C’ERA UNA VOLTA LA DC

By Pasquale Hamel (foto sotto) : 25 Novembre 2023 In un tempo in cui il quadro politico appare estremamente instabile e il richiamo del passato si fa forte, tornare a riflettere sull’esperienza democristiana, con le sue luci e le sue ombre, non è dunque una poca produttiva esercitazione mentale.

Ne è consapevole, Elio Sanfilippo, intellettuale con una storica militanza nel Partito comunista italiano, che si cimenta col suo “C’era una volta la DC” Area Navarra editore, nella difficile ricostruzione storica della vicenda democristiana siciliana non trascurando il contesto nazionale nel quale la stessa si inquadra. Una ricostruzione che sgombra, fin dalle prime pagine, il campo dalle facili semplificazioni, quel vizio del “fare di tutto l’erba un fascio”, per cui quella democristiana sarebbe stata la storia del malaffare, della corruzione e della compenetrazione con gli ambienti mafiosi. Una ricostruzione-interpretazione, com’egli evidenzia, peraltro non nuova, considerato che lo stesso PCI – partito nel quale, ripeto, l’autore ha militato assumendo incarichi di responsabilità – anche nei momenti dello scontro più duro, ebbe sempre a riconoscere, scontrandosi con le frange estreme, che dentro il partito cattolico fossero presenti “forze importanti d’’ispirazione popolare che nulla avevano a che fare con la mafia [e che] anzi ne subivano la presenza”. E per dare contezza di quest’assunto, l’autore ripercorre il cammino dell’impegno dei cattolici in politica a partire dalla “Rerum Novarum” per arrivare a don Luigi Sturzo che – oltre a fondare il primo partito d’ispirazione cattolica- proprio della denuncia della mafia e della corruzione fece oggetto del suo impegno politico e sociale. Non è casuale che lo stesso Emanuele Macaluso, storico dirigente Pci, a riconoscesse che “I popolari non colludevano con la mafia; anzi gruppi di giovani cattolici svolsero proprio in questo periodo una polemica serrata contro la simbiosi tra vecchio personale politico e tessuto mafioso.” Un retroterra culturale di tutto rispetto che candidava legittimamente il partito cattolico a guidare, anche in Sicilia, il processo di costruzione democratica nel dopoguerra. E proprio in questo passaggio storico, responsabile il condizionamento ambientale, il percorso lineare diventava accidentato perché, piuttosto che puntare decisamente al rinnovamento economico e sociale dell’isola, il partito democristiano finiva per occupare lo spazio lasciato vuoto dal sistema di potere tradizionale, del quale faceva parte anche la mafia, che aveva governato la Sicilia fino ad allora. Preso atto di questo, si può allora parlare, come si è insinuato, di un’alleanza fra mafia e Democrazia cristiana? L’autore propende per il No, anche se non manca di evidenziare in qualche situazione alcuni degli esponenti democristiani non hanno disdegnato quelli che possiamo definire pochi casti connubi. La realtà vera, che è anche un peccato non certo veniale, è che la DC siciliana abbia per molto tempo sottovalutato l’effetto devastante della presenza mafiosa, che aveva mietuto vittime anche nelle sue fila, perché la sua attenzione era rivolta a quello che considerava il pericolo maggiore per la democrazia italiana, cioè la presenza comunista con i suoi riferimenti e i suoi legami col sistema sovietico. A spingere in questa direzione furono anche le gerarchie cattoliche – la Chiesa ha sempre avuto un ruolo importante nella storia siciliana – che amministravano quel consenso di massa su cui il partito aveva fin dalla sua nascita contato. Ma non furono da meno le sollecitazioni dell’alleato americano impegnato in quella che il giornalista Walter Lippmann aveva definito “guerra fredda” che poi non era altro se non il contrasto all’espansionismo sovietico. Nonostante queste “cadute”, sostiene Sanfilippo, la Dc è stata, anche in Sicilia, soggetto modernizzante che ha anche pensato al miglioramento delle condizioni vita socio-economiche dell’isola occupandosi soprattutto delle fasce più deboli della società. Tanto che non manca di citare, polemizzando con certo estremismo presente anche nel suo partito, democristiani il cui spessore culturale e le cui battaglie contro la malapianta mafiosa e la diffusa corruzione sono rimaste emblematiche. Primo fra tutti Giuseppe D’Angelo, a cui Sanfilippo dedica addirittura un denso capitolo del volume, ma anche Rosario Nicoletti ispiratore con Achille Occhetto del patto che avrebbe portato alla rivoluzionaria presidenza di Piersanti Mattarella e, in modo particolare a Calogero Mannino, l’allora giovane leader a cui, fra l’altro, dà il merito di essere stato il vero mattatore del congresso di Agrigento. In quello storico congresso, scrive Sanfilippo, fu la ferma decisione di Mannino a determinare l’emarginazione di Vito Ciancimino, anello di congiunzione fra mafia e politica. Sanfilippo non dimentica, poi, di dedicare qualche bella e perfino commovente pagina a Michele Reina, il segretario provinciale della Dc palermitana, ucciso dalla mafia. Ed ancora Rino Nicolosi, presidente della Regione siciliana per circa sei anni, che, scrive Sanfilippo, ” seppe nella sua azione di governo coniugare il suo impegno contro la mafia con un progetto di sviluppo della Sicilia e la sua ricostruzione morale e civile.” Un ultimo richiamo è a Leoluca Orlando, intelligente e colto ma anche protagonista di spregiudicate azioni populiste e troppo ansioso di bruciare le tappe. Sullo sfondo, a partire dalla fine degli anni sessanta, ci stanno le scelte coraggiose di alcuni ecclesiastici, a cominciare dal cardinale Pappalardo che negli anni del suo episcopato cambiava radicalmente l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’organizzazione criminale denunciando le connivenze e promuovendo quella che, impropriamente, fu detta pastorale antimafia. Il saggio, a conclusione, si diffonde sugli ultimi anni della Dc, sul paradossale caso dell’incriminazione del presidente Andreotti, l’uomo politico che assunse i provvedimenti più duri di contrasto alla mafia, e sui tormenti crepuscolari di Mino Martinazzoli, ultimo segretario del partito, che portarono nel gennaio del 1994 allo scioglimento, per concludersi con un giudizio particolarmente impegnativo e cioè che la Democrazia cristiana “con i suoi limiti, difetti e anche degenerazioni aveva rappresentato una garanzia per la libertà e la democrazia del Paese, e aveva contribuito alla sua crescita economica e sociale.”