Non ci si può certo nascondere dietro un dito, il PD da queste elezioni esce con una grave sconfitta che mette tutto in discussione. Questa Italia divisa nettamente in due merita certamente una profonda riflessione. Perché nell’ex regno delle due Sicilia (zona gialla) impera il M5S che raggiunge percentuali molto alte vicine al 50%?

Perché il centro nord (zona azzurra) resta saldamente in mano al centro destra a guida Lega? E poi, perché questa avanzata dei populisti che potrebbero mettere in discussione lo stesso assetto dell’Unione Europea? Interrogativi pesanti ai quali non è facile rispondere senza fare una severa autocritica, come si usava una volta nel PCI e nella sinistra in genere. Ma vediamo di darci una spiegazione. In primis, il rosatellum si è rivelato una legge inadatta, all’interno della quale permane la mancata libertà di scelta degli elettori che non possono esprimere alcuna preferenza. Stiamo parlando infatti di una legge che non consacra né il maggioritario né il proporzionale, ma semplicemente un ibrido che lascia alle segreterie dei partiti ampia libertà di scegliere e nominare chi deve essere eletto e chi no. In questa situazione, è stato facile per Renzi mettere al sicuro i suoi fedelissimi e completare la “pulizia etnica” che ha messo fuori le così dette minoranze. Una lotta interna dovuto ad uno spostamento al centro del PD, una lotta impari che ha portato anche ad una ulteriore scissione, che non è certo servita a richiamare i voti di sinistra, come pensavano Bersani, Dalema ed altri, compreso Grasso, voti di protesta che invece sono affluiti sia al M5S al Sud che al centro destra ed alla Lega al Nord. Un bel risultato quello di Liberi ed Uguali, che è servito solo ad indebolire il centro sinistra senza per altro riuscire nemmeno ad unire la diaspora di sinistra che un pezzo alla volta si è allontanata del PD. Solo il ripescaggio ha permesso a dirigenti come Minniti, Francescani ed altri di tornare in Parlamento, mentre “Liberi ed uguali” dopo il deludente 3,3% di voti presi, sarà presente con Bersani, Grasso e la Boldrini, ripescaggio che riportiamo a parte in un altro articolo in questa pagina. Più pesanti invece sono gli interrogativi che riguardano l’avanzata del M5S nel Centro Sud e quella della Centro destra nel Centro Nord, che rendono l’Italia con una piccola macchia rosso sbiadita al centro, dove continua l’erosione dell’elettorato del centro sinistra nelle così dette zone rosse, ormai diventate rosa. Questa situazione, nuova ma non inattesa, rimette in discussione la mai risolta “questione meridionale”, specialmente dopo la lunga crisi dalla quale il meridione e le isole, non si sono ancora risollevate. Questo, assieme alle promesse elettorali, in special modo il reddito di cittadinanza, che non sappiamo se e quando arriverà, hanno canalizzato il voto di protesta verso il M5S. Notevole contributo a questa sconfitta viene anche dalle deludenti politiche regionali, incapaci financo di spendere i fondi strutturale dell’Unione Europea, avviando quindi quegli investimenti pubblici che non solo dovrebbero servire a colmare il gap strutturale tra Nord e Sud, ma che dovevano e potevano anche servire da volano occupazionale nel corso della lunga crisi economica. Il mancato sviluppo del Sud, la marginalità delle Isole, dove mancano ancora i prefattori di uno sviluppo quali ad esempio uno sviluppo della rete ferroviaria e stradale, una ordinata e conveniente incentivazione al credito per rilanciare la piccola e media imprese e per fare rinascere l’impresa artigianale. Una politica rivolta ai giovani costretti ancora ad emigrare aggravando una disgregazione sociale che non aiuta certo la crescita economica e sociale di tanti comuni meridionali. Alla base della recente sconfitta sta anche una mancata politica territoriale del PD che anche nella composizione delle liste non ha voluto tenere in considerazione le esigenze e le scelte delle strutture territoriali. Tutti elementi negativi che hanno agevolato la scelta autolesionista di chiudere i circoli e non fare campagna elettorale. Così, in una difficilissima campagna elettorale in cui necessitava serrare le fila e curare il territorio, ci siamo presentati con una organizzazione a pezzi che non si è confrontata con l’elettorato e che non ha fatto campagna elettorale, delegando tutto alle comparse televisive di Renzi e di qualche suo fedelissimo. Atteso che alcune delle motivazioni sopra riportate si adattano benissimo anche alla situazione del Nord, ciò nonostante essa merita una diversa considerazione. In questi anni, si è registrata una grande variazione nella composizione della classe operai seguita anche dallo smantellamento e/o dalla delolizzazione di parecchie industrie. Qui, a nostro modesto parere, il PD non è stato capace di interpretare i mutamenti di una classe operai sempre meno manualizzata e sempre più modernizzata e specializzata. Questa nuova condizione, ancora non viene del tutto recepita, come non vengono del tutto recepite le nuove problematiche e le nuove esigenze di tale nuova classe operaia. Eppure, il governo Gentiloni ha fatto ottime leggi, il Ministro Minniti è riuscito ad arginare gli sbarchi, grande cavallo di battaglia di Salvini e del centro destra. Evidentemente non è bastato a rendere visibile l’operato del governo a guida PD. E’ mancata la trasposizione delle conquiste e delle novità che non sono arrivate nella percezione dei cittadini e delle classi interessate. E’ mancato un lavoro di pubblicizazzione in mezzo alla gente, nei circoli, nelle federazioni, nei luoghi di lavoro, come usava una volta. Si è proceduti con arroganza ad una politica verticistica, senza trasmettere alla base le iniziative prese dal governo e dai singoli ministri, senza coinvolgere la base del partito che da sempre ha avuto il compito di stare in mezzo alla gente, di fare politica di discutere dei problemi e delle soluzioni, delle leggi fatte e di quelle necessarie. Tutti errori e limiti che si pagano e che il PD ha pagato a caro prezzo. Non basta certo la dimissione posticipata di Renzi a risolvere il problema, ma occorre una seria analisi dei limiti e degli errori per avviare una sana, robusta e definitiva ripresa del PD. Una ripresa che deve tenere conto delle diversità, della pluralità di idee, delle varie sensibilità che ancora resistono nel PD, cercando di riaggregare a sinistra quei pezzi della diaspora che hanno lasciato il PD e che, sempre nel nome dell’unità della sinistra, hanno provocato scissioni ed allontanamenti che non hanno certo portato bene. Di quello che è successo invece nel PD all’estero, parleremo in un articolo a parte su questo stesso sito la settimana prossima. CHI VOLESSE ESPRIMERE IL PROPRIO PARERE E LE PROPRIE RIFLESSIONI, SARA’ BENE ACCETTO QUALE CONTRIBUTO A QUESTA RIFLESSIONE. Salvatore Augello 10 MARZO 2018