Quando si pensa ai Normanni che invadono la Sicilia islamica al comando dei fratelli Altavilla, cioé di Roberto il Guiscardo, duca di Puglia, e di Ruggero, conte di Calabria, si ha un’idea troppo spesso sbagliata. Si immaginano, infatti, consistenti milizie precedute da numerosi cavalieri in grado di affrontare, da pari a pari, un nemico agguerrito e, in molti casi, asserragliato in rocche imprendibili.

Sorprende il fatto che, al contrario, si trattasse di uno sparuto gruppo di cavalieri e di non più di un migliaio di pedoni al loro seguito. Ed allora, sorge spontanea la domanda: come fu possibile quella straordinaria impresa che permise di ricondurre nell’alveo dell’Occidente cristiano la terra di Sicilia? Per rispondere basta fare riferimento a tre fattori decisivi, il primo dei quali tutto riferito agli stessi invasori. L’armamento del cavaliere normanno, le sue tecniche di combattimento erano di gran lunga, superiori a quelli degli avversari. Lo schieramento normanno poneva al centro il nerbo di cavalleria, destinato alla carica frontale, alle ali i fanti rinforzati da cavalieri appiedati. L’uso della cavalleria pesante e la carica motivazionale che li sosteneva, costituiva elemento decisivo per colmare il gap numerico che li vedeva in numero di gran lunga inferiore a quello dei nemici. A questo, da aggiungere, il fatto che abbiano sfruttato, con grande abilità e altrettanta spregiudicata furbizia, i contrasti e dissidi che in quel momento storico caratterizzavano i potentati musulmani di Sicilia. Fu proprio un emiro islamico, ibn at-Tumnah, che governava Catania, a chiedere, direttamente al conte Ruggero che se ne stava a Mileto, l’appoggio contro il cognato ibn Al-Hawas, signore di Castrogiovanni con il quale era entrato in conflitto. Non é poi da trascurare un altro fattore, peraltro non sempre preso nella dovuta considerazione da chi si occupa della vicenda, che fu anch’esso decisivo per il successo dei fratelli Altavilla e per le loro armate. Si tratta dell’evidente sostegno diretto e indiretto che le popolazioni cristiane non fecero loro mancare, soprattutto dopo che papa Alessandro III ebbe benedetto l’azione e consegnato il vessillo crociato prima della battaglia di Cerami. A questi tre decisivi fattori se ne può sommare un altro, venutosi ad aggiungere ai primi tre un altro ancora, maturato soprattutto a seguito della rivolta di Troina del 1062. In quell’occasione i Normanni sperimentarono gli effetti negativi di taluni loro comportamenti intolleranti. Contro gli abusi dei nuovi venuti si erano coalizzati infatti musulmani e cristiani locali mettendo a rischio la spedizione normanna. Quell’esperienza consigliò i conquistatori a tenere un comportamento tollerante nei confronti dei vinti rinunciando in molti casi agli eccessi che seguivano simili conquiste. Se si dovesse, infatti, trovare un segno distintivo del dominio normanno, lo si potrebbe identificare in quella grande tolleranza che i dominatori mostrarono verso i dominati. I Normanni, che mancavano di una propria cultura e che avevano una grande capacità di assimilare le culture dei territori che avevano sottomesso, pur essendo fortemente segnati dal proprio credo cristiano resistettero alle pressioni delle gerarchie ecclesiastiche che li invitavano a procedere ad una rapida e violenta opera di ricristianizzazione. Proprio gli Altavilla, pur non opponendosi al proselitismo che il clero cattolico avviò subito dopo la conquista, non offrirono quegli appoggi che la Chiesa si sarebbe aspettata. Questo atteggiamento, molto pragmatico, se generò conflitti con la Chiesa e con il clero, ma ebbe come risultato positivo un consenso popolare sul quale che ben pochi dominatori avrebbero nei secoli successivi potuto contare. Le varie culture presenti, al di là della fede del sovrano normanno, si sentivano tuttavia rappresentati del suo progetto di governo. (Pasquale Hamel)