Era costituito in maggioranza da figli e nipoti di italiani emigrati. Gli immigrati argentini fecero raramente ricorso all’assistenza pubblica ed evitarono generalmente i mestieri della strada (l’ambulantato, il lavaggio di vetri, l’accattonaggio) e lo fecero perchè quasi tutti avevano un diploma sotto il braccio che li capacitava per svolgere diversi impieghi soprattutto nel settore terziario. Una parte trovò sostegno in lontani rapporti parentali con famiglie italiane; altri, la maggior parte, trovò aggancio nelle reti di amicizia dei residenti argentini già stabiliti, il resto fu accolto e inserito nella società italiana dalle associazioni argentine in alcune città e dal volontariato cattolico in altre. Loro cercarono di non dare nell’occhio, mimetizzarsi, confondersi, agirono con la saggezza distillata da generazioni di immigrati, sono entrati discretamente nella società e se ci sono in gran parte riusciti è per la maggiore vicinanza culturale rispetto all’Italia (malgrado la diversità di lingua, forse non c’è nel mondo un’altra cultura nazionale che sia globalmente tanto vicina a quella italiana). Nonostante la discrezione avuta la comunità argentina in Italia ha trovato e continua a trovare numerosi ostacoli alla propria immigrazione, benchè una parte significativa ha avuto la cittadinanza italiana; ci sono inoltre numerose famiglie, con figli nati in Italia, che ancora hanno problemi per ottenere la cittadinanza. Gli immigrati argentini presentano una forte concentrazione a Roma (10.400 argentini dei quali 2800 senza la cittadinanza italiana) e Milano (7.300 e 1.537 senza la cittadinanza). Il livello di dispersione nel territorio è sorprendentemente alto, non solo per gli immigrati di origine italiana, ma anche per quelli che hanno origine diverso. Non c’è nessuna provincia italiana nella quale non risiedano argentini, e non c’è nessuna nella quale non risiedano argentini di origine non italiana. A mio avviso l’Italia accogliendo a denti stretti agli argentini non ha fatto altro che rispondere alla lontana cortesia che l’ Argentina ha fatto con gli immigranti italiani.