L’AQUILA - The “Big Apple”, ovvero Grande Mela; la metropoli statunitense per eccellenza, la città più accattivante del mondo, il crocevia della finanza internazionale. Tutto appare magico: …con quel suo polmone verde dal nome “central park” che irradia di freschezza in primavera l’intero panorama circostante; con quei suoi storici grattacieli; l’Empire, il Chrysler e il Rockfeller, che sono parte essenziale e divenuti simbolo nell’immaginario collettivo dell’abitare in verticale; con quel suo cuore pulsante finanziario di Wall Street e con quella fiaccola tenuta in mano dall’elegante signora di 93 metri, in ferro e acciaio, all’entrata della baia…; emblema assoluto di speranza, sogno e libertà. Tutto - come dicevamo – è straordinario, irresistibile, fatato, e quando al calar del sole fa capolino il tramonto, l’accendersi lento e sornione dell’intero scenario lascia attoniti, meravigliati, sbigottiti. Ero al piano numero 107 della Torre Nord del World Trade Center nell’ottobre del 1998, l’ultimo, la terrazza a quasi 500 metri dal suolo. 17 anni fa, ma è come se fosse ieri, ve lo assicuro. Ho ancora quell’immagine stampata nella mia mente, e non passa giorno che per qualche secondo non me la ritrovi sempre davanti agli occhi, con un filo di emozione e nostalgia. Il caso ha voluto che mi trovassi lassù proprio nel momento più bello, nell’attimo più ricercato e desiderato; il passaggio tra il giorno e la notte. Mentre il sole secondo per secondo oscurava la città, pian piano, in concomitanza, all’orizzonte le luci cominciavano ad illuminarla, di nuovo, ma con un effetto a dir poco incantato. Un infinito davanti a me, che si accendeva istante dopo istante, minuto dopo minuto e dava l’avvio a quella che sarebbe stata una delle solite notti insonni della bellissima New York. Li, in quel mondo talvolta al limite della realtà, in quella terra così lontana ma vicina e in quell’Hudson River; fiume di speranza e “isola delle lacrime”, c’è tanto di noi. In milioni, nei primi del Novecento e per decenni, i nostri connazionali hanno varcato quei confini, attraverso la porta d’ingresso di Ellis Island e in molti sono diventati parte integrante dell’AMERICA come la conosciamo oggi. Noi e loro; un binomio inseparabile! Metà di quell’imponente e maestosa city è composta da nostri cari compaesani, da gente che nel corso degli anni l’ha costruita, mattone dopo mattone, e ne è diventata l’ossatura primaria, la struttura portante. Quanti, i cognomi italiani in quegli “Angeli del fuoco”, i Vigili, gli EROI, e quanti nei corpi di polizia, locale e federale. Quanti i liberi professionisti, gli artigiani e i coraggiosi commercianti che hanno esportate il made in italy con il food and beverage. Quanti si sono arrampicati su, per quegli alti palazzi e sono stati i veri fautori delle meraviglie architettoniche che ammiriamo oggi, e quanti ancora sono divenuti fulcro del tessuto sociale dell’intero Stato. Basta fare alcuni cognomi e il gioco è fatto; impossibile non esserne orgogliosi. Nelle istituzioni con la famiglia dei governatori Cuomo, con i sindaci La Guardia, Giuliani e l’attuale De Blasio. Nella settima arte, il cinema, che dire dei De Niro, dei Pacino e dei Sinatra…ma anche dei Capra e dei Coppola. Nulla, se non che la lista potrebbe essere molto lunga e di grande prestigio. Tanto dunque l’onore e il rispetto per coloro che hanno portato in alto l’italianità nel mondo. Un cordone ombelicale che ci unisce, un vanto e una fierezza per tutti noi che, nel piccolo stivale del Mediterraneo; vediamo, osserviamo, ammiriamo con piacevole stupore e con profonda, immensa, inaudita gratitudine. (mirko crocoli\aise)