In occasione del suo 100° compleanno, desidero rivolgere al compagno Pietro Ingrao i migliori Auguri di buona salute, a ricordo delle tante battaglie per l’affermazione dei valori più autentici della Sinistra e a difesa delle Istituzioni repubblicane. Fra i numerosi commenti sulla stampa nazionale nessuno ha ricordato il legame che Ingrao mantenne con la Sicilia, con la provinciadi Agrigento, con Grotte paese d’origine della sua famiglia paterna. Rilevo tale mancanza non per campanilismo, ma perché Ingrao ci ha tenuto e credo ancora ci tenga a questo legame, come ha confermato nella sottostante intervista che gli feci il 29 settembre 2001. Con questo spirito credo che Pietro Ingrao ricordi nel suo libro “Volevo la luna” la figura di Salvatore Di Benedetto (senatore e a lungo sindaco Pci di Raffadali) con commozione e con parole di profonda ammirazione. Ricordo non casuale, poiché Di Benedetto fu uno degli organizzatori della Resistenza milanese e, in particolare, della grande manifestazione del 25 luglio 1943 conclusa con un discorso di Ingrao (vedi foto). Ricordo che Totò e Ingrao rievocarono questa ed altre vicende in una bella giornata di mare che passammo a Eraclea Minoa. Che altro dire? In provincia di Agrigento, almeno fino ai primi anni ’80, il gruppo dirigente del Pci s’ispirò alle posizioni ideali e politiche di Pietro Ingrao e di Enrico Berlinguer. Insomma, eravamo ingraiani senza dirlo. Infine, una riflessione da compagno a compagno, e con tutto il rispetto dovuto alla sua esemplare figura, per dire che, probabilmente, con qualche dubbio in meno e qualche scelta decisa in più, si sarebbe potuto evitare al Pci e alla sinistra un epilogo così amaro. Ma non tutto è perduto. La sinistra, quella autentica, ri-sorgerà. Sta ri-sorgendo. Con la stima di sempre e con i più fraterni saluti. (a.s) La Repubblica-inizio modulo- Dall’intervista a Pietro Ingrao I cocci della sinistra siciliana Oggi alle 18 a Grotte (Agrigento) una seduta solenne del Consiglio comunale sarà conferita la cittadinanza onoraria a Pietro Ingrao, già presidente della Camera dei Deputati. Lo abbiamo intervistato. Che cosa prova ritornando in Sicilia, a Grotte il paese dei suoi antenati, per parlare della "Bandiera degli elettoriitaliani", il libro di suo nonno Francesco Ingrao, ristampato da Sellerio, a 125 anni dalla prima edizione? «Provo gioia e timidezza. È gioia grande ragionare su questo nonno, per me favoloso, nella sua città natale. Da fanciullo per me Grotte era il luogo amico da cui giungevano a Natale i dolci rituali e la famosa cassata. Più tardi scoprii le carte, i libri, le note a margine, in cui erano consegnate le passioni ardenti di questo nonno garibaldino e cospiratore, e le traversie che avevano mosso la sua vita. E Grotte si presentò a me come il luogo in cui erano maturate quelle convinzioni generose, quel vincolo con i grandi ideali e rivolte che scuotevano il secolo e l' Europa. Mi sembra un caso di fantasia politica straordinaria quella decisione del Consiglio comunale di Grotte nel 1863 di cambiare nome alla città, per chiamarla "Garibaldi". Che forza di immaginazione c' era in quella proposta, che poi un codino prefetto sabaudo si precipitò a cassare. Perché però provo anche un senso di timidezza? Beh, la Sicilia è terra di leggenda, crocevia delle civiltà mediterranee, straordinario luogo di incontri e scontri fra popoli, culture, religioni. Fa sempre soggezione. Sono venuto in Sicilia molte volte: a parlare in piazza, anche a Grotte, a incontrare dirigenti e popolo, a partecipare a battaglie elettorali, o a convegni di ricerca. Ma sempre con il dubbio di saperne ancora poco, pochissimo dell' urto di classi e di idee che si è sviluppato a livelli così ardenti sotto questi splendidi cieli siciliani. Adesso sono vecchio. E perciò la timidezza, il timore di non sapere è più grande». Il libro rievoca un periodo di grandi rivolgimenti sociali, di travolgenti ideali, di tentativi insurrezionali, che caratterizzarono la prima fase postunitaria in Sicilia. Non trova quanto meno originale questa saldatura realizzatasi fra l' agitazione dei mazziniani in gran parte intellettuali borghesi e massoni, e i primi movimenti anarco-socialisti nati dalla miniera e dal feudo? «Scorrendo le pagine del pamphlet di mio nonno si incontra subito l' Europa, con le sue rivoluzioni, le sue speranze e le sue profezie. Prendiamo un amico stretto di mio nonno, Saverio Friscia: c' è in lui l'ascendenza mazziniana, il seme massonico e poi l' incontro in qualche modo sorprendente con l' anarchismo di Bakunin. La Sicilia di fine Ottocento è terra dove agisce la straordinaria avventura dei Fasci, segnati contemporaneamente (e tumultuosamente) dalla sete di emancipazione di operai delle città, dalle speranze di masse contadine bisognose di terra, dalle lotte disperate dei reietti delle zolfare. Molte di queste vicende la mia generazione le ritrovò nelle pagine di grandissimi scrittori siciliani: da Verga a Pirandello, a De Roberto - testi su cui la mia generazione, nei fatali anni Trenta, alle soglie della seconda guerra mondiale, cominciò a indagare fonti o ragioni della terribile crisi italiana. Per molti di noi, quei testi siciliani furono libri di formazione». AGOSTINO SPATARO 29 settembre 2001 Divisione Stampa Nazionale — Gruppo Editoriale L’EspressoSpa