MI RICORDO DI GIOVANNI AUGELLO

Classe secondo 54, Il ricordo più lontano che ho in memoria, è il giorno che mi sono perso al Pirito, dove i miei genitori avevano il terreno ed una casetta. Avevo tra i due e tre anni.

I miei ricordo sono più o meno nitidi, mi vedo vestito con la vestina ( a quei tempi, bambini e bambine si vestivano allo stesso modo), oggi si direbbe unisex, era più economico. Proseguiamo il ricordo. Mi sono svegliato e stranamente non ho visto nessuno, né i miei genitori né i miei fratelli e sorelle. Mi sono messo a chiamare, ma nessuno rispondeva. Allora mi sono messo a camminare da solo cercando qualche familiare. In quel tempo Papà lavorava come contadino in un terreno che si trovava ad un chilometro dal nostro terreno.(1) Allora pensando che i famigliari erano andati laggiù, mi sono messo a camminare e passo dopo passo, sono arrivato davanti la casa di quel proprietario del terreno e visto che non ho trovato nessuno, stanco mi sono seduto aspettando, perchè ritornare indietro era difficile alla mia età. Quando i miei familiari si sono accorti della mia assenza, si sono messi a cercarmi e più il tempo passava, più le loro paure aumentavano. Nella zona si trovavano cani selvatici, serpenti, e altri animali vaganti, dunque per la loro testa passavano le cose più orrende. Finalmente dopo alcune ore, a qualcuno, non mi ricordo chi dei miei, è venuta l’idea di venire a cercare dalle parti dove ero e mi hanno travato calmo ed ancora seduto davanti la casa. Il ritorno a casa è stato uno dei ricordi più belli della mia vita. Bacini da tutti, la Mamma che mi stringeva fortemente, quanto amore poteva trovarsi in una famiglia di poveri contadini. Già a quel tempo si vedeva che il mio destino era scritto! Era scritto che avrei lasciato la famiglia. Quando si dice, le cose della vita! Finalmente è arrivata l’era di andare all’asilo e mi hanno portato nell’asilo delle monache al Belvedere. (2) Dopo un paio di giorni, la Mamma, fu costretta a ritirarmi dall’asilo, perché mia sorella piangeva tutto il giorno per me.(3) Un altro aneddoto che ricordo di quel tempo, è stato il giorno che andavamo in campagna io e la Mamma a cavallo all’asina e Papà che teneva le redini, camminava davanti. Ad un tratto, non so il perché, l’asina è scivolata e io e la Mamma ci siamo trovati per terra. Impressionato dalla caduta, ripetevo sempre: “cadì la scecca, cadì la Mamma”. Finalmente è arrivata l’età di andare a scuola, il maestro della prima e seconda elementare era un bravo maestro, non mi ricordo il nome. Rigoroso ed esigente, con un solo difetto: aveva una grossa matita con sopra una campanella tutta di legno e quando doveva punirci ci faceva tendere le mani e ci colpiva sulle dita e faceva molto male. Era diverso dalle scuole di adesso. Il mio giorno si svolgeva tra la scuola e i diversi giochi di strada e dopo carosello a letto. Dalla terza elementare alla quinta sono stato dal maestro Petix rinomato per il suo rigore, era il maestro più rigoroso della scuola. Tutte le mattine ci faceva mettere tutti in piedi, le mani tese in avanti e controllava maniaclmente tutto il corpo, le orecchie, le unghia, le mani, le scarpe, i vestiti. Tutto doveva essere pulito e se qualche cosa non andava, erano botte e bacchettate. Un vero torturatore. Sembrava predesse piacere a punire. Durante la settimana a scuola e la domenica ci obbligava ad andare a messa e bisognava farci firmare un libretto dal prete, anche lui complice del torturatore, che attestasse che si era assistito alla messa. Il prete stava attento che si fosse alla messa dall’inizio alla fine, se no niente firma e allora il lunedì erano botte. Bravo maestro, non potevi permetterti di essere bocciato, perché un anno in più copn lui, faceva paura, dunque eri costretto a studiare ed essere gentile. La fine delle scuole elementari è stata una vera liberazione. In quanto a rigore il maestro Petix era il massimo, ma per l’insegnamento non lo era altrettanto e l’ho provato a mie spese il primo anno delle medie. Forse a causa della libertà, al massimo se facevi una fesseria ti davano una sgridata, o a causa della preparazione, ho finito l’anno rimandato di quattro materie. Testardo e per la paura non mi sono presentato agli esami, ho preferito ripetere l’anno. Non so se è stata una buona decisione, ma da lì in avanti, ho avuto più facile a seguire la scuola e ho finito le scuole medie senza problemi e più maturo. All’età di dodici anni, andavo pure alla scuola di musica da Giuseppe Licalsi, per imparare il solfeggio, dopo è arrivato il momento di suonare lo strumento con il Maestro Angelo Licalsi. Mi aveva prestato un flicorno e dopo qualche tempo Papà mi ha comprato una tromba d’occasione, così aveva deciso il maestro. Dopo diversi mesi di studio, finalmente mi ha incluso nella banda. Ero emozionantissimo la prima volta che sono andato a suonare con la banda alla festa del paese. Dopo la prima volta, tutto è diventato più facile e piacevole. Visto che eravamo la sola banda a Serradifalco,tutte le feste erano per noi. Ero fiero con il vestito bianco in estate ed il vestito nero in inverno o quando si accompagnava qualche morto. Si suonava in paese, ma si andava a suonare anche a Mussomeli, Villalba, Bompensiere, Sommatine ed altri paesi nei dintorni. Si partiva la mattina presto in autobus, arrivati sul posto si incominciava a suonare fino a mezzogiorno e dopo si andava a mangiare nelle trattorie a spese nostre (a volte spendevo tutto quello che guadagnavo per mangiare e bere, qualche gelato ed altro). Ma Papà era fiero di avere un figlio musicante e non mi diceva niente per le spese. Nel pomeriggio si continuava a suonare le marce nella piazza e dopo cena sempre la processione che durava da due a tre ore. Finita la processione, in serata si faceva il concerto sul palco in piazza, si suonava diversi classici di Bellini, Verdi e altri grandi della musica classica. A volte il concerto durava tre quattro ore e finalmente stanchissimi si caricava il materiale sull’autobus e si ritornava a casa. Alcune volte le feste duravano due giorni e allora si dormiva sul posto nei letti da campo stretti e scomodissimi, ma vista la stanchezza si dormiva lo stesso. Una volta, se ricordo bene, eravamo andati a suonare a Buompensiere e dopo aver suonato tutta la mattinata dopo aver mangiato come sempre, avevamo qualche ora di riposo. I grandi restavano a bere e chiacchierare nei bar e noi ragazzini andavamo a giocare nell’autobus. Non so come sia successo, ma ad un tratto un mio coetaneo ha chiuso la portiera e le mie dita della mano sinistra sono rimasti incastrati nella portiera. Mi sono messo a urlare forte dal dolore e il tempo che aprivano la porta ho avuto un dito della mano sinistra che è scoppiato per la pressione della porta. Subito sono corso dal Maestro Licalsi che mi ha portato da un medico che mi ha disinfettato la mano e fasciato il dito. Il pomeriggio ho suonato come potevo e la sera di ritorno a casa, i miei genitori erano preoccupati per la ferita. L’indomani sono andato con mio fratello dal Dottore Fasciana, che mi ha tolto la fasciatura e dopo aver visto la ferita, senza anestesia mi ha ricucito il dito. Mio fratello mi teneva ed io gridavo come un animale che stavano sgozzando. Il dolore era atroce e dopo alcuni giorni il dottore mi ha tolto i punti senza nessuna delicatezza. Il dottore Fasciana era un uomo freddo e determinato, ma era anche un bravo dottore. La mia avventura di musicante è durata fino a diciotto anni. Dopo un giorno il Maetro Licalsi ha avuto la cattiva idea di farci ascoltare una registrazione di un concerto, dicendo che era l’orchestra della RAI. Dopo avere ascoltato attentamente un’opera che anche noi suonavamo, eravamo rimasti a bocca aperta e lui sarcastico ci ha detto: “ma siete tutti scemi? Non riconoscete che siete voi che suonate?” Dopo qualche minuto di riflessione gli ho detto: “ ma zi Angilu visto che siamo noi che suoniamo così bene, perché ci pagate così poco?” Lui mi ha risposto come sapeva fare, bestemmiando e trattandomi di tutti i nomi. Qualche giorno dopo sono andato a trovarlo al chiosco e gli ho chiesto di pagarmi di più. Lui, incazzato, mi ha mandato a quel paese. Io mi eero preparato a questa risposta e mi ero portato dietro tutti gli spartiti in mio possesso e allora gli ho detto che se non mi pagava di più avrei lasciato la banda e lui incazzato nero mi ha detto no. Allora io gli ho buttato addosso gli spartiti e sono andato via. Così è finita la mia avventura nella banda. Dopo lui per screditarmi con gli altri andava dicendo che gli avevo rubato gli spartiti. Fortunatamente gli altri musicanti conoscendomi non gli hanno creduto e così non ho avuto bisogno di difendermi. Il mio onore era salvo. Ritornando indietro, a scuola andavo bene e nei giorni feriali o le vacanze scolari, quando non andavo a suonare, andavo con Papà a lavorare in campagna dove ho imparato tante cose, come riconoscere le erbe, zappare la terra, mietere il grano, raccogliere i frutti, raccogliere le mandorle, badare alle bestie. Le mie vacanze scolari coincidevano sempre con il periodo di raccolte. In estate si andava ad abitare in campagna e così si passava il tempo lavorando nei campi. Era faticoso, però col tempo passato ho capito che faceva del bene la vita di contadino. Finita la scuola media, sono andato a scuola in città. Mi sono iscritto alla scuola industriale in meccanica, allo stesso tempo, frequentavo i giovani comunisti. A scuola andavo benino con una media discreta, però verso il fine anno ho avuto una discussione con il professore di aggiustaggio e lui ha avuto la cattiva idea di darmi uno schiaffo. Il sangue mi è salito agli occhi ed ho risposto allo stesso tono e dallo schiaffo sono passato ai pugni. Gli altri alunni ci hanno diviso e così sembrava fosse finita. Il professore non è andato neanche dal preside per farmi punire. Però a fine anno si è vendicato con i punti, mi ha messo un tre nella sua materia così mi ha fatto scendere la media totale e mi ha fatto bocciare. Credevo di aver vinto la lite, ma alla fine è lui che ha vinto facendomi perdere l’anno scolastico. Così ho capito il detto: “ride bene chi ride l’ultimo”. L’anno successivo ho voluto cambiare scuola per non avere altri problemi con lui. Visto che non c’era tanta scelta come scuola di meccanica restava solo l’I.N.A.P.L.I. (4) e così mi sono iscritto in meccanica automobile. In quella scuola mi sono trovato subito bene, ma allo stesso tempo frequentando i giovani della FGCI, ero stato nominato segretario organizzavo dei giovani della sezione del PCI di Serradifalco e così portavo in parallelo scuola e politica. Da subito sono stato eletto rappresentante di classe. A Caltanissetta a quel tempo c’erano le battaglie fra giovani comunisti e giovani fascisti e andare per la città quando ti conoscevano, diventava pericoloso, perché i fascisti attaccavano sempre in gruppo, però quando li trovavi da soli erano come gattini e si nascondevano. Dopo il primo anno di scuola durante le vacanze scolari andavo a lavorare nel garage FIAT di Serradifalco per imparare il mestiere. Il Sig. Ristagno era uno dei padroni più difficili, trattava i suoi operai come schiavi. dopo qualche mese di lavoro, è arrivato il giorno che dovevo andare a suonare con la banda. A quel tempo si lavorava il sabato mattina ed io visto che dovevo andare a suonare avevo chiesto il permesso per non lavorare quel sabato. Lui incazzato, mi aveva rifiutato il giorno libero. Da lui guadagnavo 500 lire a settimana, proprio per comprare le caramelle, invece con la banda mi pagavano 3.000 lire al giorno. La mia scelta è stata subito fatta e gli ho detto che per il sabato poteva dimenticarsi di vedermi. Lui come risposta mi ha detto che se non andavo il sabato, non avevo bisogno di venire il lunedì perché mi buttava fuori. Io come risposta gli ho detto che andavo a cambiarmi e gli ho buttato gli utensili a terra e sono andato via. Così ero io che me ne andavo e non lui che mi mandava. Così mi sono preso una bella soddisfazione. Il secondo ed ultimo anno di scuola era cominciato da poco che gli altri alunni mi hanno eletto rappresentante d’istituto. Era il periodo dei grandi scioperi studenteschi e così ho incominciato ad organizzare i primi scioperi. Quasi tutti gli studenti mi seguivano, molti scioperi si decidevano da un lato nella federazione del Partito Comunista e dall’altro nelle riunioni dei rappresentanti studenteschi dove i giovani comunisti eravamo maggioritari. Il più grande sciopero che ho organizzato è stato per fare diventare l’INAPLI da scuola provinciale a suola regionale. Per quello sciopero mi hanno seguito tutti gli alunni e anche alcuni professori. Quando la lotta era diventata dura, un giorno il preside mi chiama in privato e mi minaccia che se non fermavo lo sciopero aveva pronti i documenti per farmi escludere da tutte le scuole d’Italia. Preso con il coltello alla gola e per evitare di perdere la faccia, con gli studenti ci siamo messi d’accordo che dopo qualche giorno avrei fatto in modo di fermare lo sciopero e così è stato. Finito l’anno scolastico, ho passato gli esami con una commissione esterna così il preside non ha potuto intervenire anche se ha fatto di tutto facendomi domande sempre più esigenti, ma io mi ero ben preparato e così ho finito gli esami come secondo classificato di tutta la scuola.

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Fin qui il “MI RICORDO” di Giovanni, al quale non ho voluto aggiungere o modificare nulla, tranne qualche nota esplicativa e qualche ritocco alla punteggiatura. I ricordi sarebbero continuati, solo che sono convito che molto in ritardo, forse sentendo vicina la fine, ha cominciato a scrivere di se e della sua vita. La malattia lo ha stroncato prima che potesse completare le sue memorie che, sono sicuro, voleva lasciare come testamento morale ai figli ed alla moglie, oltre che ai fratelli e alle sorelle. Mi sembra giusto e doveroso a questo punto, continuare per larga sintesi questo “MI RICORDO”, aggiungendo qualche cosa di quello che lui non ha fatto in tempo a scrivere e che io conservo nella mia memoria. Comincerò da dove ha lasciato lui, dalla fine della scuola e dal conseguimento del diploma di aggiustatore meccanico avuto a Caltanissetta. Appena diplomato, si mise a cercare una occupazione e la trovò presso una officina di Canicattì il vicino paese in provincia di Agrigento. La paga non era certo soddisfacente, mi pare di ricordare che prendeva poche centinaia di lire al giorno, tanto da coprire a malapena le spese di viaggio e il panino che si portava per la colazione e per il pranzo, detratte le quali, non gli restava molto. Mi chiese cosa dovesse fare e che pensava di lasciare quel lavoro che oltre a non dargli alcuna soddisfazione economica non gli dava anche nessuna soddisfazione lavorativa. Gli dissi allora di insistere e di chiedere una giusta retribuzione, cosa che fece, ma il proprietario dell’officina non era propenso a pagare il giusto salario. Lasciò qual lavoro dopo poco tempo e si mise alla ricerca di un altro lavoro che gli desse più soddisfazione. Nel frattempo, la sorella Lucia, con la quale erano cresciuti assieme ed erano molto legati, si era sposata ed era partita per il Belgio, dove abitava e lavorava il marito. Un giovane meccanico di Serradifalco che dopo avere lavorato per anni in una officina del paese, aveva scelto la via dell’emigrazione. Il giovane Giovanni, scelse di seguire la sorella e si trasferì a sua volta in Belgio a Montegnée, oggi Saint Nicolas. Qui, nel 1973 cominciò la sua esperienza lavorativa presso la FIAT, dove lavorò per tre o quattro mesi, dopo di che passo presso le officine Scania. Essendo uno spirito irrequieto, quella dell’emigrazione non era stata ancora una scelta definitiva, per cui nel 1976 rientrò in Italia ed a giugno partì per fare il servizio militare. Venne mandato a fare il C.A.R. a Palermo, dove lo raggiunsi diverse volte e dove ero presente assieme a mia moglie il giorno del giuramento. Da Palermo, dopo il giuramento venne trasferito in Puglia dove rimase per tutto il periodo della ferma. Finito il servizio minilare, cercò una occupazione che non trovò, per cui dopo poco tempo scelse di tornare in Belgio, ma questa volta la scelta fu definitiva. Lì, trovò per prima un lavoro nell’edilizia dove lavorò per qualche mese e poi venne messo in disoccupazione. Continuando nella ricerca di un lavoro stabile, ebbe il primo contratto trimestrale presso le industrie Cocherill di Seraing. Contratto che venne rinnovato, divenne prima semestrale fino a quando passò a tempo indeterminato. Nel frattempo aveva conosciuto la sua Gigliola, una ragazza di origine veneta, della quale si innamorò e con la quale si sposò nel luglio del 1981, andando ad abitare presso la casa che avevano comprato in Rue Ferdinand Nicolay, dove trascorse il resto della sua vita. Nel 1983, un disastroso terremoto causò molti danni nella zone di Liegi ed anche la casa di Giovanni e Gigliola, riportò grossi danni. Giovanni inizialmente fu preso da scoramento, perché vedeva vanificato parte del lavoro che aveva fatto in quella casa per renderla confortevole e adeguata alle esigenze della sua famiglia, renderla adeguata al suo modo di pensare una casa dove passare tutta la vita. Il terremoto, ora lo lasciava con il mutuo da pagare e con i danni da riparare. Superato il momento di scoramento, anche con l’aiuto del cognato e di qualche altro amico, rimise in sesto la casa e riprese la sua normale vita di lavoratore, in quella industria dove passò buona parte della sua vita. Non dimenticò il suo impegno politico e continuò la propria militanza nel PCI e nell’associazionismo a Liegi e nel PCI a Serradifalco, dove ogni anno in estate tornava per collaborare alla tradizionale festa de L’UNITA’ che si teneva a luglio e dove lui assieme ad un altro compagno: Santo Cavalli, ma anche assieme al cugino Vicenzo Lombardo, per i giorni della festa gestivano con successo il gioco del porcellino, tanto amato dai ragazzini che vi partecipavano in massa. Fu anche tra i primi a sottoscrivere un contributo per l’acquisto della sede del PCI a Serradifalco. L’anno 1984, è l’anno in cui si completa la famiglia di Giovanni. A gennaio nasce la primogenita Rosanna ed a dicembre dello stesso anno nasce il secondo figlio Salvatore. La famiglia così composita, accompagnerà Giovanni fino all’11 agosto 2015, giorno della sua morte a soli 61 anni. Si chiudeva così un ciclo di vita lungo 42 anni, passato in terra di Belgio, escluso il periodo del militare, durante il quale rientrò in Italia. Una vita intensa. Piena di interessi vari, politici, sociali, economi, umani; piena di affetti e di problemi. Una vita comune nella sua eccezionalità, come ce ne sono tante, troppe in emigrazione.

 

Da sinistra Lorenzo Brucculeri Enrico Berlinguer, Giovanni Augello

Giovanni con i nipotini