09 Novembre 2020 - David Sassoli torna con la memoria al 6 maggio 2010, giorno in cui il vicepresidente americano Joe Biden prese la parola davanti agli eletti dell’Europarlamento. «Un discorso bellissimo», ricorda, soprattutto quando sottolineò che

«i nostri interessi globali ci legano indissolubilmente gli uni agli altri». Invece, ammette il numero uno dell’euroassemblea, «in questi anni gli Usa hanno più che altro dato la sensazione di voler alimentare le nostre divisioni». E naturalmente sollevato. La sconfitta di Trump gli pare mettere fuori gioco i populisti, «cultori delle piccole Patrie», perché alla Casa Bianca c’è nuovamente «un leader che crede nel processo d’integrazione europea, favorevole a un’Europa partner forte e credibile degli Stati Uniti». E convinto, Sassoli, che questo cambio della guardia sia «una grande opportunità per tutti». Nella prima intervista dopo le elezioni americane, l’eurodeputato democratico prevede che l’affermazione di Biden rilancerà il multilateralismo e le relazioni transatlantiche, tanto da impone all’Europa un salto di qualità. Per affrontare la pandemia, ma non solo, vede un’unica via: fare di più a livello comunitario per essere vicini alle persone in difficoltà e lavorare con decisione a «un vero governo europeo».

Presidente, ha perso The Donald. Quello che diceva che l’Europa è stata creata per danneggiare l’America. Andrà meglio, no?

«Con Biden sarà diverso. Venne nel nostro emiciclo per dire che col trattato di Lisbona l’Unione diventa più forte. Ora, è certo che non dobbiamo allentare la spinta che rende l’Ue più resiliente, più autonoma e indipendente. Ma la rinnovata opportunità è affrontare insieme con l’America le sfide comuni. E c’è qualcosa che vale sia per l’Europa che per gli Usa: povertà crescente, diseguaglianze e esclusione sociale sono i campi di impegno. Il Covid-19 è stata la prima crisi globale alla quale non abbiamo opposto una visione comune e ciò ha reso meno efficaci le nostre risposte».

Cosa si aspetta da Biden?

«Una politica verso il resto del mondo, meno divisiva e più dialogante. Ferma su alcuni principi. E anche un ritorno degli Usa al multilateralismo, che è stato congelato nei quattro anni di Trump. Mi ha fatto piacere durante lo spoglio elettorale il tweet di Biden che vincola a sua amministrazione a tornare protagonista nella lotta contro il cambiamento climatico».

Però l’America è divisa. Ci sono 70 milioni di trumpiani.

«Abbiamo vissuto un grande momento di democrazia e partecipazione, anche se dal voto esce un paese molto polarizzato. Biden e Harris dovranno lavorare molto per riconciliare le due anime della nazione».

I populisti sono sconfitti?

«Con Trump è stata sconfitta la destra che finge di stare col popolo. Da noi i sovranisti si ritrovano orfani e fuori gioco perché non c’è più spazio per chi pensa di esorcizzare i problemi alzando muri. La risposta europea al Covid è stata un modello di solidarietà economica e politica da cui sarà impossibile tornare indietro. Ma non possiamo fermarci. E con Biden e Harris la sfida riguarda la messa a punto di un nuovo modello economico che rappresenti gli interessi di coloro che non hanno difese».

I nazionalismi si cibano di squilibri e paure. Hanno le loro ragioni, talvolta.

«Tutti i cittadini capiscono che abbiamo bisogno gli uni dagli altri, per proteggerci dal Covid-19 e dal cambiamento climatico, per lottare contro le diseguaglianze e garantire la nostra sicurezza. Il modello Trump è fallito esattamente perché ha puntato sull’America di chi ce la fa. Il nuovo dialogo Ue-Usa è per politici che vogliono ricollegare popolo e democrazia e segnare la rotta del XXI secolo».

Davvero la reazione europea al virus è stata un modello?

«Abbiamo messo in campo risorse come mai prima. Sono state prese decisioni fondamentali sui meccanismi economico-finanziari. Abbiamo mandato in soffitta le regole sugli aiuti di stato, il Patto stabilità e imposto debito comune. In marzo era tabù parlare di bond europei; oggi abbiamo avuto un grande successo con l’emissione di bond per Sure, con tanto di bandiera europea issata su Wall Street. Stiamo chiudendo la prima fase, ora dobbiamo pensare al secondo tempo».

Come?

«La pandemia non si ferma. I cittadini hanno bisogno di essere protetti e la democrazia europea deve compiere passi avanti. Rispetto alla prima fase, che ha segnato forte discontinuità con i metodi liberisti del passato, serve più attenzione alle condizioni materiali delle persone. C’è troppa povertà e non possiamo stare a guardare. Nello stesso tempo, si richiede una riflessione per rafforzare i meccanismi della democrazia europea che deve essere più efficiente: serve un vero governo dell’Europa».

Qual è la lezione del voto americano per Roma?

«L’Italia deve uscire dal dibattito un po’ autoreferenziale e lanciarsi in mare aperto, da grande paese europeo. Siamo in prima fila nelle sfide globali: Mediterraneo,Turchia, Medio Oriente, Africa, immigrazione fanno dell’Italia un interlocutore a livello globale. E una occasione da non perdere».

Ha un messaggio per Donald Trump?

«Bisogna sempre affidarsi alla democrazia e alle sue regole. E avere fiducia nei cittadini».