Il pistacchio: l “Oro verde” di Bronte tra natura, storie e tradizioniDi Maria Cacioppo -Colore verde smeraldo, profumo intenso e al contempo delicato, dal gusto dolce ma persistente e resinoso :queste le caratteristiche del Pistacchio di Bronte,

una Denominazione di origine protetta (Dop) unica dal 9 giugno 2006; famoso in tutto il mondo fin dall'antichità, diffuso su tutte le tavole italiane e utilizzato per la preparazione di molti piatti prelibati. Bronte,una cittadina ai piedi dell’Etna, con oltre 3000 ettari di coltivo (più dell’80% dell’intera superficie regionale) è il fulcro di questa coltivazione con il suo pistacchio di altissima qualità.

Una produzione talmente preziosa che il pistacchio che si ricava viene denominato “l’oro verde” e rappresenta la principale risorsa economica del vasto territorio della cittadina etnea. Proprio in questi giorni si è svolta la 28^ edizione – (dal 22 al 24 settembre,dal 29 settembre all'1 ottobre) della sagra dedicata a questo tesoro dell’agricoltura locale che coinvolge circa mille produttori.

E’ una pianta, che radica le sue radici fin dalla notte dei tempi. Proveniente, da Psitacco, città della Siria o, secondo altri dall'Asia minore o dal Turkestan, quest'albero contorto, dai rami sottili che a settembre si tingono di rosa, era già nota agli ebrei. Gli alberi del pistacchio sono presenti da migliaia di anni in Medio Oriente, dove i loro frutti sono considerati da sempre una prelibatezza Troviamo delle testimonianze, già, nell’Antico Testamento e nella Genesi, ma, anche, scrittori più contemporanei, come Plinio Il Vecchio, nell’Historia Naturalis, parla della pianta del pistacchio.. Secondo la leggenda, i pistacchi erano uno degli alimenti preferiti dalla regina di Saba, la quale richiedeva che tutta la produzione delle sue terre venisse impiegata esclusivamente per soddisfare lei e la sua corte. Tramite le conquiste di Alessandro il Grande (334-323 a.C.), la "nocciola verde", raggiunse la Grecia. Successivamente, durante il dominio dell'imperatore romano Tiberio (I secolo d.C.), il pistacchio venne introdotto anche in Italia e in Spagna. I Romani chiamarono “frastuchera locus” lo spazio, il luogo dove si produceva il pistacchio È arrivato in Sicilia con gli Arabi che sbarcati in Sicilia e più precisamente a Marsala (letteralmente porto d’Alì) nell’827 e divenuti padroni dell’intera isola attorno al 902, ne iniziarono la coltivazione soprattutto alle pendici dell’Etna, dove vi erano le condizioni perfette per la produzione del frutto, “inestando li salvatichi cò la coltivazione diventano domestichi”, per via di marze; e proprio dall’arabo proviene il suo nome: “frastuca”il frutto e "Frastucara" la pianta. In Sicilia, riscontriamo l’uso del pistacchio presso i conventi; famoso a Catania quello dei Benedettini di San Nicola; ad Agrigento presso le suore dello Spirito Santo; a Bronte presso il Monastero di Santa Scolastica ubicato allora “’o chianu ‘a Batia” e a Maniace presso la ben nota  Ducea inglese dei Nelson.

La specie ha avuto un certo sviluppo in Sicilia in particolare in provincia di Catania ai piedi del vulcano Etna nel territorio di Bronte: un terreno vulcanico sciolto con rocce dove si riuscì a creare un connubio tra la pianta ed il terreno lavico: un terreno che arricchito continuamente dalla cenere vulcanica, favorì lo svilupparsi del pistacchio per eccellenza con caratteristiche che lo contraddistinguono rispetto al pistacchio coltivato in altre aree siciliane (Caltanissetta o Agrigento) o estere (Medio Oriente, Grecia o California e Argentina). Lo sviluppo della coltivazione del pistacchio ha influito sullo sviluppo urbanistico del paese, tanto che i proprietari delle grandi aziende, traendo profitto dalla coltura del pistacchio, hanno costruito nell’attuale Corso Umberto, una palazzina espressione della borghesia feudale.

 La tipologia del terreno lavico, ha sempre impedito l’introduzione di qualsiasi tipo di meccanizzazione non consentendo l’abbassamento degli elevati costi di produzione. Ancora oggi, le uniche macchine utilizzate in qualche azienda sono il decespugliatore, la motozappa e qualche motopompa. Per il resto prevale, sempre, la fatica del contadino, l’opera della zappa, di rastrelli, falce e pompa d’irrorazione a spalla. La raccolta dei frutti avviene ogni due anni nel mese di settembre. Un fenomeno questo che è stato studiato negli USA e l’Università della California,nella pubblicazione Dvision of Agricoltural Sciences asserisce che questa alternanza di produzione non è ancora ben nota e l’Istituto di Coltivazioni arboree di Palermo sta portando avanti  studi in tal senso.

Nei pistacchieti naturali, zone rocciose e scoscese,  la raccolta non può essere eseguita che a mano con fatica e perizia da parte degli addetti che si devono arrampicare con le sacchine, grossi cesti di plastica o sacchi di tela che vengono allacciati al collo dove metteranno l’ambito frutto, mentre nel pistacchieto naturale, la raccolta avviene per scuotimento delle piante e i frutti cadono sotto la chioma degli alberi in reti da dove vengono raccolti. Finita la raccolta giornaliera i pistacchi vengono destinati alla smallatura tramite una semplice macchina con la quale i frutti vengono privati del mallo che copre il guscio. A questo punto i pistacchi devono essere al più presto stesi al sole per favorirne l'essiccatura. A Bronte, non è un caso che le case di campagna sono tutte dotate davanti di un terrazzino. u stindituri in brontese che serve per asciugare i pistacchi. Una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione e che ha reso il pistacchio,  simbolo ed emblema della città, di un territorio e della sua gente che non teme il lavoro e la fatica, che ha sempre lottato per portare a casa il necessario. Padre Gesualdo De Luca nel lontano 1883, illustre Professore di Botanica nell'Università di Catania, in un suo opuscolo intorno a questa preziosa pianta fruttifera, loda i pistacchi di Bronte e loda i Brontesi quali buoni ed intelligenti coltivatori dei pistacchi del proprio territorio.

Un popolo che sul pistacchio ha costruito ricchezza, cultura e tradizioni ma anche l’abitudine del rispetto e della salvaguardia per il territorio nel quale vive. Frutto di alto pregio, è molto apprezzato e richiesto nei mercati europei e giapponesi per le dimensioni e l’intensa colorazione verde.

Il valore di questo prezioso frutto è talmente radicato nella cultura brontese che ancora oggi, tra i giovani, è diffusa l'antica credenza popolare secondo la quale mangiare pistacchi farebbe venire la febbre. Era questo, infatti, che i vecchi raccontavano ai bambini per dissuaderli dal mangiare troppi pistacchi durante la raccolta e quindi risparmiarne il più possibile.  Curioso è anche un proverbio siciliano che recita Essiri comu lu fastuca e lu scornabeccu gnifica “Essere uniti come il pistacchio e il terebinto” un detto che vuole indicare l'inseparabilità tra due persone..

 I frutti sono un ingrediente molto pregiato della cucina di classe e di particolari e squisite preparazioni dolciarie e gelatiere. Tantissimi chef, gia dal 500, citano il pistacchio nei ricettari “per fare confetti restaurativi”; nel 600 lo si trova nella preparazione di “pasticci salati di carne e pesce”, nelle “minestre di pistacchi”, nelle salse (“salsa alla Galante”), e nel 1800 come base di “varie creme di mandorle o di pistacchi”. Il famoso pasticciere e gelataio Caviezel scrive: “Li pistacchi sono umettanti e pettorali, fortificano lo stomaco, eccitano l'appetito, sono aperitivi e molto utili alle persone magre…”, e“….Eccitano gli ardori di Venere e accrescono l'umore femminile”.

Una pianta ricca non solo di sostanze ad alto valore nutritivo, ma anche di numerosi principi attivi utilizzati in campo medico. Avicenna, filosofo medico d’origine iraniana, considerato l’Ippocrate e l’Aristotile dell’oriente mussulmano, nel libro a titolo “Il canone della medicina”  prescriveva il pistacchio contro le malattie del fegato e lo definiva afrodisiaco. Moltissime sono anche le caratteristiche miracolose legate al consumo di pistacchio molto spesso citato negli antichi trattati di storia naturale e negli antichi testi, progenitori affascinanti dei moderni libri di dietetica e scienza della alimentazione. Castor Durante da Gualdo (1509-1590), celebre botanico e medico, autore di vari trattati tra i quali “Il tesoro della sanità” parlando dei pistacchi ci dice che “purgano il petto e le reni, sono utili allo stomaco,

Oggi a tutelare il pistacchio di Bronte ci sono una Dop e anche un presidio Slow Food. Una Dop unica, un tesoro da custodire.

 

Ricetta siciliana

 

LA FILLETTA: Dolce “Segreto” Tipico di Bronte


E' un dolce brontese antichissimo tramandato di generazione in generazione, descritto come l'esaltazione della fantasia, dell'amore e della pazienza. La cottura richiede una grande perizia e nessuna distrazione in quanto ogni filletta viene cotta singolarmente in una padella di rame unta di burro, posta ad una distanza di circa 10 cm. su un braciere colmo di cenere calda, e coperta da un coperchio su cui è posta della brace ardente. Questa tecnica perfezionata nel corso di lunghissimi anni, probabilmente da donne votate ai pazienti lavori femminili permette la confezione di un dolce gustoso e perfetto nella sua forma circolare.

INGREDIENTI

100 gr di zucchero;

4 uova;

100 gr. di fecola;

1 cucchiaio di pesto di pistacchio;

zucchero a velo;

granella di pistacchi.

 

PROCEDIMENTO
Per prima cosa bisogna  il pesto di pistacchio. Per il pesto occorrono 150 g. di pistacchi, 30g di pinoli noce moscata in polvere, olio evo (a piacere), sale e pepe (a piacere). Tritare in un mixer ed aggiungere tanto olio per coprire il tutto, senza che anneghi. Quindi continuar a tritare fino ad ottenere una consistenza cremosa. Montare i tuorli con lo zucchero.

Ci vorranno circa 10 minuti.Aggiungere 100 grammi di fecola ed un cucchiaio di pesto al pistacchio e, a poco a poco, gli albumi montati a neve ben ferma. A questo punto ricoprir una teglia con della carta forno e stendere il composto.Infornare per una 10ina di minuti a forno preriscaldato a 200 gradi.

Alla fine spolverare il dolce con dello zucchero a velo e la granella di pistacchio