Ringrazio per l’introduzione, soprattutto per l’invito a partecipare a questo ciclo di audizioni su un tema che a mio avviso può avere grandissime opportunità, la possibilità di istituire una commissione parlamentare per le questioni degli italiani all’estero.

È un tema che il nostro Paese deve avvertire profondamente perché la sua storia è fatta di gente che è partita, che ha solcato i mari, che ha travalicato le Alpi. È sempre difficile parlare di emigrazione fuori dalla retorica e noi lo abbiamo fatto, perché la storia del mondo è una storia di migrazioni, da quando il Signore disse ad Abramo “vattene, lascia la casa del Padre, va a cercare te stesso” E soprattutto questo è vero per l’Italia, ma in questo momento, con la curvatura che ha avuto la globalizzazione negli ultimi anni, questo fenomeno ha subito un’accelerazione fortissima. In questo Paese l’emigrazione ha sempre seguito fasi diverse, ma alla lunga l’esistenza di questo fenomeno ne fa un elemento strutturale della storia nazionale, un fenomeno collettivo, quasi identitario del nostro Paese. Ed è molto utile parlarne in questo momento in cui da mesi, anni, sentiamo dire che l’emergenza nazionale sia l’immigrazione mentre i dati ci dicono che l’emergenza è l’emigrazione, in particolare dei giovani, spesso della parte più qualificata delle nuove generazioni. C’è un paradosso tutto italiano: noi siamo ancora fra i paesi più industrializzati al mondo, siamo l’ottava potenza industriale del mondo e allo stesso tempo siamo il paese che ha raggiunto l’ottavo posto nell’incidenza nel numero di emigrati verso gli altri paesi industrializzati. Ecco, questa duplice posizione non dovrebbe coesistere e rappresenta uno degli elementi a mio avviso che vincolano ancora di più lo sviluppo del nostro Paese. Un dato davvero su cui riflettere anche alla luce di altri fenomeni strutturali che stanno riguardando l’Italia negli ultimi anni. Cioè, in particolare, la dinamica demografica del nostro Paese che è anche influenzata dai flussi migratori e soprattutto dalle nuove generazioni. Questo è un elemento più preoccupante del fenomeno migratorio dal nostro Paese, cioè il fatto che si combina con un crollo della natalità e della fertilità, che colpisce tutte le aree del Paese. Al Sud, in particolare, negli ultimi anni ha subito un vero e proprio declino demografico. Proprio nel volgere di un decennio, è passata da essere l’area più giovane, più politica del nostro Paese a essere quella in cui il tasso di natalità ha subito un declino maggiore oggi rispetto a quello del Paese. Ecco questa perdita di un primato demografico è forse l’elemento di preoccupazione, maggiore anche rispetto alle dinamiche sociali ed economiche di medio o lungo periodo, perché poi incide davvero sull’equilibrio demografico e dunque anche economico del nostro Paese. Ma ovviamente questo non riguarda solo il Sud, riguarda sempre più la restante parte del Paese, riguarda anche il Nord-Est, il Nord-Ovest, dove si registrano flussi migratori verso l’estero. Talvolta sono anche l’effetto di migrazioni di seconda battuta, di una migrazione di rimbalzo, cioè giovani in particolare che dal Mezzogiorno arrivano al Centro-Nord e che poi prendono da lì la via per i paesi europei o di altri continenti. Ecco, il nesso con la dinamica demografica più complessiva è un elemento che noi dobbiamo tenere in grandissima considerazione. Perché è quello che in prospettiva ci restituisce un Paese sempre meno giovane, con sempre meno popolazione in età attiva e lavorativa. E incide sull’equilibrio del nostro sistema di welfare e dunque della tenuta sociale del nostro Paese: sanità, pensioni, in un momento in cui, per fortuna, l’aspettativa di vita è crescente anche se ci sono alcune diversificazioni territoriali frutto dei diversi gradi di sviluppo, di benessere nel nostro territorio. Lo dico perché, se è vero che bisogna parlare di migrazioni fuori dalla retorica, in un senso e in un altro noi dobbiamo mettere a fuoco che questo rappresenta un problema per il nostro Paese. E la riduzione di questi flussi migratori ovviamente non si fa per decreto, non si fa con una legge, non si fa nemmeno con iniziative specifiche che noi nel corso degli anni abbiamo anche messo in campo come Paese. Si fa riavviando i processi di sviluppo, perché sono questi quelli in cui si inserisce la dinamica di mobilità. In questi mesi, queste settimane caratterizzate dalla convivenza con il virus, noi vorremmo che il processo di sviluppo fosse un elemento caratterizzante della nostra modernità, e qui c’è il punto a cui accennavo: cioè il problema non è che i giovani se ne vanno, ma è che questo si inserisce in una più scarsa capacità di attrarre altri giovani, altro capitale umano. Insomma, noi parliamo di “brain drain”, perché ci manca il “brain exchange”. Ci troviamo spesso a dire che i giovani devono essere liberi di andare, con tutto quello che questo comporta, ma devono avere la libertà e l’opportunità di tornare. E noi, come istituzioni, come politica, dobbiamo provare a garantire il diritto a restare nei propri territori. Quindi occorre riavviare il processo di sviluppo, immaginare un processo di sviluppo più equilibrato, anche nelle prospettive, nelle opportunità nei territori, appunto. E questo si fa provando a colmare i divari territoriali, che è fondamentalmente il compito del mio ministero. Ciò non significa contrapporre,come erroneamente è stato fatto in passato, l’equilibrio territoriale con lo sviluppo, perché l’equilibrio territoriale è una delle precondizioni dello sviluppo, perché attiva potenziale laddove è stato meno sviluppato nel corso di questi anni. Ripeto, sicuramente la frattura Nord e Sud è il primo vincolo, poi ci sono divari territoriali che riguardano altre realtà del nostro Paese, che vanno trattate con la stessa determinazione. È una delle ragioni per cui abbiamo voluto potenziare, rafforzare, riprendere la Strategia Nazionale delle Aree Interne, farla diventare non più solo quella bella sperimentazione che era, ma provare a farla diventare una politica strutturale. In fondo si tratta di coniugare sviluppo ed equità: equità di genere, equità generazionale ed equità anche territoriale. Questo si realizza ovviamente creando nuove opportunità di lavoro, di lavoro buono, soprattutto per le nuove generazioni, ma anche offrendo un sistema di servizi, di vivibilità nei propri territori: cosa che è tra le condizioni della “fuga”. Il fenomeno ha dimensioni importanti, meglio ricordarlo, in particolare nel Mezzogiorno, che ha davvero tirato avanti nel corso degli ultimi quindici anni. Accanto a questa premessa generale, che in fondo è il senso del Sud, è possibile immaginare alcune linee specifiche di intervento. Una la stavo accennando: è l’inversione del processo di spopolamento nelle aree interne. Su questo, accanto alla strategia nazionale delle aree interne che abbiamo davvero potenziato anche in termini di risorse tra la legge di bilancio e il decreto Rilancio, abbiamo stanziato oltre 500 milioni aggiuntivi sulla strategia nazionale delle aree interne anche per il sostegno alle attività economiche in quei territori. E grazie a un emendamento parlamentare abbiamo attivato una linea specifica di intervento, nella conversione del decreto Rilancio, che prevede anche iniziative specifiche di reinsediamento abitativo. C’è il tema invece dell’equità generazionale: fornire maggiori opportunità ai giovani e una nuova linea di intervento che forse, dopo la pandemia, possiamo scoprire e mettere a fuoco. Una politica specifica verso i cosiddetti “rientrati”, cioè molti giovani che sono rientrati non solo al Sud dal Centro-Nord, ma anche in Italia dall’estero, perché molto spesso privi di tutele. È stato un bene tenere in considerazione anche questi dettagli nella definizione del reddito di emergenza, perché era un segnale da questo punto di vista, verso quelle persone per le quali dobbiamo immaginare una strategia per provare a offrire le condizioni per farle restare. Ed è quello che ci chiedono, immagino anche a voi. Io ricevo centinaia di lettere di persone che mi dicono “dateci l’opportunità di contribuire alla ripresa dell’Italia”. Noi abbiamo effettivamente bisogno, è un patrimonio straordinario che si è accumulato e poi disperso negli anni in termini di capitale umano e noi abbiamo sprecato l’investimento formativo che abbiamo riservato alle nuove generazioni, anche un investimento di qualità. Ecco perché la via è immaginare percorsi di reinserimento di questo capitale umano nel mondo del lavoro, pubblico e privato. Questo si fa innanzitutto rilanciando gli investimenti pubblici e privati. Questo è il senso del Piano per il Sud, che stiamo attuando e che, per certi versi, dopo la pandemia risulta ancora più attuale sulle missioni di intervento che aveva individuato. Avviare una politica industriale specifica, fatta di credito di imposta per gli investimenti rafforzati, di un fondo per la crescita dimensionale delle imprese, che significa anche il miglioramento della sostenibilità ambientale, della qualità del management esterno. Significa, per esempio, quello che abbiamo fatto nel decreto Rilancio: il potenziamento del credito d’imposta per ricerca e sviluppo che dà, per esempio, una possibilità in più al sistema delle imprese di inserire nel tessuto produttivo elementi di digitalità, perché questo è uno dei problemi dello sviluppo italiano. C’è una nostra partecipazione molto importante al Fondo Nazionale Innovazione, che offre percorsi di venture capital proprio sulla filiera più innovativa. Significa provare a offrire possibilità a questi giovani. Poi bisogna fare un riavvio di un grande processo di infrastrutturazione, in primo luogo ambientale e digitale, perché così si spezza l’isolamento e nella società di oggi si offrono opportunità di sviluppo anche in merito a tutti i territori. L’infrastrutturazione deve essere anche sociale, come accennavo anche prima. E su questo c’è un impegno specifico per il Sud, perché i divari che registriamo oggi non sono solo economici e sociali, ma purtroppo sono soprattutto divari di cittadinanza, nell’accesso e nella garanzia di diritti di cittadinanza che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La stessa amministrazione pubblica – vorrei dirlo perché siamo in una fase in cui stiamo discutendo molto di come migliorarla – va semplificata, anche quella locale. Il decreto semplificazioni va in questa direzione. Ma è uno sforzo che a mio avviso rischia di essere vano se non ci preoccupiamo con altrettanta determinazione di un processo di rafforzamento dell’amministrazione pubblica, che ha un’età anagrafica molto elevata. Forse tra i grandi paesi OCSE la più elevata. E si è anche progressivamente impoverita di competenze che servono proprio all’organizzazione e all’amministrazione dello sviluppo. Orientare e promuovere l’innovazione è uno dei compiti che l’amministrazione può svolgere solo se ha le risorse umane preparate a questa missione. Credo che le nuove vie che l’Europa, probabilmente nelle prossime ore, ci offrirà allo sviluppo nazionale, vadano colte esattamente in questa direzione. E un’iniziativa specifica che stiamo mettendo in campo con il ministro Manfredi riguarda la possibilità di costituire degli ecosistemi dell’innovazione, in particolare al Sud, sul modello di cui forse si discute poco, ma che è una best practice a livello europeo, anche nell’impiego dei fondi europei: provare a recuperare un po' quello che è stato fatto a San Giovanni a Teduccio. Cioè l’idea di avere un centro di innovazione molto avanzato, con una accademy. Cose che per altro hanno tassi di assorbimento sul mercato del lavoro di circa il 100% delle persone che frequentano, uniti al percorso di rigenerazione urbana. Questo è possibile farlo in ogni parte del Paese, anche al Sud, nelle città, a partire dalle pre-esistenze. Ci sono esempi. A me non piace la retorica dell’eccellenza, che spesso fa rima con eccezione, ma a me piace vedere le cose che funzionano. Per esempio anche laddove meno ce lo si aspetta, in Calabria, a Cosenza, intorno all’università è cresciuto un ecosistema, per esempio uno dei pochi in Italia che si occupa di cybersecurity, intorno a una grande multinazionale che lì, malgrado il covid, continua ad avviare i propri processi. Ecco tutto questo si compie provando a capire chi sono i soggetti che si fanno carico dello sviluppo. Io credo che una delle cose a cui non possiamo rinunciare è questo enorme patrimonio di giovani che sono andati all’estero. Penso che questi non siano una causa persa per lo sviluppo, né per il Sud, né per l’Italia. Questo è stato un po' alla base dell’idea della “Rete di talenti” che è stata citata dal Presidente e sulla quale volevo tornare. Ma l’idea è proprio quella di contribuire, attraverso questa alternanza tra chi è rimasto e chi è andato via, a percorsi di nuova internazionalizzazione del nostro Paese, di posizionamento sullo scenario internazionale. Io credo che mai come durante questa pandemia si è capito che le istituzioni da sole non ce la fanno, hanno bisogno di costruire alleanze. E noi abbiamo bisogno di costruire alleanze anche tra l’Italia e quest’altra “grande Italia oltre l’Italia”, anche per favorire una politica di coesione internazionale nel nostro Paese. Credo che in questo momento abbiamo bisogno di attingere a tutte le risorse, tutte le intelligenze, tutte le competenze e, soprattutto, a tutti coloro che hanno a cuore le sorti del nostro Paese per riprenderci. Ecco perché l’alleanza va coltivata anche con tutte quelle realtà della rappresentanza degli italiani all’estero che, nel corso di questi anni, hanno lavorato talvolta anche con una certa solitudine istituzionale. Credo che questo significhi guardare alle realtà istituzionali, al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, ma anche a quel pluralismo di soggetti sociali che si è organizzato, offrendo in giro per il mondo rappresentanza, associazioni culturali, camera di commercio, che offrono un quadro prezioso per il nostro Paese. Dunque la necessità di immaginare un vero e proprio raccordo. Ecco perché questa commissione di cui stiamo discutendo potrebbe rappresentare davvero una grande opportunità per fare tutto questo e, lasciatemelo dire, anche un punto di raccordo stabile tra il parlamento e l’attività che il Governo deve svolgere in questa direzione con i ministeri maggiormente interessati, tra i quali aggiungo il mio. Perché io credo che in questo momento la coesione territoriale non vada ricercata solo all’interno di questo Paese, ma debba interessare anche quel pezzo di italiani che mancano, così che, da punto di debolezza, deve diventare un punto di forza. E questo vale ancora di più – credo che lo abbia ricordato anche l’ex ministro Frattini proprio qui in commissione l’altro giorno – se si arriva alla riduzione dei parlamentari, perché essa può determinare anche una conseguenza sulla capacità di rappresentanza degli italiani all’estero. Avere un luogo stabile dove far convergere analisi, iniziative, percorsi di studio, sia essenziale. C’è, come ho detto prima, “una grande Italia oltre l’Italia”. Noi dobbiamo guardare a questa, oltre i successi dei singoli, ma per quello che è: un grande fenomeno collettivo, culturale della nostra storia e del nostro Paese che, attraverso delle politiche specifiche, organizzate e coerenti, può diventare una straordinaria occasione per ricollocare l’Italia nel posto che merita sullo scenario globale. Ecco perché sono molto lieto che Parlamento e Governo possano ulteriormente assumere questa prospettiva anche a partire da un’iniziativa come quella di cui state discutendo in queste settimane (USEF)