*La figura che ci presenta oggi Vito Marino, ci riporta ai tempi quando attorno alla campagna ruotavano una grande varietà di personaggi ed esistevano mestieri che il tempo ed il progresso hanno cancellato. Riteniamo, che volendo dare uno sguardo alla nostra storia passata,

non sia mai tempo perso, ma semplicemente ripercorrere capitoli della nostra storia, che da tempo abbiamo con segnato aia musei. Luoghi dai quali possiamo e sarebbe meglio dire, dobbiamo attincere, per sapere da dove veniamo, per avere contezza del passato delle generazioni e dei costumi che ci hanno preceduto. Questo è quello che il nostro amico Vito fa con tanta maestria, fornendoci preziosi elementi del nostro passsato.(SA)

LU VARDARU. Durante la civiltà contadina il mestiere di "vardaru" (bastaio o guarnamentale) era molto comune in tutti i paesi della Sicilia. Questo artigiano preparava “armiggi” (finimenti), barde e accessori di cuoio per “li vestii” (le bestie da soma, e da corsa). Una volta, a causa della mancanza di strade carrabili, il trasporto delle merci da e verso l’interno dell’isola, avveniva solo a dorso di muli. La costruzione delle prime strade carrabili sterrate iniziò nella II metà del 1800, mentre le strade asfaltate avvennero dal 1930 al 1950. Gli esperti asseriscono che i muli erano più indicati per questo genere di trasporto perché oltre ad essere più forti, resistenti alla fatica e mansueti, vedono gli oggetti più grandi del normale. Essi possono, pertanto, camminare in uno stretto sentiero di montagna anche a strapiombo, senza "appagnarisi" (spaventarsi), credendo di camminare su un’autostrada. Pertanto, sul dorso di questi animali si sistemava "lu sidduni" (una grossa sella: basto), composto dalla "varda" (barda) e dagli arcioni, per potere meglio assicurare il carico. La barda era un’imbottitura di paglia o crine, fatta dal vardaru che, sistemata sotto l’arcione, proteggeva il dorso degli animali; tante volte i contadini sostituivano la barda, già logora, con delle vecchie coperte. Gli arcioni erano fatti in duro legno arcuato seguendo l'anatomia del dorso degli animali; sulla parte superiore c'erano dei ganci (incavature fatte nello stesso legno), per potervi assicurare il carico tramite delle corde; spesso i contadini vi appendevano "li zimmila", cioè delle bisacce fatte di “curina” (foglie intrecciate di palma nana), dentro cui si mettevano gli oggetti da trasportare. Secondo la lunghezza della barda c'era "lu varduni" e "la vardedda"; la vardedda più gli speroni, servivano per andare a cavallo. Fra i finimenti in cuoio collegati anche con ganci di metallo (come li canceddi), c’erano: lu suttapanza, lu pitturali, la curera, li crapisti o capizzali o tistera, li retini, li paraocchi. Inoltre, come ornamenti lu vardaru aggiungeva degli specchietti, che producevano un luccichio, i pennacchi variopinti sul dorso e li ciancianeddi di rame incorporati nella tistera. Si trattava di una sontuosità barocca, che arricchiva i finimenti dell'animale da soma, apportata dagli spagnoli nel 1600 e continuata fino agli anni '50, quando la Civiltà del benessere industrializzata, ha soppiantato l'intera Civiltà contadina. VITO MARINO

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