(SA) - RELAZIONE DEL SEGERARIO ALLA 5^ EDIZIONE DELLA GIORNATA DEL SICILIANO NEL MONDO

Per avere conoscenza del tema che intendiamo affrontare con questo convegno, ritengo opportuno fornire alcuni numeri che servono meglio a fare capire di cosa parliamo. Secondo il rapporto Migrantes del 2024, all’01 gennaio 2024 gli iscritti all’AIRE sono passati da 3.106.251 di maggio 2006 a 6.134.100. In poco meno di 17 anni, la popolazione emigrata è raddoppiata.

da sinistra: Dr. Salvio Li Castri (moderatore), Dr. Failla (Assessorato), Dr, Giovanni Ferro (sindaco di Mirabella), Angelo Lauricella (presidente USEF) On. Toni Ricciardi (deptato PD), On. Fabio Porta (Deputato PD) insegnante Cremona (Istituto Compresivo Mirabella)

Mentre la popolazione residente diminuisce investendo tutte le regioni d’Italia, quella che possiamo definire a buon diritto la ventunesima regione è l’unica che raddoppia la popolazione. Il primato dell’emigrazione delle varie regioni, spetta alla Sicilia che si trova al primo posto con una popolazione iscritta all’AIRE di 826.000 unità seguita dalla Lombardia che registra 641.000. Al terzo posto troviamo il Veneto con 563.000 iscritti. In definitiva, in un’Italia dove nessuna regione si salva, dal meridione abbiamo oltre 2,8 milioni di iscritti pari al 45,8%, di cui solo dalle isole 956.000. Il settentrione contribuisce con 2,3 milioni ed il centro Italia con 966.000 iscritti. Quello che fa riflettere invece è la composizione della nostra emigrazione. Due infatti sono gli elementi che saltano all’occhio: la prima che l’emigrazione non è più quella dell’inizio del XIX secolo fatta di contadini, di braccianti, di piccoli artigiani o di operai generici. Oggi emigrano diplomati e laureati ma anche studenti che scelgono le università del Nord e che una volta laureati difficilmente tornano nelle regioni di origine. La seconda che l’età dei nuovi emigrati è sempre più bassa. Difatti, oggi il 21,7% degli iscrit ti all’AIRE è di età compresa tra i 18 ed i 34 anni, mentre il 23,2% è di età compresa tra 35 e 49 anni per un totale del 44,9%. C’è anche una terza componente che è fatta di pensionati che spostano la propria residenza in nazioni dove la tassazione è diversa ed il costo della vita permette ad un nostro pensionato di potere vivere con più tranquillità con la pensione italiana che in Italia non consente di avere lo stesso tenore di vita. Oppure è fatta da pensionati che raggiungo i figli all’estero ricongiungendo la famiglia. Un fenomeno molto complesso, che dovrebbe fare riflettere chi detiene le leve del potere poiché oggi parte dall’Italia il futuro, della nazione nell’indifferenza più totale. Eppure non è stato sempre così. C’è stato un periodo in cui esisteva una forte struttura associativa che si occupava degli emigrati, che contribuì alla costruzione di una imponente rete associativa. Un periodo in cui il ruolo delle associazioni non solo era riconosciuto, ma era anche apprezzato e sostenuto. Le leggi nazionali prevedevano contributi per il sostegno delle federazioni nazionali che si occupavano degli emigrati. Di pari passo si svilupparono una rete di leggi regionali a sostegno delle associazioni regionali, che si adoperavano ad organizzare ed assistere le proprie comunità emigrate. Nacquero e si potenziarono reti di associazioni regionali che avvicinavano le comunità alle proprie origini, che curavano la diffusione ed il potenziamento del legame con le proprie comunità, che avevano sostegno non solo per organizzare attività all’estero, ma anche per fare da collegamento tra la politica del momento con l’emigrazione della singola regione. Ogni regione si dotò di una propria legge regionale e la Sicilia fu una delle prime a farlo nel lontano 1975. In quella occasione con la legge regionale n. 25, si posero le basi ed un impianto legislativo che fece testo anche presso le altre regioni. Non fu certo una legge molto appetibile, tant’è che nel 1980, recepita la necessità di apportare modifiche che rendessero la legge appetibile, si intervenne su di essa apportando le necessarie ed opportune modifiche. La nuova legge entrò in vigore nel giugno del 1980 e determinò fin da subito un cambio di passo nella politica regionale. Si organizzarono conferenze regionali per analizzare il problema e per capire come meglio intervenire sia legislativamente che economicamente. Vi furono anche delle conferenze nazionali che affrontarono il problema da ogni punto di vista, per cercare di garantire parità di trattamento tra lavoratori emigrati e indigeni, si guardò con attenzione al rispetto degli accordi che nel tempo l’Italia aveva fatto con le varie nazioni dell’Europa del Nord in cerca di manodopera. Accordi con la Francia, la Germania, con la Svizzera ed altre nazioni. Chi non ricorda l’accordo con il Belgio che passò sotto il nome di accordo del carbone, quando l’Italia forniva mano d’opera per incamerare materie prime come il carbone, ma anche per incamerare moneta pregiata che aiutava la bilancia dei pagamenti oltre che la ripresa economica che portò al boom economico degli anni 60. Certo i nostri comuni si spopolavano, la nostra gente affrontava difficoltà e discriminazioni di vario genere. Sono passati alla storia cartelli con la scritta “affittasi casa ma non a meridionali” oppure “è vietato l’ingresso ai cani ed agli emigrati” ed altre amenità di questo genere che non solo ricordano altri tempi, ma ci avvicinano anche alla realtà di oggi con quello che succede con gli immigrati che cercano di raggiungere l’Europa e che, se mi si permette una affermazione, hanno fatto e fanno la fortuna elettorale di tanti oppositori che dimenticando che siamo stati e siamo ancora oggi un paese di emigrazione, osteggiano l’arrivo di questi poveracci ed assistiamo al fiorire delle stesse discriminazioni che una volta colpivano i nostri emigrati. Discriminazioni che buttano tra le braccia di indegni speculatori tanti clandestini e non sfruttati e costretti a vivere una vita impossibile vessati da caporali e datori di lavoro senza scrupoli. Tornando a noi, ci fu certo un periodo in cui la politica si occupava della nostra emigrazione, ne studiava le difficoltà, elaborava politiche di intervento. Passi avanti si erano fatti con l’elezione del Consiglio Generale degli Italiani All’Estero (CGIE) con legge 368/1989 e dei Comitati per gli Italiani All’estero (COM.IT.ES.) con legge 286/2003, in sostituzione dei Comitati Consolari di Coordinamento (CO.CO.CO.) Nel periodo 1991 – 2006 i governi ebbero anche un ministro dell’emigrazione rispettivamente Margherita Boniver, Sergio Berlinguer, Mirko Tremaglia. Nel 2006, dopo il primo voto degli emigrati, la figura del ministro degli italiani all’estero scomparve dalle deleghe ministeriali. Una soluzione che potrebbe essere letta come una specie di punizione degli italiani all’estero, considerando che i risultati elettorali non erano come la destra se li aspettava. Parallelamente le regioni nel frattempo avevano dato vita alle loro consulte regionali dell’emigrazione insediandole e cominciando a collegarsi alle loro comunità. Anche la Sicilia alla fine degli anni 70 insediò la consulta regionale dell’emigrazione mentre all’assessorato regionale al lavoro ed alla previdenza sociale, veniva aggiunta la delega all’Emigrazione, come prevedeva la legge 55/80. Iniziò un periodo laborioso che vide tra l’altro l’USEF protagonista nell’applicazione della legge 55 esplorandone le capacità di intervento. Ebbero inizio i soggiorni estivi dei ragazzini e degli adolescenti, cominciò il turismo sociale per gli anziani, le attività culturali all’estero, i convegni i seminari. Cominciarono anche il finanziamento o la ristrutturazione delle prime case degli emigrati e si tentò anche di avviare la creazione di attività produttive che si dovettero subito scontrare con le difficoltà che facevano le banche. Le associazioni, sostenute dal governo regionale come prevedeva la legge 55/80 diventarono operatori culturali che con le loro attività ravvivavano le radici culturali delle nostre comunità all’estero, portavano avanti una politica di aggregazione e di cultura che durò fino a quando qualcuno non pensò di sostituire l’operato delle associazioni con il rapporto personale attraverso contatti scovati all’estero. Col tempo, tutto finì come si suole dire, a coda di topo. Finì il contributo previsto per le elezioni regionali e comunali, perché bisognava fermare il voto degli emigrati. Finirono i mutui agevolati per le prime case e per le attività economiche, finirono i contributi di primo inserimento per chi programmava il ritorno definitivo in Sicilia, affidando la materia ai comuni che già faticavano a chiudere i loro bilanci. Anno dopo anno, sulla legge regionale cadde il silenzio mentre a pezzi si procedeva alla sua sterilizzazione. Invano ad ogni legislatura abbiamo continuato a fare presentare un disegno di legge che ammodernasse la 55, oltre al disegno di legge che istituzionalizzasse l’iniziativa che celebriamo oggi. Il governo Lombardo per prima cosa tolse la delega all’emigrazione, avocò a sé l’art. 26 che consentiva di fare convegni e seminari, sterilizzò il capitolo che consentiva il funzionamento della consulta, tagliò drasticamente i contributi alle associazioni non rinnovò la consulta scaduta nel 1999. Un decreto del 2010 che si occupava di rinnovare la consulta, non arrivò mai a vedere la luce. Nel 2012 per l’ultima volta spuntarono pochi soldi su un solo capitolo della legge che permisero di fare un soggiorno estivo per un gruppo molto ristretto di adolescenti. Dopo di che, tutti i capitoli della legge vennero sterilizzati e la Sicilia non fu più presente nei tavoli dove si parlava della politica dell’emigrazione. Nel frattempo le associazioni regionali si univano in coordinamento nel tentativo di acquisire potere contrattuale., ma tutto ad ora è strato inutile. L’avvento della destra a livello nazionale, non ha facilitato certo il rapporto con le associazioni, contro le quali si avverte un senso di abbandono e un tentativo di sostituzione direttamente dei partiti, un atteggiamento che non favorisce certo l’associazionismo e non conserva il ruolo ed il peso che fino ad ora hanno avuto le associazioni. Si è proceduto a quello che è stato presentato come turismo delle radici, ma il ministero degli affari esteri in partenza ha tagliato fuori le associazioni incentivando la nascita di nuovi soggetti organizzativi per gestire questo nuovo provvedimento. Oggi le cose sono precipitate. Si specula sulla immigrazione e si muove un attacco all’emigrazione intervenendo con il decreto n. 36/2025 sulla cittadinanza tagliando fuori un grande numero di discendenti di italiani. Solo la pressione delle associazioni e di alcuni partiti ha bloccato la retroattività che interveniva anche sulle domande già presentate. Un inspiegabile attacco alle comunità emigrate, mentre i nostri giovani partono per l’estero e gli iscritti all’AIRE, la così detta 21esima regione come ha dimostrato il rapporto degli italiani all’estero 2024.raddoppia la propria consistenza numerica. Ma ciò non basta al legislatore, al decreto legge 36/2025 il ministero fa seguire un disegno di legge che complica ancora l’acquisizione della cittadinanza da parte degli emigrati nati all’estero. E la Sicilia che fa, come interviene in materia di emigrazione? Questa è la domanda che ci rivolgiamo oggi. Sterilizzata la legge 55/80, presentato un disegno di legge che interviene solo sulla consulta e lascia immutata la 55/80 e la 36/84, con la grande confusione che ne seguirebbe per le contraddizioni che non mancano ad evidenziarsi. Dulcis in fundo, il disegno di legge non prevede esborso da parte della regione. Come a dire volevate una legge, eccola, ma la regione se ne lava le mani. Ecco perché, voglio chiudere questa mia relazione con un grido non di allarme, ma di aiuto alle istituzioni che fino ad ora si sono dimostrate insensibili. Considerato che non si vuole procedere ad una normalizzazione della legislazione in materia di emigrazione, RIDATECI LA VECCHIA MA FUNZIONALE 55 IN ATTESA DI UNA REVISIONE DELLA MATERIA IN MANIERA SERIA ED ESAUSTIVA !!!!