BORIS GIULIANO L’ultimo vero “sbirro” di Palermo Bagarella, De Mauro, Sindona: il losco intreccio che lo ha ucciso

 Boris Giuliano nasce a Piazza Armerina il 22 Ottobre 1930 e, breve parentesi in Libia (al seguito del padre sottoufficiale della Marina) a parte, torna 11 anni più tardi in Sicilia, nello specifico a Messina. Sei anni dopo la laurea in giurisprudenza conseguita nel ‘56, vince il concorso per commissario di Polizia di Stato. Al termine dell’anno di formazione chiede e ottiene il trasferimento a Palermo, dove lavora intensamente fino al giorno della sua morte. Nel ’76 raggiunge il massimo grado al vertice della squadra mobile del capoluogo siculo ma la sua attività d’investigatore di razza era iniziata già anni prima. La sua amabile persona, l’elevato coraggio e il senso di giustizia che lo hanno sempre contraddistinto vanno ad imbattersi con i personaggi più oscuri di quella disgraziata e corrotta epoca dell’isola più bella del mondo. 

Giuliano sa usare la pistola come pochi, Giuliano è apprezzato oltreoceano addirittura dall’FBI (con cui instaura un costante rapporto collaborativo), Giuliano sa indagare meglio di Callaghan e Giuliano fiuta, prima di tutti gli altri martiri che lo hanno anticipato e soprattutto seguito nella storia recente alla lotta a Cosa nostra, la famosa pista del denaro di proprietà delle cosche. Boris sostituisce Bruno Contrada a capo della mobile e, unitamente a Carlo Alberto Dalla Chiesa, dimostra subito la sua incredibile tenacia dopo la sparizione del giornalista Mauro De Mauro. Era il 16 settembre 1970 quando, dell’autorevole “penna” dell’Ora di Palermo, non si seppe inspiegabilmente più nulla. Ex Repubblichino, ex X° flottiglia Mas, ex redattore dell’Eni ed ex fedelissimo di Enrico Mattei, il buon De Mauro fa perdere le sue tracce (anzi, sarebbe meglio dire lo hanno eliminato) probabilmente perché stava per raccontare verità scomode proprio in relazione all’incidente/omicidio aereo del dirigente petrolifero, e perché stava infastidendo tramite l’operazione Milazzo i potentissimi cugini Salvo, i sodali di Lima e gli esattori conniventi con la cupola palermitana. Il giornalista sapeva troppo e viene messo a tacere per sempre. Giuliano imbattendosi in questa vicenda e – ovviamente – in un intreccio siciliano/romano degli anni Settanta completamente sotto il controllo dei Clan, già comincia a farsi dei pericolosi nemici.

La cosa si fa estremamente delicata quando il super poliziotto indaga sulle due valigie contenenti mezzo milioni di dollari sequestrate a Punta Raisi, relative al pagamento di una partita di eroina rinvenuta al J.F. Kennedy airport di New York. Il tutto riconducibile alla “famiglia” Riina e - nello specifico - al cognato Leoluca Bagarella. La “squadra” di Giuliano comincia i primi arresti ai danni di alcuni esponenti mafiosi dopo il ritrovamento, in Via Pecori Giraldi, di altro materiale a dir poco interessante. La pista dei conti bancari e dei fondi neri (quella che poi ha seguito anche Giovanni Falcone) appare subito la strada giusta per arrivare al bandolo della matassa. Ma non finisce qui. Sulla scia del clan dei corleonesi la via porta, tramite il cadavere dell’ “uomo d’onore” Giuseppe Cristina, ai loschi affari di Michele Sindona, il finanziere in odore di mafia e transazioni spregiudicate “offshore” tra la East Coast americana e il sud Italia. Per vederci chiaro Boris Giuliano ne discute anche con il liquidatore Giorgio Ambrosoli, messo a capo della banca milanese dell’italo-americano ormai in fase di default. Il dado sembra essere tratto ma la “faccenda” De Mauro, quel mezzo milione di Bagarella e - dulcis in fundo - le attività illecite di Sindona non lasciano scampo all’eccezionale segugio di Piazza Armerina.                  

Il 21 luglio 1979, dopo un caffè al bar Lux in via Di Blasi, Boris Giuliano viene raggiunto da una raffica di colpi d’arma da fuoco alle spalle. Per quel vile, tragico e infame agguato verranno successivamente condannati come mandanti il Clan (in ascesa) dei corleonsi (Riina, Provenzano, Brusca, Greco, Calo’ e Madonia) mentre, come esecutore materiale, Leoluca Bagarella. Al posto del defunto Giuliano, a capo della mobile di Palermo, viene messo un giovane Giuseppe Impallomeni, iscritto alla Loggia P2, tessera n° 2213.

Prima di lui il vuoto nei processi per mafia, tutti terminati per mancanza di prove, dopo di lui il lume che ha portato poi agli splendidi successi del pool di Caponnetto culminanti con lo storico “Maxi” processo del 1986.                          

Quello che ci rimane del commissario Giuliano è racchiuso nella bella motivazione in occasione della cerimonia per la Medaglia d’oro al valor civile:

  “Valoroso funzionario di Pubblica Sicurezza, pur consapevole dei pericoli cui andava incontro operando in un ambiente caratterizzato da intensa criminalità, con alto senso del dovere e non comuni doti professionali si prodigava infaticabilmente nella costante e appassionante opera di polizia giudiziaria che portava all'individuazione e all'arresto di pericolosi delinquenti, spesso appartenenti ad organizzazioni mafiose anche a livello internazionale.
Assassinato in un vile e proditorio agguato tesogli da un killer, pagava con la vita il suo coraggio e la dedizione ai più alti ideali di giustizia.
Palermo, 21 luglio 1979.
” (Mirko Crocoli)