di Tonino D’Orazio (foto accanto)- Prima o poi ci dovrete credere, soprattutto dopo questo aumento straordinario dell’occupazione dello 0,1%. La Boschi dice: ”La disoccupazione scende ancora. Qualcuno può ancora negare il successo del jobs act?” (31 luglio 2017). Intanto non è dato sapere se scende rispetto a che cosa, a chi e quando. Tocca ricercare i dati (2011) e confrontarli (2017). Totale disoccupati: anno 2011, 13,8%. (2017: 30,5%). In pratica la disoccupazione reale è raddoppiata e non si tiene conto dell’uscita dei nostri nuovi emigrati, calcolabile in almeno 1 milione di individui. Dati suddivisi in: disoccupati iscritti 2011: 7,8% (2017: 11,5%); non iscritti: 6% (2017: 14%); lavora 1 ora a settimana: 0% (2017: 5%). Disoccupazione giovanile: 2011: 29,8 (2017: 37%; al Sud, 55% come nemmeno nel dopoguerra). Nell’ultimo censimento ISTAT i residenti in Italia (inclusi i cittadini stranieri senza diritto di voto) erano circa 62 milioni, di cui indicativamente: 22 milioni occupati; 18 milioni pensionati; 12 milioni non ancora in eta’ da lavoro; 10 milioni in eta’ da lavoro ma NON occupati. A fronte di questi numeri il calcolo ISTAT (che scorpora molto arbitrariamente gli ‘inoccupati’) fornisce un dato di disoccupazione di poco superiore all’11% (a fronte di 23 milioni di occupati e di una forza lavoro complessiva – di persone in eta’ da lavoro – pari a 32 milioni). Secondo il criterio (e la formula) universalmente usato dai primi del novecento (e fino al dopoguerra) la disoccupazione non sarebbe ovviamente pari all’11% abbondante, ma sarebbe invece pari a: 10/(10+22) = 31,25%, cioè quasi tre volte quella ISTAT… !! “A crescere è il lavoro povero, dequalificato, con pochi diritti e scarso salario”, spiega il segretario confederale Cgil Tania Scacchetti , rimarcando che “al numero di occupati in più non corrisponde un incremento delle ore lavorate“. Ciò che costituisce la prova provata delle pseudostatistiche. Poi ci sono le “previsioni” sulla crescita del PIL, che la stampa già dà per reale, con il tasso di crescita del secondo trimestre a 0,9%, il più alto almeno dal 2010. Le imprese tornano a cercare il lavoro, posti vacanti al top. Quindi l’economia “tira”, la fine del tunnel (che gli altri paesi fanno finta di aver già visto da tre anni) è in dirittura di arrivo. Vietato sorridere. Se si confermano i dati dell’uscita annuale di nuovi emigrati a circa 200.000/250.000 annui, nei due trimestri bisogna considerare che di questi almeno 100/150.000 se ne sono andati in cerca lavoro altrove. Ma si festeggia il dato di “occupati in più” nel secondo trimestre 2017: + 64.000, lo 0,3%. In pratica sono tutti camerieri e bagnini a tempo determinato e quindi licenziabili alla fine dell’estate, cioè dal terzo trimestre non ancora concluso. Il governo ha avuto il coraggio di esultare per i dati resi noti dall’Istat sul tasso di occupazione delle donne (fascia dai 15-64 anni) che a giugno ha raggiunto il 48,8%, il valore più alto dall’avvio delle serie storiche (dal 1977). In base ai dati Eurostat invece, l’Italia è agli ultimi posti nel confronto europeo (solo la Grecia fa peggio). E addirittura ammette che l’incremento è largamente attribuibile alle “opportunità” offerte dai contratti a termine, da quelli stagionali (i dati sono infatti di giugno) insomma ai benefici introdotti dal precariato selvaggio e perfino dal caporalato, mentre invece gongolano Gentiloni e Poletti per la conferma della bontà del Jobs Act che ha riavviato la crescita. C’è poco da stupirsi che a cogliere le occasioni d’oro della mobilità, dei contratti anomali, del sottobanco, del part-time senza orari siano le donne. E non solo perché a pesare sul dato dell’occupazione femminile italiano – lo dice sempre l’Istat – c’è sempre la difficoltà nel conciliare il lavoro con la famiglia: nel 2016 – in base agli ultimi dati degli ispettorati del lavoro – 30mila donne hanno dato le dimissioni dal posto di lavoro in occasione della maternità, pochissime l’hanno riavuto in seguito se non nel pubblico impiego, ricordando che in Italia ci sono 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini tra 0 e 3 anni, ben al di sotto dei 33 posti indicati come obiettivo strategico (a chiacchiere se poi ti toglie i soldi), dalla Unione europea. L’altro elemento “nascosto” è quello sui dati nell’agricoltura e non solo. L’agricoltura è il settore più colpito, con il sommerso intorno all’86%, seguono servizi e ristorazione (83%), manifatturiero (77%) e commercio (70%). Deleonardis (Cgil): “una piaga da abbattere con la cultura della legalità, ma spesso i sindaci stanno a guardare”. In quanto ai nostri straordinari “condottieri imprenditoriali” c’è l’ultimo Studio di Confindustria che li mette a nudo. I primi 10 gruppi manifatturieri italiani quotati in borsa (Fca Italy, Leonardo, Saipem, Luxottica, Prysmian, Parmalat, Fincantieri, Prada, Buzzi Unicem, Cofide) hanno un fatturato di circa 84 miliardi di euro. I primi 10 tedeschi un manifatturiero di 767 miliardi, i francesi 327 miliardi, gli inglesi 180 miliardi. I nostri equivalgono al 5% del Pil, i tedeschi al 25%. I margini industriali italiani (dal 2012) sono crollati del 30,7%, i britannici hanno ceduto il 5,8% (tenendo conto anche dello choc del Brexit), i francesi invece sono cresciuti: + 35,7% e anche i tedeschi :+ 21,9%. Utili netti: i tedeschi +200 miliardi, i britannici +103 miliardi, i francesi +97 miliardi, gli italiani appena + 4 miliardi. Però abbiamo gli imprenditori più millantatori d’Europa; pensate a Della Valle e alle sue pretese, oppure al solito maglione intriso di sofferenza di Marchionne, oppure al Briatore che vorrebbe che gli si affidassero (regalassero con le privatizzazioni chiamate pudicamente dismissioni) la sanità e il sistema scolastico… I dati sono di Confindustria che continua però lo sciovinismo ignorante nel presentare l’Italia come secondo paese manifatturiero d’Europa dopo la Germania. Magari lo è pure, ma anche in questo caso, di quale manifatturiero si tratta ? Forse, in buona parte, di quello che consente i crescenti fatturati – e profitti – a Francia e Germania ? Insomma siamo uno dei territori declinanti dell’Unione Europea dove tutti rubano la poca acqua rimasta. In più ci penserà il “Gufo” Padoan, che probabilmente è al termine della sua avventura politica (dopodichè Goldman Sachs ne troverà un altro per “aiutarci”) a ricordare che c’è da fare la solita ” manovra ” da oltre 20 miliardi di euro in ottobre… !!! Ha avuto così successo l’ideologia dello stravolgimento del valore del lavoro tanto che, cancellate le conquiste e i diritti frutto di lunghe lotte, l’unico diritto rimasto è quello alla fatica e alla sopravvivenza. L’unica conquista rimasta è l’accesso a un’occupazione precaria, instabile e incerta, grazie a stage, tirocini, esperienze di praticantato, straordinari non pagati, volontariati e le innumerevoli forme di gratuità, scuola-lavoro, tutta roba di corto respiro e condizionata alla cessione di diritti, sicurezze, visione del futuro. La commedia dell’arte degli annunci strombazzati dai mass media all’unisono continua a viaggiare per conto proprio, eppure tutti sanno che si avvicinano le elezioni e che siamo in campagna elettorale da tempo. Un piccolo promemoria? Ad aprile 2014 viene approvato il Bonus degli 80 euro e – guarda caso – a maggio c’ erano le elezioni europee; a novembre 2016 arriva il Bonus Giovani di 500 euro e – per una strana coincidenza – il 4 dicembre successivo c’ era il referendum costituzionale di Renzi; oggi si vara il «reddito d’ inclusione» che inizierà a gennaio 2018 e – curiosamente – a febbraio o marzo 2018 ci saranno le elezioni. Politica di mance elettorali a tempo determinato. Non si tratta di complottismo. Basta un po’ di memoria, neanche troppa. (da cambiamo il mondo)