Negli anni ’60, essendo io una ragazza, in un pranzo di amiche (eravamo state tutte compagne all’università per 6 anni consecutivi, dove avevamo ottenuto il titolo d’insegnanti ed in quel tempo eravamo in 6 ancora a ritrovarci spesso ,per mantenere l’amicizia), incominciammo una discussione sulle attività e le decisioni del governo di turno alla provincia di Mendoza.

 Nel gruppo eravamo in due che avevamo il cognome italiano, una ch’era nata in Argentina di padre siciliano e di mamma “criolla” ed io, ch’ero già da oltre 20 anni in questo paese, nata in Sicilia, di padre, madre, nonni e bisnonni siciliani. Ricordo che pressoché tutte, chi più ,chi meno, avevamo qualche critica da fare al Governo. Quando mi è toccato il turno di parlare a, logicamente ho fatto la mia critica. Non si è fatta aspettare la risposta dell’altra siciliana presente al pranzo.” E se non ti piace questo paese perchè non te ne vai?” Le parole mi colpirono amaramente dato che non me li aspettavo da una mia amica e ancora meno da una che io consideravo connazionale. Una volta rifatta ho risposto duramente:” quello che non dovrebbe essere partito dall’Italia è tuo padre, per non portare al mondo una razzista come tè”. Brutto momento quello. Ricordo che lei cercò di spiegarmi che lei rispondeva in “nome delle altre che per educazione non avevano il coraggio di dirmi questo pensiero” E le altre invece negarono decisamente quella dichiarazione, dicendo che loro mi consideravano parte integrata del gruppo e che sapevano che io parlavo col diritto che mi dava già in quel tempo il mio livello di artecipazione alla vita ed alle problematiche locali. Ci volevamo bene, con quella amica e continuiamo a volerci bene ancora bensì ci vediamo poco oggi, perciò non è rimasto nessun rancore in me. Ma sì l’esperienza ed il suo ricordo che ogni tanto, alla luce di altri avvenimenti tornavo a riflettere. Finalmente ho capito la mia compagna. Lei, malgrado essere nata in Mendoza, non si sentiva ancora integrata nella società ed nel gruppo dove era inserita. Motivi economici, motivi culturali, motivi banali alla luce della esperienza e della vita, ma che per lei erano stati importanti .Il padre era un uomo venuto solo prima della guerra, duro, chiuso, non sapeva leggere e scrivere e non aveva trasmesso niente della sua storia, dei parenti, del paese di nascita ai figli, una ragazza ed un ragazzo. Purtroppo nel lavoro non era riuscito a progredire e la loro situazione sarebbe stata più difficile se la mamma. non fosse stata una brava sarta. La mia amica non sapeva in quel tempo che quella situazione era comune a tanti emigrati e che il padre aveva fatto quanto poteva e quanto sapeva per andare avanti. Non sapeva che non c’era di che vergognarsi e che la diversità è una vera benedizione dell’umanità. Lei, a suo modo, quel giorno, rifiutando me, ha voluto fare che le altre accettassero lei. Fu un caso semplice di sopravvivenza. E per questo che quando sento parlare in Italia d’integrazione, una cosa molto importante, necessaria e che deve essere fomentata dall’educazione, dall’economia, dalla comunicazione e da tutti gli ambiti della cultura, so che sarà un lungo e difficile percorso. So anche che su questo si dovrebbe cercare a livello ufficiale, la collaborazione degli immigranti ,degli emigrati e di quelli che con loro ci lavorano spesso. Antonina Cascio