La Sicilia è ad un bivio. Un bivio di fronte al quale occorre scegliere se per salvarla è necessario attuare appieno e così rilanciare l’autonomia o piuttosto dismetterla, puntando sull’accentramento e gli interventi statali, constatando la ‘minorità’, forse antropologica, che ha reso un’occasione irrimediabilmente perduta l’esperienza statutaria. Se ne è parlato Venerdì 7 novembre 2014 alle ore 16, a Palazzo Steri, Palermo, durante il Seminario sul tema: “Rilancio o Oblio: l’Autonomia siciliana al bivio” in occasione della presentazione dell’ultimo libro di Gaetano Armao, “L’attuazione dell’Autonomia differenziata della Regione siciliana”, dopo i saluti di Roberto Lagalla e Giovanni Fiandaca, si terrà la prolusione di Salvatore Raimondi, e gli interventi di Pietro Busetta, Maurizio Bernava, Enrico La Loggia, Antonio La Spina. Modererà Pietro Luigi Matta. Lo studio tenta di dimostrare – analizzando le principali questioni dell’autonomia regionale, a partire da quella finanziaria – che l’Isola, nel contesto di una crisi istituzionale ed economica senza precedenti e che ha accresciuto il divario rispetto al Nord può affrontarla con l’utilizzo responsabile delle prerogative autonomistiche. Dalla crisi si può uscire ripensando e rilanciando l’Autonomia, responsabilmente con “i conti e le carte in regola”, non certo rinunciandovi. D’altra parte le disparità tra le diverse aree del Paese non sono più superabili con strumenti di natura congiunturale e l’enorme massa raggiunta dal debito pubblico impedirà l’adozione di misure di riequilibrio del divario per eliminare il quale sarebbero necessari una straordinaria convinzione politica ed un imponente investimento di capitali che appare tuttavia irrealistico per l’irrigidimento dei vincoli di finanza pubblica europei. La Sicilia che paga di più il divario infrastrutturale può rassegnarsi al drammatico divario economico, sociale ed infrastrutturale o, al contrario, affrontarlo con l’autogoverno affrancandosi da limiti finanziari insostenibili? Di fronte al fallimento di un piano ‘piano industriale’ incentrato sulla distribuzione di risorse pubbliche a cittadini ed imprese, con buona pace della programmazione europea, anche nei casi di pieno impiego dei fondi strutturali per la coesione, occorre ripensare a nuovi modelli di sviluppo. Si deve raccogliere la responsabilità di utilizzare al meglio le opportunità che lo Statuto regionale, attribuisce costituzionalmente, con la consapevolezza che esso non è una concessione di autonomia per una Regione. E’ molto di più: rappresenta lo straordinario strumento che consente di attivare in Sicilia l’autogoverno con competenze, risorse e responsabilità abbandonando un uso della specialità a ‘scartamento ridotto’ come quella prevalso di recente. Se l’Italia non è in grado (come purtroppo deve ritenersi non lo sia più) di assicurare la progressiva riduzione del divario attraverso il sostegno finanziario ordinario e straordinario che garantiscano la perequazione infrastrutturale, non resta che puntare al riconoscimento della piena autonomia finanziaria e del diritto ad incamerare l’ingente gettito delle accise sui carburanti e delle prerogative fiscali, mediante misure come la fiscalità compensativa (o di vantaggio: credito d’imposta, zone franche, esenzioni per attrazione di investimenti e localizzazioni). Il sostanziale ridimensionamento degli investimenti statali nel Meridione, seppur quale effetto indotto dalle recenti misure di austerità, ha pregiudicato il mercato interno, anche a causa dell’interdipendenza produttiva tra Mezzogiorno e Nord d’Italia. Ciò dovrebbe indurre a propendere per uno sviluppo economico complessivo del “sistema Paese”, ma le iniziative sin qui intraprese non hanno colto l’urgenza di questi argomenti per scongiurare la disgregazione dell’Italia e l’oblio del Mezzogiorno, anzi l’attenzione verso il Sud scema progressivamente. E’ vero: sono troppi i casi nei quali l’attuazione della specialità – sopratutto nelle Regioni meridionali – ha funzionato come ostacolo allo sviluppo, impedendo alle istituzioni regionali di porsi in sintonia con significative innovazioni regolative ed amministrative, quando non si è limitata a ritardarne l’applicazione e, dall’altro, ha garantito la diffusione ed il mantenimento di privilegi. Sicché, come la grande muraglia per la Cina, la specialità regionale, o meglio la distorta interpretazione offertane da alcuni ceti politici e delle loro clientele, più che strumento di difesa dei siciliani e’ divenuta causa dell’isolamento. Il superamento dell’attuale fase di smarrimento delle prerogative autonomistiche (esercitate, almeno in Sicilia, ‘col cappello in mano’ per usare un’antica similitudine), compresse dalle misure di austerità e di uso spesso inefficiente delle risorse europee, non può sfociare nella soppressione della specialità, tentativo emerso nel riaperto dibattito sulle riforme istituzionali. La situazione che la Sicilia deve affrontare, e con essa l’intero Meridione, impone interventi di perequazione e di fiscalità compensativa, investimenti infrastrutturali e tutela dell’insularità correlati a misure di rafforzamento della legalità, dell’efficienza del sistema burocratico, dei servizi finanziari e delle infrastrutture, e l’accresciuta competitività di aree pur periferiche d’Europa dimostra la rilevanza degli incentivi fiscali ed in questo senso vanno i forti segnali che provengono da Scozia e Catalogna. I profondi mutamenti degli scenari istituzionali ed economici del Mediterraneo, le opportunità ed i vincoli scaturenti dal rafforzamento dell’integrazione europea, l’aggravarsi del divario economico-sociale del Paese, impongono così una concezione moderna e rinnovata della ‘questione meridionale’, che punti, con responsabilità e competenza, alla modernizzazione delle istituzioni regionali, all’autonomia fiscale per attrarre investimenti produttivi esterni all’area. Chi sostiene che l’autonomia speciale e’ stata una grande occasione perduta per la Sicilia afferma una verità per molti aspetti condivisibile, seppur non scevra da elementi di contraddizione. E’ indiscutibile, tuttavia, che l’autonomia abbia offerto all’Isola alcuni strumenti che hanno consentito di crescere e svilupparsi, o anche semplicemente di rivendicare interventi e misure di sostegno che altre aree del sud hanno visto pesantemente ridurre, senza poter nulla opporre. L’apparato autonomistico, concepito ed utilizzato in termini di “antagonismo istituzionale”, per assicurare alla Regione competenze, risorse e personale, e’ divenuto causa di isolamento, smarrendo per strada l’obiettivo di superamento del divario e di coesione ecomomico-sociale. Ed il divario, quest’enorme ed irrisolta frattura del Paese, è rimasto lì, sostanzialmente immutabile, solo scalfito dagli interventi e dalle misure approntate ed adesso fortemente aggravato dalla pesante crisi finanziaria ed economica che attraversa ormai da anni il Paese (fonte: siciliainformazioni)