Cinquecento Durante il secolo successivo, questa corrente si amplia ulteriormente. Ne sono protagonisti Girolamo d'Avila, Filippo Paruta, Argisto Giuffredi, Tobiolo Benfari, Mariano Bonincontro e soprattutto Antonio Veneziano e Bartolomeo Asmundo.

Il monrealese Antonio Veneziano ha testimoniato con la sua vita avventurosa e le opere anticonformiste il suo animo inquieto. È famoso, oltre che per l'elogio a Celia che lo inquadra tra i petrarchisti, anche per molte satire.

Il riformatore dello studio di Catania Bartolomeo Asmundo, invece, scrisse un centinaio di canzoni di tema sacro e profano che furono lette e tradotte da Pietro Bembo.

Parallelamente al petrarchismo, si sviluppa l'opera di Vincenzo Belando, conosciuto come l'autore di Lettera faceta e chiribizzosa a la Gratiana, una raccolta di testi e poesie poco decenti, e di alcune commedie.

Seicento

Il movimento dei petrarchisti si conclude con Francesco Balducci (autore di una ventina di canzoni) e l'allievo Simone Rau e Requesens, poeti attivi nel XVII secolo. Le poesie di questo movimento sono raccolte in un centinaio di canzonieri. Tra di essi, il più famoso è Le Muse Siciliane, composto da Giuseppe Galeano e pubblicato nel 1645, raccoglie un gran numero di liriche appartenenti a 21 autori differenti.

Altri personaggi di spicco del Seicento siciliano furono il poliedrico Tommaso Aversa, che si fece conoscere soprattutto per la commedia La notti di Palermu e che scrisse anche moltissime poesie e una traduzione dell'Eneide di Publio Virgilio Marone, e il poeta menenino Paolo Maura, autore del poemetto autobiografico La Pigghiata (La cattura). Da segnalare anche Pietro Fullone, eclettico autore di testi satirici e di ispirazione religiosa.

La poesia del Settecento

Il secondo periodo d'oro della poesia siciliana si ha tra il Settecento e l'Ottocento. A Palermo, si affermò la figura del medico-professore Giovanni Meli, che fu il massimo esponente dell'Arcadia in Sicilia e uno degli autori più prolifici.

Nello stesso periodo, a Catania operava Domenico Tempio, autore di alcuni poemetti e di molte poesie satiriche e licenziose. Tra gli altri poeti del periodo si ricordino Giuseppe Marraffino e Vincenzo Cardile.

Le novelle popolari

Nell'Ottocento il recupero delle tradizioni popolari siciliane si deve al già ricordato Giuseppe Pitrè con la riscoperta di fiabe, proverbi, novelle e racconti popolari, spesso tramandate oralmente, che lui riprese. Pubblicò la monumentale Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, in venticinque volumi fra il 1871 e il 1913.

Il teatro dialettale

 

Luigi Capuana

Nel XIX secolo, il catanese Giovanni Verga portò in Italia il verismo, versione italiana del naturalismo proveniente dalla Francia in voga in quegli anni in Europa.

Fu però Luigi Capuana a svilupparlo in siciliano attraverso alcune sue opere teatrali. La più importante, Malìa, fu messa in scena da Giovanni Grasso e musicata da Francesco Paolo Frontini. Le sue commedie sono state incluse nel volume Teatro dialettale siciliano, del 1910-1921.

 

Luigi Pirandello

Il teatro diviene così l'elemento espressivo privilegiato per la letteratura in siciliano. L'inizio del Novecento è dominato dalla figura del premio Nobel Luigi Pirandello. Oltre ad essere una pietra miliare della letteratura italiana, l'agrigentino ha scritto molte famose opere teatrali in siciliano. Tra queste si ricordano Liolà e Pensaci, Giacomino!, messe in scena da Angelo Musco.

Inoltre, le opere teatrali di Nino Martoglio (poeta, scrittore, giornalista, regista di teatro e cinematografico) hanno anche contribuito al rilancio del cosiddetto teatro dialettale siciliano, che verrà portato avanti per tutto il secolo da molti autori. I maggiori esponenti sono Giambattista Spampinato, Giovanni Formisano Jr. e Agata Giardina. Alfredo Mazzone merita una menzione a parte, perché con il suo teatro di riviviscenza ha messo in scena le migliori trasposizioni teatrali delle opere di Verga e ha anche scritto delle opere pubblicate solo nel 2002.

La cultura nel primo Novecento

Nel 1904, l'ex garibaldino Tommaso Cannizzaro pubblicò la sua traduzione in siciliano della Divina Commedia di Dante. Il suo lavoro titanico è stato intrapreso nuovamente anche da padre Domenico Canalella, che ha inoltre tradotto l'Iliade e l'Odissea di Omero.

Sulla fine di una cultura siciliana scrisse nel 1917 Giovanni Gentile nel suo "Il tramonto della cultura siciliana" pubblicato nel 1919. Secondo il filosofo di Castelvetrano "a Palermo e nel resto della regione si troverà una cultura italiana e nazionale; ma quella siciliana va cercata soltanto nei libri dei trapassati"[4]. Al primo '900 risalgono le ricerche filologiche e la pubblicazione del vocabolario siciliano a cura di Giuseppe Trischitta. Dopo la Prima guerra mondiale, Ignazio Buttitta inizia la sua brillante carriera di poeta dialettale, che rende un simbolo della ricerca dei valori perduti della lingua siciliana, che a poco a poco viene sostituita dall'italiano. Al suo fianco sorgono decine di poeti minori, tutti dilettanti che fanno il possibile per recuperare le tradizioni. Il ragusano Vann'Antò è uno di questi, che si ispira al paesaggio contadino e rurale per la composizione delle sue poesie. Tra gli altri si ricordano Vincenzo De Simone, Vanni Pucci, Alessio Di Giovanni, Vito Mercadante, e il gruppo dei catanesi Giovanni Formisano, Alfredo Danese, Salvatore Camilleri, Antonino Magrì e Maria Sciavarrello.

Dal secondo dopoguerra a oggi

Un drammaturgo palermitano che ha raccontato la sua città anche in siciliano è Franco Scaldati, con il suo "Teatro all'Albergheria. Lo scrittore più noto a cavallo tra XX secolo e nuovo millennio è Andrea Camilleri autore di teatro e romanziere, che sebbene non scriva in siciliano, è riuscito a trovare il modo di diffondere questa lingua in Italia e nel mondo. I suoi romanzi sono scritti con un linguaggio molto particolare, con una sintassi decisamente siciliana e un lessico italiano infarcito di siciliano come fece già nel XIX secolo Giovanni Verga. Il romanzo storico Il re di Girgenti  è l'unica sua opera scritta interamente in siciliano.