La situazione è disperata e disperante. Non solo perché siamo in cattive mani ma perché dilaga il corrivo, la rabbia, la “vendetta”. All’umiliante degrado dei costumi si aggiunge il “delenda Carthago” del solito dirigente leghista con il fucile spianato ogni volta che viene trasferito qualche euro nell’Isola,

e uomini colti e probi, siciliani purosangue che si sentono traditi: non potendo “potare” anche le radici, sfogano la loro rabbia usando il diserbante, fanno di tutta l’erba un fascio e finiscono con il buttare il bambino assieme all’acqua sporca. Una vecchia storia. I siciliani sono i più severi giudici della Sicilia. Non le perdonano nulla, e se potessero le toglierebbero l’aria che respira. Le ignominie di Batman ed i suoi compari nel Lazio, gli scandalosi sprechi del Pirellone lombardo, i maneggi che nelle Regioni un poco ovunque dilapidano il denaro pubblico non bastano per cancellare la “specialità” siciliana, che deve essere prima, per amore e per forza, alle ruberie, l’insipienza, l’inefficienza, la gestione della cosa pubblica sempre e comunque. “Anche l’odio contro la bassezza stravolge il viso, anche l’ira per l’ingiustizia fa roca la voce”, urlava, severo anch’egli con la sua patria, Bertold Brecht, recitando la condizione dell’uomo costretto a rinunciare alla “gentilezza”. Nell’editoriale di Francesco Merlo, eccellente penna de “La Repubblica”, la Sicilia è raccontata come l’inferno dantesco, la sentina di tutti i mali, una terra prestata all’obbrobrio e ai devastatori. Dal 1948 ai nostri giorni. E coloro che la governano, ovunque si trovino, sono epigoni di un una storia ignobile amministrata con le regole del “tocco”, quel gioco perverso in uso una volta nelle bettole, che fanno del “sotto” il padrone. Un gioco di ruolo, invece che un sistema politico ed istituzionale, governerebbe l’Isola a causa della specialità dello Statuto,, specchio e strumento dell’altra specialit, quella che ospita la peste della casta sicula, culla di vizi e turpitudini. Francesco Merlo inveisce contro la casta e contro l’autonomia allo stesso modo, dipingendo il governo e l’Assemblea siciliani come bordelli gestiti da maitresse senza scrupoli. Il verdetto di condanna, l’inferno senza remissione dei peccati, viene spiegato da prove facilmente confutabili, che potrebbero offrire ai giudicati, purtroppo, strumenti utili per farsi ragione, perché quasi niente reggerebbe ad una “revisione” della sentenza “irredimibile”. Non confuteremo alcuna delle colpe affibbiate alla Sicilia, perché rifiutiamo per principio l’irredimibilità della pena, il Male assoluto, il manicheismo e, soprattutto, l’idea che per cambiare le cose si debbano abbattere le istituzioni. Francesco Merlo, infatti, pretende come pena accessoria, insieme alla cancellazione della casta, la cancellazione dell’autonomia speciale. Se la democrazia non funziona e i suoi presidi sono occupati da uomini indegni, dobbiamo cancellare l’una e le altre? Le aule “sorde e grigie” non vanno sprangate, ma occupate da altri uomini. Credere nella democrazia, nella politica, nelle buone pratiche è dovere irrinunciabile per chi, come Francesco Merlo, ha la responsabilità di comunicare ai lettori, che sono tanti, lo stato dell’arte. Il suo editoriale sembra la memoria “divorzile” di un coniuge tradito, qualcosa di cui ci si pente inevitabilmente. A coloro che verranno, si potrà chiedere l’indulgenza, come fa Brecht, a patto che si consenta loro di ricominciare, si lasci loro la speranza, la dignità, le regole del vivere civile. ”C’è un film famosissimo di qualche tempo fa”, ricordò Andrea Camilleri a Enzo Biagi i nel corso di una conversazione che sarebbe stata riferiita in un reportage sul Corriere della sera, , “un maresciallo dei carabinieri, stufo di certe situazioni nelle quali si trova coinvolto, sulla carta geografica che rappresenta l’Italia con la Sicilia e la Sardegna, mette una mano sulla Sicilia, quasi a nasconderla. Assistevo a questo film al mio paese e uno accanto a me disse: “Attento, ca l’Italia sciddica”. Voleva dire: se levi la Sicilia, l’Italia se ne viene giù”. Dopo avere raccontato Camilleri, Enzo Biagi scrive: “Credo che i siciliani siano tra i più gentili tra gli italiani. Penso che non baratterei il maestro Sciascia col maestro di Vigevano, e hanno dato tanta intelligenza all’Italia….” Magari non è proprio così, ma il fatto che qualcuno lo pensi non è cosa da poco. Dobbiamo tenerlo a mente tutti. (fonte: siciliasinformazioni.com)