Era una fredda giornata del gennaio del 1968, quando alle ore 13,28 di quel 14 gennaio, la terra tremò spaventando tutti e facendo morti e distruzione. Paesi interi vennero distrutti, nomi come Gibellina, Menfi, Montevago, Partanna, Poggioreale, Salaparuta, Salemi, Santa Margherita di Belice, Santa Ninfa, Vita quella giornata erano sulla bocca di tutti.

La televisione continuava a dare notizie drammatiche e a trasmettere scene di indescrivibile disperazione. Alle 14,15 la terra tremò di nuovo violentemente colpendo la stressa zona, una terza scossa arrivò alle ore 16,48 ad aumentare lo scompiglio e la paura di gente che vagava in mezzo alle macerie in cerca di un parente di qualche superstite. Alle 02,33 del 15 gennaio, arriva una ulteriore scossa fortissima, tanto da essere sentita fino a Pantelleria. In Sicilia non si era mai visto un terremoto di queste dimensioni e di questa violenza che colpisse una zona così vasta che coinvolgeva tre provincia: Agrigento, Trapani e Palermo. Il sisma non si accontentò solo di quelle scosse, nel lasso di tempo che va dal 14 gennaio al primo settembre, i sismometri registrarono 81 scosse, distruggendo interi abitati. I soccorsi scattarono subito, arrivarono volontari di tutte le parti d’Italia ed anche dall’estero. Le autorità si mossero tempestivamente, ma era difficile organizzare in mezzo a quella confusione. I sindaci allestirono tende per fare funzionare un minimo di coordinamento degli interventi. La zona venne chiusa all’accesso di esterni, per prevenire anche l’immancabile sciacallaggio che in questi casi non manca mai. Noi, una delegazione del comune di Campobello di Licata, arrivammo sul posto qualche giorno dopo per capire come era possibile aiutare quelle popolazioni. Le scene davanti alle quali ci trovammo erano di una crudeltà indescrivibile. Volontari che cercavano di porre ordine in quella confusione estrema muovendosi in mezzo al fango causato da una pioggia inclemente che continuava a scendere su quelle macerie. Cittadini che vagavano in mezzo alle macerie senza meta, con una coperta sulle spalle o con qualche oggetto in mano. Era difficile scorgere segni di lucidità in molti di loro, i cui occhi vagavano nel vuoto senza meta, dando segnali si estraneità dai luoghi, di incredulità ancora dopo giorni. Come si fa ad organizzare aiuti sufficienti da potere assistere tutta quella folla di persone colpite dal sisma? Una folla che ancora non riusciva a rendersi esattamente conto di quello che era successo, della portata del drammatico disastro che aveva già causato circa 400 morti un migliaio di feriti ed oltre 70.000 sfollati da collocare da qualche parte. La cosa che in quel frangente mi colpì di più, fu il vedere una tenda dove all’esterno era affisso un cartello con la scritta “Questura”. L’invito a trovare riparo da quella tragedia raggiungendo parenti che avevano in passato scelto la strada dell’emigrazione non solo era nell’aria, ma si toccava con mano in quella tenda. Lì venivano forniti biglietti ferroviari di solo andata per il nord Italia, passaporti a vista per raggiungere parenti all’estero. Molti partirono, ma i più rimasero perché non vollero abbandonare la loro terra e quel futuro che vi avevano costruito al prezzo di sacrifici. Un futuro che ormai sembrava essersi allontanato di molto. Vennero costruite casette in legno o in prefabbricati, dove vennero alloggiati coloro che avevano fatto la scelta di restare ed erano molti in tutti quei comuni che erano stati colpiti. Molti soldi arrivarono dalla solidarietà italiana e mondiale per intervenire nel processo di ricostruzione. Alcuni paesi come Montevago, Gibellina e parte di altri, vennero costruiti da sana pianta, in siti adiacenti a quelli che erano stati distrutti e che sono rimasti a testimoniare quel dramma di cui ancora oggi a distanza di 54 anni si continua a parlare e si continua a chiedere di capire come mai c’è ancora gente che vive in quelle casette, come mai ancora quel terremoto di 54 anni fa, è ancora una ferita aperta dopo tanti anni e dopo una pioggia di finanziamenti sia statali che privati. E’ un interrogativo che ad ogni anniversario torna e non solo sulla bocca di coloro che intervistati hanno passato tutta la loro vita in quelle casette. Arriverà una risposta a tale domanda? Arriveremo a vedere lo sgombero di quelle casette o la loro destinazione ad una mera funzione di memoria per ricordare la tragedia di quelle popolazioni ed il vissuto di popoli di hanno dovuto affrontare una vita diversa di quella che avevano sognata, una vita disegnata da un destino infame che ha condannato molti di loro a sperimentare la via dell’emigrazione. Una scelta che nella maggior parte di loro si è tramutata in una scelta definitiva che ha loro permesso anche, attraverso le rimesse, di prendere parte alla rinascita di quei luoghi. Resta comunque il fatto, che una delle soluzioni perseguite, fu quella di un biglietto ferroviario di solo andata che privava quelle zone di vite attive, di braccia valide, di intelligenze che potevano essere coinvolte nello sviluppo dell’intera Isola. Salvatore Augello 14 gennaio 2022