Furti con destrezza perpetrati in passato da Roma. Che torna ladrona per le istituzioni siciliane, dopo avere beneficiato dell’assoluzione interessata di Matteo Salvini. A sventolare la bandiera della Sicilia umiliata ed offesa è il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, che ce l’ha con i proconsoli e accusa di farabuttaggine i governanti romani, colpevoli di avere tolto quattrocento milioni l’anno, nella sanità, alla Regione siciliana e di avere compiuto un furto notturno – “nottetempo” – a danno del centro di meccanizzazione, trasferito con il favore delle tenebre da Palermo a Latina con gravi conseguenze per le casse regionali (gli statali pagano a Roma invece che in Sicilia, le tasse). Una requisitoria, quella di Ardizzone, che non giunge inaspettata. Il presidente dell’Ars sembra irriconoscibile, ha cominciato da pompiere, e dopo il giro di boa della legislatura, è diventato un incendiario. Deve avere ingerito fiele a lungo, è come se si fosse liberato la coscienza di un peso. Le sue parole sono salutate in Assemblea, con favore anche da chi preferisce tacere, perché la plateale trattativa fra governo regionale e nazionale, che impone tagli e rinunce, ha creato malumori sul merito e sulla forma. Ardizzone ha scelto di rappresentare i deputati regionali, costretti a registrare un clima estremamente sfavorevole alle loro aspettative. La rivolta di Ardizzone nasce alla vigilia della sessione di bilancio, dopo una polemica, poi sopita, dello stesos Ardizzone con Crocetta, sui due tempi – inammissibili – di finanziaria e bilancio, che il presidente dell’Ars vuole unificare. Un clima reso incandescente dalle parole di Alessandro Baccei, che ha riferito su ciò che pensa Rona a proposito delle volontà siciliane, il timore che il bilancio venga stravolto e che il patto di buona creanza fra Roma e Palermo – io ti do i soldi, ma tu fai i tagli – non venga rispettato. Che l’Assemblea possa disarticolare il bilancio del governo regionale e subire i bisogni dei singoli deputati – l’hanno chiamato quando c’erano i soldi “assalto alla diligenza”- è un sospetto plausibile, in verità. Ma è intollerabile che sia il “proconsole”, così è definito da Ardizzone l’assessore all’Economia – a dettare l’agenda al Parlamento regionale. Una cosa inaudita, insomma, al di là del merito. Come andrà a finire? La materia prima sono i soldi, su questo non ci piove. E se non c’è, il bilancio poggia sul nulla. Sono cambiate le regole, tra l’altro. Le entrate devono essere certe, niente finanza creativa. Non c’è il controllo preventivo, e quindi può passare di tutto, ma una volta arrivato a Roma, il documento finanziario può essere impugnato dal governo e fermato. Meglio fare tutto d’amore e d’accordo, dunque? Si scontrano sulla questione i favorevoli al patteggiamento e i contrari, come Ardizzone, che preferirebbero resistere. Anche Crocetta, invero, non si tira indietro. Se c’è da andare alla guerra, perché Roma è sorda e grigia, anche lui è della partita. In questa storia, tuttavia, c’è qualcosa che non si capisce: i proconsoli, gli ascari, veri o presunti, ci sono sempre stati, e sono stati tollerati e, talvolta, perfino incensati. Tutti siciliani, dalla testa ai piedi: è per questo che hanno avuto tanti amici, alleati e estimatori nell’Isola?