L’uomo moderno ha una visione diversa del mondo, è più curioso di scoprire nuovi orizzonti, di fare nuove esperienze in un contesto diverso da quello in cui è cresciuto. Questo non significa che non ami più il proprio paese o la propria città. La gente si muove, le comunicazioni sono rapide e facili, non si è più attaccati come una volta, al luogo di origine. Ecco dunque che maestri o professori, medici, ingegneri, chimici, laureati in scienze economiche o in giurisprudenza o in scienze politiche, o rappresentati di commercio fanno addirittura concorsi per andare a lavorare in grandi aziende in Europa o in organismi internazionali, o presso Ambasciate o Consolati o presso scuole.

 Questa è l’emigrazione definita intellettuale, perchè è una scelta, a differenza di quella di quanti, analfabeti o solo con poche classi elementari, sono stati costretti, per mangiare, per risolvere il problema della loro esistenza, ad intraprendere la via dell’espatrio, a lasciare il proprio paese con niente in tasca, ignorando la lingua, gli usi e i costumi del paese dove si sarebbero ritrovati. Ed una volta arrivati, abbagliati dalla novità, dalle luci di questo sconosciuto mondo, c’erano problemi di sopravvivenza immediata da risolvere. Ecco, l’emigrazione intellettuale è un’altra cosa, è fatta da persone che nella maggioranza dei casi potrebbero rimanere tranquillamente al loro paese, dove lavoro ce l’hanno già o lo troverebbero in poco tempo. Ma perchè quest’idea di emigrare e soprattutto in Italia? A mio avviso questo succede perchè c’è la nostalgia trasmessa dai genitori, l’idea che in Italia, servendosi in un primo momento dell’appoggio dei parenti, sarebbe più facile aprirsi una strada ed inserirsi avendo delle capacità e dei titoli. È una scelta difficile ma non impossibile e soprattutto per il fatto che queste persone che intraprendono questo percorso, conoscono attraverso quanto è stato referito dai loro genitori persino le strade e stradette dei loro paesetti ed anche la mentalità degli italiani, che detto tra noi, non è tanto semplice e nemmeno tanto ospitale, perchè se si pensa al detto popolare “l’ospite è como il pesce dopo tre giorni puzza”, hanno sicuramente un coraggio fuori serie, ma anche hanno la sicurezza che possono inserirsi ed inoltre se hanno la doppia cittadinanza, sono più che sicuri che ce la faranno. Sono pieni di idee ed anche di creatività, i loro studi non sono stati facili, benchè li abbiano fatti in un’università privata o statale, ci sono riusciti e vogliono provare le loro capacità nel mondo, perchè non incominciare con l’Italia? e se non va bene, ci sono ancora tutti gli altri paesi dell’unione europea. Loro la pensano così, ho parlato ed ho avuto ocassione di stare con diversi professionisti che si sono fatti un avvenire fuori dell’Argentina e benchè hanno sofferto all’inizio dopo ce l’hanno fatta, non solo in Italia, ma anche in Francia e nella Spagna, almeno quelli che ho avuto la fortuna di conoscere. Questo fatto succede anche da parte degli italiani perchè per esempio ci sono insegnanti che attraverso un concorso e conoscendo la lingua del paese dove saranno destinati, vengono in Sudamerica come insegnanti MAE ed hanno un tempo stabilito di permanenza in servizio all’estero e poi ritornano in Italia e proseguono con il loro lavoro. Certo che questa è una bella ocassione per loro perchè hanno degli stipendi altissimi e secondo il paese dove vanno la loro rimunerazione può avere un valore quattro volte di più, per esempio se vengono in Argentina. Anche loro sono spinti dalla voglia di conoscere mondo, costumi e forme di vita diverse. Ma è appunto l’ansia, la voglia di conoscere nuovi mondi, di ampliare gli orizzonti, la curiosità insita da sempre nell’uomo che li spinge, per così dire, ad emigrare.

Prof.ssa Aurora Bomprezzi.