(SA) - Si parla tanto di incentivare il rientro dei cosiddetti cervelli in fuga, ma anche di chi vorrebbe spontaneamente decidere di ritornare in Italia, ma le norme previste dal governo evidentemente nn sono tali da incoraggiare tale rientro. Ma vediamo intanto quanti sono gli italiani espatriati nel primo ventennio del secolo in corso. In base ai dati che ci comunica l’ISTAT, dal 2002 al 2021 hanno lasciato l’Italia circa 1 milione e 400.000 italiani,

con una media di 70 mila ogni anno. La maggior parte di loro sono giovani. Non tutti per altro sono “cervelli”, tra i nuovi emigrati ci sono anche giovani in cerca di un lavoro che permetta loro di costruirsi un futuro dignitoso e di sfuggire al precariato in cui il sistema Italia li condannerebbe se restassero in patria. Diversi sono gli stati che pigliano provvedimenti ed offrono agevolazioni per chi vi trasferisce la propria residenza. Lo fa il Portogallo ad esempio, la Tunisia ed altri ancora, che abbattono le tasse e registrano la presenza di tanti pensionati che con la pensione italiana riescono a vivere bene sia per le agevolazioni che per il costo della vita molto inferiore rispetto a quanto costa in Italia. Il governo italiano, dopo tanto parlare ha emanato delle norme che dovrebbero fare rientrare i nostri emigrati nelle proprie regioni di nascita. Dette norme, però, appaiono molto riduttive e dal modo come sono state pensate, possono incentivare solo persone con requisiti che escludono in partenza tanti lavoratori che vorrebbero rientrare. Per avere diritto all’abbattimento del 50% delle tasse per cinque anni, questo prevede la norma, bisogna avere un reddito non superiore a 600.000 euro e questo non è certo un ostacolo, ma bisogna anche essere in possesso di una “elevata qualificazione o specializzazione”. Questi ultimi due requisiti escludono lavoratori come giustamente denunciano le associazioni degli italiani all’estero. Non è certo questo il provvedimento che può portare ad una inversione di tendenza. Pensiamo che in una nazione che continua a perdere popolazione, un ruolo importante dovrebbero giocare le regioni, che in passato si sono dotate di leggi che intervenivano con apprezzabili agevolazioni per chi rientrava. La legge siciliana che fece da battistrada nel 1975, ad esempio precedeva mutui agevolati per chi rientrava e metteva a frutto l’esperienza maturata all’estereo, cimentandosi con la creazione di attività produttive: agricoltura, artigianato, ricettività ecc. Il progressivo taglio dei fondi alle regioni, ha determinato un allentamento di questi provvedimenti. Oggi la logica vorrebbe che venissero incrementati investimenti in questo senso per ricostruire un tessuto economico basato sulla piccola e media impresa e per dare nuove impulso all’artigianato che sta soffrendo più di altri la crisi economica. Solo affidandosi a provvedimenti di questa portata, si potrebbe invertire la tendenza e si potrebbero registra altri numeri di persone che rientrano che a fine anno al momento registrano solo un notevole passi. A fronte di una media di 70.000 espatriati ogni anno, si registra appena una media di 40.000 rientrati, con una perdita netta annua di 30.000 unità, che portano negli ultimi venti anni ad una perdita secca di 600.000 unità. Più poteri e soldi alle regioni quindi, se si vuole intervenire seriamente in questo settore, leggi più appetibili ed inclusive a livello nazionale capaci di incentivare i rientri di forza lavoro che tanto utile si rivelerebbe per la ripresa economica vera e stabile dell’Italia. Salvatore Augello 08.01.2024