SPECIALE 50° USEF

On. Francesca La Marca - Quando l’USEF fu costituita cinquant’anni fa a Palermo tra forze di diversa ispirazione, ma accomunate da una stessa volontà di difesa dei lavoratori siciliani sparsi nel mondo e di riscatto dell’Isola, io non ero ancora nata. E tuttavia, fin da bambina, ricordo che spesso mio padre nominava questa organizzazione

a casa in relazione a qualche evento che essa organizzava o qualche mobilitazione che essa promuoveva. E ricordo ancora che tutti insieme in famiglia, anche noi ragazzi, partecipavamo agli incontri associativi, nei quali si parlava della nostra terra d’origine, delle nostre tradizioni, si discorreva in italiano con molte battute anche dialettali, si mangiavano i nostri piatti, ci si univa per sostenere battaglie comuni nella nuova realtà nella quale ormai la nostra vita si svolgeva. Mio fratello, grazie all’USEF, è stato un’intera estate in Sicilia, a Sciacca, con altri ragazzi nati in Canada e negli Stati Uniti, e ha potuto visitare tante località dell’isola, innamorandosene. Se dico, quindi, che sono cresciuta con l’USEF in casa e nella cerchia delle mie relazioni sociali e che l’USEF mi ha aiutato a maturare in termini civili e di socialità, non faccio una battuta enfatica o un tentativo di compiacimento. Racconto soltanto in che modo una persona di seconda generazione sia stata aiutata a conservare le sue radici e le tradizioni di origine e sia stata indotta a formarsi un impegno di solidarietà civile verso gli altri emigrati. Chi non ha vissuto l’espatrio e l’insediamento non sa quanto, soprattutto nei primi tempi, sia importante per un emigrato non perdersi in un mare di estraneità e di isolamento, ma potersi ritrovare con persone che parlano e pensano partendo da una base comune e tendono agli stessi obiettivi esistenziali e sociali. Quanto sia importante, insomma, sfuggire all’alternativa, che spesso diventa una morsa, tra il non riuscire a superar il muro della diversità e l’essere assimilato nella nuova società perdendo velocemente la propria identità. Il vincolo associativo è stato soprattutto questo: un supporto reale, una grande leva che ha aiutato gli emigrati a inserirsi nella nuova società con le proprie peculiarità, con la propria identità. Un’identità non chiusa e impermeabile all’incontro e agli innesti, ma aperta e dinamica. Oggi si fa un gran parlare della crisi dell’associazionismo, del distacco delle nuove generazioni, della perdita dei legami. Ed è certamente un serio e grande problema. Ma voglio dire che se i giovani hanno meno bisogno di rapporti “etnici” è perché l’associazionismo ha svolto interamente il suo compito, ha favorito un’integrazione dignitosa delle loro famiglie nel tessuto sociale e ha ridotto parecchi spigoli che i nostri genitori dovevano scansare. Ma non è diminuito il bisogno di radici e la ricerca del percorso della propria identità. Anzi… Sono inaspettatamente e fortemente cresciute, infatti, le esigenze di confronto interculturale. Viviamo in un mondo in cui le migrazioni sono una delle maggiori, anzi forse la fondamentale caratteristica strutturale delle società in cui viviamo. La diversità delle culture, insomma, da fattore di emarginazione che poteva sembrare nel passato, è diventata una dei maggiori requisiti e propellenti del dinamismo delle società moderne. Io ho avuto la fortuna di nascere e crescere in una società multiculturale – il Canada - che tra le prime al mondo ha sperimentato al suo interno il beneficio di politiche improntate a questa regola. So, dunque, quanto importante sia lavorare in questa direzione. Si aprono, allora, spazi nuovi, terreni obbligati che bisogna essere pronti a praticare e a coltivare. Il confronto delle culture e delle identità richiede un legame forte con le proprie radici. Per questo, anziché recitare il de profundis delle associazioni e dell’associazionismo, pensiamo a rinnovarli e a reinnestarli nei nuovi bisogni delle persone perché ce n’è un gran bisogno. E poi, ci sono tanti problemi aperti nelle società di partenza, in questo caso nella nostra bella Sicilia. Problemi di rilancio, di sviluppo, di lavoro, che non possono trovare risposta entro i confini nazionali e locali che la crisi ha terribilmente ristretto, ma che devono cercare in un orizzonte più ampio la loro soluzione. E per l’internazionalizzazione del sistema Italia o del sistema Sicilia quale miglior terreno di realizzazione di quello bonificato e preparato dai nostri emigrati? Dagli emigrati organizzati, consapevoli, attenti ai richiami della propria terra. Ecco di nuovo l’associazionismo. Così, i tanti che hanno ripreso a partire, giovani e intere famiglie, e che continueranno per un tempo indefinito a partire, per necessità o per ricerca di migliore promozione umana, chi meglio delle associazioni e delle loro federazioni li potrà accompagnerà per le vie del mondo, aiutandoli ad affrontare gli innumerevoli problemi pratici del loro insediamento e a tutelare i loro diritti di ultimi arrivati e poco garantiti? Per questo, personalmente vivo i cinquant’anni dell’USEF non come un’occasione di rievocazione, sia pure di una nobile storia, ma come una ricerca di solidarietà e di nuovi vincoli, un rinnovato impegno sociale e civile che, oltre alla nostra cultura e alle nostre radici, ci dia il senso di una lotta ancora da fare per i diritti e per la dignità delle persone.