Ancora una volta Vito Marino ci riporta all’antica società contadina che un tempo era grande maggioranza nella Sicilia. Maggioranza in quella Isola che era a pieno titolo il granaio dell’Impero Romano prima e quello dell’Italia dopo.

Siamo nei tempi in cui i contadini in grande maggioranza vivevano la campagna abitandola, traendo da essa tutto quanto utile alla vita dell’intera famiglia e quando qualcosa aumentava veniva venduta per acquistare beni di prima necessità utili alla vita di campagna: arnesi, bestiame, suppellettili, pezzi di mobilia ed altro. Erano periodi quelli, in cui ad esempio avere un canneto, elemento di cui oggi ci parla Vita Marino, era una grande comodità poiché la canna, intera veniva utilizzata per l’abbacchiatura delle mandorle ad esempio o di altri prodotti da albero. La canna serviva anche per fare tettoie esterne o per metterle sotto le tegole dei tetti. Opportunamente lavorata, tagliata a strisce serviva anche per fare tapparelle alle finestre e così via. Siamo di fronte ad un prodotto che non richiede particolare attenzione, che pesca l’acqua di cui ha bisogno anche in falde profonde. La seconda cosa che ci presenta oggi Vito, è un lavoro che si fa ancora oggi nelle campagne, anche se con mezzi diversi e più moderni: la rimunna, ossia la potatura degli alberi che serve a togliere i rami inutili, a modellare la forma degli alberi, a tenerli bassi, ad ombrello ecc. seconda l’estro del potatore e i desideri del proprietario. I rami, la legna che veniva fuori, generalmente veniva utilizzata come combustibile dalla famiglia contadina e nelle cucine in muratura “a vapore” nella casa della borghesia. Ma vediamo come ce le presenta il nostro amico Vito Marino (la redazione)

LA CANNA COMUNE:

La canna comune (Arundo donax) o canna domestica o canna gentile è una pianta erbacea perenne e dal fusto lungo, cavo e robusto, che cresce, a dense macchie (cannitu), in terreni anche relativamente poveri di sostanze nutritive, come quelli sabbiosi. Attualmente la canna si può trovare sia piantata che naturalizzata nelle regioni temperate e subtropicali di entrambi gli emisferi. Durante la civiltà contadina, l’uso della canna era indispensabile come tutore della vigna e di altri alberetti, per la costruzione di canne da pesca, friscaletti (zufoli), agugghera (agoraio per conservare gli aghi), cannàra (o cannarati) per mettere ad essiccare al sole i fichi e i pomodori, “cannedda” per spillare il vino dalla botte, il fucile per giocare i bambini, manico per la scopa, per coprire tettoie, per la costruzione delle logge al mare. La canna, tagliata a strisce serviva per la costruzione di: “cannizzati” (cannucciate) per tettoie d’ombra e per la costruzione di soffitti e muri divisori, cannizzi (per la conservazione del grano), panara, carteddi, cartidduna, cannistra, tutti contenitori per contenere e trasportare i prodotti dell’agricoltura. Le strisce sottili di canne servivano anche anche per preparare lo scheletro per la costruzione della “cumerdia” (l’aquilone), che i ragazzi più bravi sapevano preparare da soli.

LA RRIMUNNA

Nel grande scenario dell'automazione e della cibernetica computerizzata, oggi anche nelle campagne molti lavori sono eseguiti con macchinari complicati; ciò significa meno occupazione contadina, ma anche un lavoro meno faticoso e disumano. In questo argomento faccio riferimento alla potatura dell’ulivo, perché fra le culture arboree è la più diffusa nelle nostre campagne. Molti contadini “rimunnatura”, sia pur pagati con bassi salari, con la “rimunna” (potatura) trovavano occupazione per diversi mesi l’anno. Nel passato, diciamo fino agli anni ’50, la squadra che eseguiva questo lavoro, era chiamata impropriamente "coppia"; essa era formata da sei "rimunnatura" (potatori) più un "capuccetta" (capo d’accetta = capo squadra). Il capuccetta era il potatore con più esperienza; anche lui aveva un filare d'ulivi da potare, ma quando sorgeva qualche dubbio fra gli altri potatori, lui doveva lasciare il suo lavoro e decidere, in maniera insindacabile, su come operare. Costui, inoltre, doveva contabilizzare, al proprietario del fondo, il numero degli operai impiegati e le giornate di lavoro eseguite; doveva, inoltre contabilizzare anche la quantità di legna già pronta. A tal proposito, essendo regolarmente analfabeta, adottava un sistema contabile arcaico, ma molto efficiente: teneva nella cintola un rametto d'ulivo su cui faceva un segno col coltello per ogni "cavaddunciu" già pronto. Un “cavaddunciu” era formato da 10 "mazzi di ligna" (fascine di legna). Ad ogni fine giornata il “capuccetta” contava le tacche segnate, che corrispondevano ai mucchi di legna, e faceva la consegna al proprietario terriero. Per ogni due “coppie di rimunnatura” c'era un "capu d'arti", che sovrintendeva a tutto il lavoro di potatura; costui in sostanza era il tecnico fiduciario del padrone, spettava a lui decidere il sistema di potatura da adottare per quell’annata agraria “normali, stritta o china” e rendere conto della qualità di tutto il lavoro. Gli attrezzi di lavoro, oltre alla scala a pioli, erano: una sega ad arco e “lu ccittuni” per i tagli più grossi eccezionali, “l’accetta a du manu” per i tagli medi e l’accetta normale per tutti gli altri tagli; a quei tempi non c’erano le forbici e neppure la sega a scoppio; pertanto si faceva molto consumo di “olio di gomito”. In ogni coppia c'era pure una "pecora": un contadino, chiamato così scherzosamente, perché andava sempre dietro i potatori per completare il lavoro. Egli aveva la funzione di raccogliere e selezionare la legna tagliata dagli alberi durante la potatura, separando i tronchi dal “braccame” (rami) e dal "frascame" (rametti col fogliame) che doveva legare a "mazzi di ligna" (fascine) con le "liame". Le fascine a quei tempi erano importantissime, poiché erano il combustibile più usato e più economico sia per l'artigianato che per gli usi domestici. Il proprietario con il ricavato della vendita di tronchi, rami e fascine recuperava le spese della potatura; oggi, invece, si paga un operaio, per bruciare sul posto tutta la legna. Riguardo all’uliveto vorrei fare una precisazione: gli ulivi erano piantati molto larghi per essere più arieggiati ed evitare malattie alle piante, ma anche per potere coltivare il terreno con piante erbacee (ortaggi, legumi, frumento) ottenendo due produzioni. Quando un terreno si dava in affitto o a mezzadria, si doveva specificare se si trattava di “sutta” o “supra” o di entrambi, come se si trattasse di due poderi distinti. In mancanza di coltivazioni nella parte di “sutta”, il terreno si dava a pascolo percependo un compenso. VITO MARINO