
QUESTIONE DI SFUMATURE
Insomma, è difficile capire quali saranno le priorità assolute dopo il vertice. Ed è per questo forse che molti hanno chiesto alla Commissione di indicare un piano di azione e implementazione stringente. Negli scorsi mesi, si è parlato di una scoreboard (una scheda valutativa) che dovrebbe tenere traccia dei progressi in materia sociale e confluire nelle valutazioni che verranno fatte in occasione del Semestre europeo. A ben vedere, Palazzo Berlaymont sembra essere l’unico attore in grado di dettare una linea concreta. Ma i Primi ministri seguiranno Juncker? A parole, venerdì, la stragrande maggioranza si è detta entusiasta del Pilastro. Emmanuel Macron ha sottolineato che è “necessario essere coerenti e creare un sistema integrato di politiche nazionali ed europee”, affinché non sia più possibile gestire accordi commerciali e politiche economiche senza buttare un occhio alle conseguenze sociali. Il Presidente francese ha poi menzionato il problema del “social dumping fra Stati” come un esempio concreto della deriva di un approccio sfilacciato. Antonio Costa, Primo ministro portoghese, ha egualmente detto che non ci deve essere “una corsa al ribasso” tra Paesi e che servono investimenti nelle categorie classiche del welfare: “Abbiamo bisogno di spendere in educazione e pensioni”. E sebbene il leader francese e quello di Lisbona sembrino, apparentemente, sulla stessa barca, non possono sfuggire le sfumature di un’impostazione “liberale”, nel primo caso, e di sinistra tradizionale, nel secondo. Ciò che lega i due leader è piuttosto un’avversione rispetto a politiche di austerità pure, come quelle realizzate nel corso dell’ultimo decennio. Forse è proprio (o soltanto) questo il motivo che ha spinto il Commissario per l’Occupazione, gli affari sociali, le competenze e la mobilità lavorativa, Marianne Thyssen, a dirsi convinta che la strada intrapresa oggi sia quella buona: “Ho sentito molto entusiasmo”.
APRIAMO GLI OCCHI
Eppure si devono aprire gli occhi; e notare che, per ogni coppia Costa-Macron, ce n’è un’altra composta da Primi ministri come Charles Michel (Belgio) e Viktor Orban (Ungheria). Certo, sono due personalità completamente differenti: il primo è un liberal-conservatore e ha usato il suo intervento per ribadire che sarebbe un errore, attraverso l’ufficializzazione del Pilastro, lanciare un messaggio contro “lo sviluppo economico e la crescita” (che suona un po’ come mettere le mani avanti per eventuali defezioni future). Il secondo è un nazional-socialista che non ci ha pensato due volte, anche oggi, a enunciare la quintessenza dello Stato nazione: ogni Paese è “fiero dei propri modelli” di governo ed “è un bene che sia così” (tradotto: scordatevi, sulla scorta del Pilastro, di interferire con la nostra politica sociale). Ma il punto è un altro: ammesso e non concesso che figure come Macron e Costa trovino un’intesa sull’implementazione del Pilastro, è veramente difficile immaginarsi un ménage a quattro con Michel e Orban, o a 27, per quel che vale. È (ANCHE) QUESTIONE DI LINGUAGGIO Analizzare l’intervento di Orban di venerdì serve anche a sollevare un altro problema che avranno coloro che vorranno sostanziare il Pilastro, in primis le istituzioni. Il Primi ministro ungherese è stato l’unico a far veramente battere i cuori degli avvocati “vecchio stampo” del mondo del lavoro pronunciando due parole semplici: “piena occupazione”. A detta di Orban, si tratterebbe di uno dei tre macro-obiettivi su cui si basa l’operato dell’Esecutivo ungherese a livello nazionale – in parallelo alle strategie più note come la “chiusura delle frontiere” o delle politiche “fiscali a favore delle aziende”. Il linguaggio usato dagli altri invitati (e nella stesura del testo del Pilastro) è stato invece caratterizzato da termini a tratti nebulosi, quali “inclusione”, “coesione”, ed “economia sociale”: un vocabolario che “parla” soprattutto all’accademia e agli addetti dei lavori, ma che risulta “freddo” (per non dire ostico) per molti cittadini, proprio quelli che l’Ue ha l’ambizione di coinvolgere di più nelle dinamiche politiche europee.
IL CIELO SOPRA A GOTEBORG
Durante la conferenze stampa finale, la Commissione ha consegnato una lista di sei ambiti chiave nei quali propone al Consiglio di fare progressi sostanziali: si va da un allargamento del programma Erasmus+ a investimenti nell’apprendimento delle lingue. Cosa c’entra con l’Europa sociale? Difficile dirlo. Alla domanda se, dopo questo meeting, la costruzione di politiche sociali comuni sia un’opzione realistica, il Primo ministro svedese Lofven ha risposto discutendo l’ipotetico sviluppo di un salario minimo europeo: “Non saremmo interessati perché i nostri partner sociali nazionali svolgono un ruolo chiave nelle negoziazioni che, per altro, sono settoriali […] Abbiamo garantito 20 anni di crescita dei salari reali […] Siamo contenti così”. Quando i giornalisti lasciano la conferenza stampa, il cielo sopra a Goteborg è plumbeo. Davanti all’Hotel Quality 11, un’ex fabbrica dismessa, le bandiere dei 28 Stati Membri dell’Ue sventolano incessantemente sospinte da un vento gelido. Il sito è ancora blindato dalla polizia e l’unico collegamento con il centro città è un traghetto. Se per molti l’economia europea è di nuovo in cammino – e anche oggi le istituzioni lo hanno ribadito -, la verità è, invece, che le condizioni atmosferiche svedesi di novembre rappresentano una buona metafora per descrivere il contesto in cui questa Ue si appresta a rilanciare una dimensione sociale. Sembra esserci poco da fare. Se non coprirsi bene e tornare dall’altro lato del fiume, in mezzo ai cittadini, e spiegare cosa sia, e a cosa serva, il Pilastro europeo dei diritti sociali. (Alexander Ricci) FONTE: http://it.blastingnews.com/economia/2017/11/abbiamo-un-pilastro-europeo-dei-diritti-sociali-ma-non-sappiamo-come-usarlo-002175055.html