Francia e Italia sono grandi nazioni “complementari” la cui forza pesa e incide quando agiscono in sintonia. L’intesa tra Draghi e Macron sarà decisiva sulle scelte che l’Unione Europea dovrà assumere nei prossimi mesi Un nuovo patto per la sicurezza europea - intervento di Piero Fassino su Il Tirreno Balcani:
Fassino, serve salto qualità su integrazione europea In questi giorni inizia, alla Commissione Esteri della Camera, la procedura di ratifica del Trattato del Quirinale, firmato da Draghi e Macron il 26 novembre scorso. La storia ci insegna che i trattati internazionali possono essere “pezzi di carta”, e quindi archiviati alla prima occasione, ma possono anche essere quelle pietre, le testate d’angolo, su cui edificare la convivenza tra popoli e nazioni. Possono durare il tempo di una stagione, ma possono attraversare più di una generazione. Il Trattato del Quirinale vuole essere un’intesa strategica della seconda specie. Non una Dichiarazione di principi o una Carta di intenti ma un corposo testo, articolato in 12 ampi capitoli che investono l’intero spettro dei temi di governo: dalla politica estera e di difesa alle strategie industriali, dall’ intelligenza artificiale alla green economy, dalla cultura alla formazione, dalle politiche sociali all’agricoltura, dalla digitalizzazione alle politiche per le pubbliche amministrazioni. Temi su cui Italia e Francia si impegnano ad agire insieme attivando meccanismi permanenti di cooperazione governativa e parlamentare. Un Trattato che corrisponde al carattere strutturale del rapporto tra Roma e Parigi, che nei secoli la storia ha conosciuto come permanenti e - allo stesso tempo - felici intrecci: la comune civilizzazione latina, il Rinascimento, i tricolori, le rivoluzioni liberali. Ma oltre alla storia, è l’attualità a dirci quanto i due Paesi siano legati da interessi comuni. La Francia è il secondo nostro mercato di esportazioni e l’Italia è il terzo per la Francia. Operano sul mercato francese un numero di imprese italiane analogo alla quantità di aziende francesi presenti in Italia. E la diversità dei sistemi industriali - la Francia ricca di grandi conglomerati, l’Italia con forte e diffusa media e piccola impresa - non ha impedito integrazioni come Luxottica-Essilor, Peugeot-FCA-Stellantis, Lactalis-Parmalat, BNL-BNP e le molte integrazioni tra le firme della moda. Senza dimenticare che Italia e Francia godono di due forti sistemi agricoli e sul fronte turistico Ie due nazioni sono reciprocamente la meta prioritaria di italiani e francesi. E infine il patrimonio culturale dei due Paesi rappresenta un’eccellenza mondiale con forti e radicate interazioni. Sul piano politico poi, Roma e Parigi sono fondatori dell’UE, membri di G7, G20 e Nato, entrambe con forte proiezione mediterranea, tra i maggiori contributori finanziari e operativi delle Nazioni Unite. Naturalmente sappiamo che le relazioni franco-italiane hanno anche conosciuto momenti di difficoltà e di divergenza, peraltro del tutto naturali tra Paesi che, agendo nello stesso scacchiere geopolitico, perseguono obiettivi che possono sovrapporsi e divergere. E se l’intesa tra Schumann e De Gasperi consentì all’Italia di essere tra i fondatori dell’integrazione europea, assai più freddo fu l’atteggiamento di De Gaulle verso Roma. Giscard d’Estaing volle l’Italia al vertice G5 di Rambouillet - antesignano dell’odierno G7 - ma i partiti e le leadership politiche continuano a percepirsi distanti, anche per le differenti geografie partitiche. E differenze si sono manifestate anche durante la Presidenza Chirac - che pure era amico dell’Italia - come nella guerra in Iraq. Così colpirono le ironie di Sarkozy verso l’allora Presidente del Consiglio italiano e la tempesta diplomatica in occasione delle manifestazioni dei gilets jaunes. E anche in tempi più recenti non sono mancate divergenze, come in Libia, dove per una certa fase - oggi superata - Italia e Francia hanno perseguito strategie diverse. Lo si è visto anche nei diversi modi di gestire l’emergenza migratoria. Né sono mancati in passato momenti di frizione e di conflitto su temi economici. Si tratta di dissensi componibili e in ogni caso da comporre perseguendo una intesa e cooperazione sistemica. Tuttavia il valore di una scelta così strategica non è sempre chiaro alle opinioni pubbliche, come dimostrano la diffidenza con cui alcuni guardano alla Francia, come un paese “predatorio” mosso da un fastidioso sentimento di potenza, la grandeur. Sono giudizi che non fanno i conti con la realtà. La Francia ha mille anni di storia nazionale unitaria e da Carlo Magno a Richelieu, da Luigi XIV a Napoleone è stata protagonista di ogni evento del continente. La nazione che con l’illuminismo, la Rivoluzione francese, l’epopea napoleonica e le sue riforme ha portato l’Europa nella modernità. Titolare di un impero esteso dalle coste mediterranee all’Africa equatoriale, dal Medio Oriente all’Indocina al nord America. La Francia che a cavallo dell’800 e del ‘900 è stata incubatrice di invenzioni tecnologiche, scoperte scientifiche, innovazioni artistiche e culturali giunte fino a noi. Potenza nucleare e uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Che una nazione che porta sulle spalle una storia così intensa abbia un sentimento di grandezza - anche se talora ostentato con qualche eccesso - non dovrebbe davvero stupire, né essere vissuto con fastidio. Insomma, liberiamoci da pregiudizi e stereotipi, che peraltro sono altrettanto ingiusti quando rivolti all’Italia, troppo spesso rappresentata come un “bel Paese” ma poco affidabile (ah, les italiens…), dimenticando che l’Italia è sì bellissima, ma anche - come amava ricordare con tenacia l’allora Presidente della Repubblica Ciampi - un “grande Paese”, forte di una storia altrettanto intensa che ha contribuito in maniera rilevante alla civiltà europea. Il Trattato del Quirinale è pensato per porre fine a malintesi e pregiudizi. La semplice verità di cui prendere atto è che Francia e Italia sono grandi nazioni “complementari” la cui forza pesa e incide quando agiscono in sintonia. Lo si è visto nel confronto tra governi europei sul Recovery Fund dove l’intesa di Macron con Conte prima e Draghi poi ha vinto le resistenze dei paesi frugali, ottenendo misure finanziarie di dimensioni affatto scontate. Lo si vede sulla Libia dove - superate le divaricazioni del passato - una forte intesa tra Italia e Francia ha spinto la Germania a convocare la Conferenza di Berlino e l’Unione Europea a parlare con una sola voce. E così una forte intesa tra Draghi e Macron sarà decisiva sulle scelte che l’Unione Europea dovrà assumere nei prossimi mesi: la riforma del Patto di stabilità nella direzione di una maggiore flessibilità; la gestione dei debiti maggiori che ogni Paese ha contratto per far fronte alle conseguenze di Covid-19; una nuova politica migratoria fondata su una solidale responsabilità di tutti i 27 paesi dell’Unione; l’attuazione degli obiettivi assunti dall’Unione per la neutralità climatica e la transizione energetica; l’accelerazione dell’allargamento dell’Unione ai Balcani; la stabilizzazione del Mediterraneo; il rilancio della politica estera europea integrata da un sistema di difesa complementare alla Nato; le strategie con cui confrontarsi con i grandi players globali, a partire dalla Cina; le riforme necessarie ad accrescere il grado di coesione dell’Unione e la sua riconoscibilità nelle pubbliche opinioni. Decisioni complesse con cui l’Unione europea è chiamata ad avviare la “terza fase“ dell’integrazione europea, dopo l’Europa dei Trattati di Roma e dei padri fondatori e l’Europa di Maastricht e dell’euro. Certo. Scelte che dovranno essere assunte in un confronto con tutti i 27 membri dell’UE. Ma proprio la loro complessità sollecita a una particolare responsabilità i Paesi di maggiore convinzione europeista. Il Trattato del Quirinale, l’ultracinquantennale rapporto tra Berlino e Parigi, riconfermato con il Trattato di Aquisgrana, le intense relazioni tra Roma e Berlino, i forti rapporti che Madrid coltiva con le tre capitali consentono a Italia, Francia, Germania e Spagna di poter esercitare insieme un ruolo di impulso e promozione di un’Europa più coesa e unita. Il convinto e riconosciuto europeismo di Macron, Draghi, Scholz e Sanchez è la risorsa preziosa a cui attingere per questo salto in avanti dell’integrazione europea. Piero Fassino, presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati