La presenza umana a Palermo è attestata sin dall'epoca preistorica come una delle più antiche di tutta la Sicilia, con interessanti graffiti e pitture rupestri, ritrovati nelle grotte dell’Addaura nel 1953 dall’archeologa Jole Bovio Marconi: figure danzanti in un rito magico propiziatorio, forse “sciamani” di un popolo che abitò l’isola. La città di Palermo, sorta in epoca sconosciuta, su insediamenti preistorici in forma diversa dall’attuale, sulla convergenza di due parti naturali, si chiamò Sis, il cui significato è “fiore” nella lingua primigenia d’origine africana come i suoi primi abitanti, i Matabei, popolo proveniente dalla Giordania, passato dalla Spagna all’isola.

 Essi furono tutti Sicani – secondo lo storico greco Erodoto – e chiamarono l’insediamento urbano “Lidobello” per la peculiarità geografica del suo territorio, ponendovi il centro della Sicania, fra il XII ed il X secolo a.C..

Fenici e Greci

Nel 734 a.C. i Fenici, provenienti da Tiro, vi stabilirono una fiorente colonia commerciale in rapporti e contrapposizione ai Siculi, occupanti la parte orientale dell’isola.

 I primi insediamenti e i fondaci furono trasformati in una splendida città alla quale fu dato il nome di Mabbonath, che in fenicio significa “alloggiamenti”, cioè città abitata. Essa divenne ben presto la più importante del cosiddetto triangolo fenicio, comprendente Mozia e Solunto, ricordato anche da Tucidide. In questo periodo il nome della città diviene Ziz che in fenicio significa, il fiore. Della dominazione fenicia rimangono alcune testimonianze, ovvero le mura antiche della città oggi corrispondenti ad alcune vie, e l'assetto del cuore del centro storico, il "Piede Fenicio" costituito dalla via principale, oggi Corso Vittorio Emanuele, e da tutta una serie di vicoli ad essa perpendicolari. Di quest’età, sotto l’aspetto archeologico, la Palermo fenicio-punica ha tracce esclusivamente nelle necropoli, che s’estendono fra Piazza Indipendenza a nord, la “rocca” di Monreale, Corso Pisani e la zona del cosiddetto Papireto, dal nome dell’antico fiume. I fiumi Papireto e Kemonia avevano una funzione difensiva, mentre oggi sono fiumi sotterranei, essendo stati sotterrati al momento della espansione della città. Fra l’VIII e il VI secolo a.C. i Greci condussero la colonizzazione della Sicilia, le diedero il nome di Panormos, tutto porto (a sottolineare la peculiarità geografica di una penisola circondata dalle foci di due fiumi, e quindi facilmente difendibile) da cui è derivato l’attuale e mantennero i commerci con i Cartaginesi, cioè con il popolo discendente dai Fenici, che sulle coste africane avevano fondato un regno. La storia della Sicilia s’identifica in grane misura con quella di Palermo: di conseguenza la parte occidentale punica venne colonizzata più tardi rispetto al primo insediamento greco di Naxos e le due civiltà convissero fino al prevalere della conquista romana, come testimoniano iscrizioni e graffiti nelle vicine Solunto e Selinunte. La città greca assunse l’aspetto di due nuclei: la Paleopolis (la parte antica), stretta tra i fiumi Kemonia e Papireto, e la Neapolis (quella di più recente sviluppo).

 Guerre puniche

La città rimase sotto il controllo fenicio fino alla Prima guerra punica (264-241 a.C.), a seguito della quale la Sicilia venne conquistata dai Romani. In particolare Palermo fu al centro di uno dei principali scontri fra Cartaginesi e Romani, finché nel 254 a.C. la flotta romana assediò la città, costringendola alla resa e rendendo schiava la popolazione che venne costretta al tributo di guerra per riscattare la libertà. Asdrubale tentò di recuperare la città ma venne sconfitto da Metello, il console romano. Un ennesimo tentativo per recuperarla venne fatto da Amilcare nel 247 a.C. che il suo esercito non abbandonarono l'area e si insediarono alle pendici di Monte Pellegrino (all'epoca chiamato Erecta) tentando in più occasioni di riprenderne il comando, ma la città era ormai fedele a Roma dalla quale ottenne i titoli di Pretura, l’Aquila d’oro e il diritto di battere moneta, restando una delle cinque città libere dell’isola, per questo motivo i cartaginesi rimasti dovettero abbandonare definitivamente il territorio palermitano. Il periodo romano è stato di tranquillità e la città faceva parte della provincia di Siracusa, con la successiva divisione dell'Impero la Sicilia, e con essa Palermo, furono attribuite all'Impero Romano d'Oriente.

Periodo imperiale, invasioni barbariche, bizantini

Testimonianza dell’agiatezza e dello splendore della romana “Panormus” sono edifici dell’epoca della zona di Piazza Vittoria fra cui il teatro esistente fino al tempo dei Normanni e mosaici scoperti nel 1868 in Piazza della Vittoria. In epoca imperiale fu colonia romana – come ci narra Strabone – ed era ancora il granaio di Roma, ma risentì della decadenza dopo Vespasiano, subendo le invasioni barbariche dal 445, con Genserico, re dei Vandali che mise a ferro e fuoco la città, fino al dominio di Odoacre, Teodorico e dei Goti. Nel 535 Belisario espugnò con la sua flotta navale Palermo, sottraendola ai Goti; iniziava così il periodo bizantino che si protrasse fino all’830 quando gli Arabi, sbarcati a Marsala quattro anni prima, ne fecero la capitale del loro regno in Sicilia

 Dominazione araba

 Nel IX secolo Musulmani dal Nord Africa invasero la Sicilia, conquistando Palermo nel 831 e l'intera isola nel 965. E furono proprio i governatori musulmani a spostare la capitale della Sicilia a Palermo, città nella quale è rimasta da allora. Nel periodo musulmano Palermo è stata una città importante nei commerci e nella cultura e si dice avesse più di 300 moschee; era conosciuta in tutto il mondo arabo. Fu un periodo di prosperità e tolleranza: i Cristiani e gli Ebrei non erano perseguitati. Gli anni della dominazione araba sancirono la definitiva ascesa della città e la sua superiorità sugli altri centri della Sicilia. Sede di un potente emirato che, grazie alla capacità amministrativa dei Kaglebiti divenne una terra ricca e florida dai costumi tipicamente musulmani con influenze nella lingua e nella toponomastica, nelle colture e nelle costruzioni architettoniche. Le tracce di essa sopravvivono anche nei monumenti che costituiscono il centro della città antica, con i suoi cinque quartieri: il Kasr nella punta della Paleopolis; il quartiere della grande Moschea; la Kalsa (ossia Eletta) sede degli emiri nella riva del mare; la zona degli Schiavoni, attraversata dal fiume Papireto; e infine a ponente il Moascher, il quartiere dei soldati antica sede degli emiri. Il monaco Teodosio che ci ha fornito queste notizie sosteneva anche che circa trecento moschee si ergevano nel territorio palermitano e l’istruzione era affidata a trecento maestri per una popolazione di oltre trecentomila persone. Divisa la Sicilia in tre valli (Val di Mazara, Val Demone, e Val di Noto), il territorio veniva controllato con una specie di signorie affidate ai “Kaid”. Gli Arabi dapprima perseguitarono i Cristiani, ma poi lasciarono libertà di culto facendo loro pagare la "gìzia”, un tributo annuo per mantenere fiorenti i commerci grazie alla pacificazione. La potenza musulmana fu però corrosa dalle lotte intestine all’emirato che aprirono la via della Sicilia allo straniero finché nel 1072, dopo quattro anni d’assedio, il conte Roberto il Guiscardo ed il conte Ruggero d'Altavilla, entrambi normanni, espugnavano la città di Palermo.

I Normanni

Il periodo arabo di massimo splendore continuò con i Normanni (soprattutto con Ruggero II) e con gli Svevi (Federico II, 1194-1250), i quali seppero raccogliere e utilizzare l'eredità culturale araba, greca e romana. Alla morte di Federico II fa seguito un lungo periodo di instabilità culminata con la rivolta antifrancese del Vespro (1282). Palermo si separa da Napoli e offre la corona di Sicilia a Federico III d'Aragona. I Normanni ripristinarono il culto cristiano, dichiarando la città capitale dell'isola e nel 1130 Ruggero II d'Altavilla cingeva la corona di Re di Sicilia. Cominciava così un regno caratterizzato dalla convivenza di varie etnie e diverse fedi religiose, una specie di stato federale con un primo parlamento, creato nel 1129, e l'organizzazione del catasto secondo una moderna concezione. Gli edifici più importanti della città ancora oggi ne dimostrano la civiltà, come la chiesa della Martorana e la Cappella Palatina, e il geografo arabo Edrisi, nel libro dedicato a re Ruggero, ci ha lasciato la testimonianza di questo magnifico periodo di fasti e ricchezza. Ai due Ruggero successero Guglielmo I (detto il Malo) e Guglielmo II (detto il Buono), i quali tentarono d'opporsi alle mire dell'imperatore Federico Barbarossa, deciso ad annientare il Regno dei Normanni in Sicilia.

Gli Svevi

Un matrimonio di stato fra Enrico VI, figlio dell'imperatore tedesco, e Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, nel 1185, tentò un accordo pacifico, ma aprì solo la strada alla conquista Sveva e nel 1194 Palermo veniva conquistata dal sovrano tedesco. Aveva così inizio la nuova dinastia degli Svevi in Sicilia che con Federico II, figlio di Costanza I raggiunse il massimo dello splendore. Palermo e la corte divennero il centro dell'Impero, comprendente le terre della Puglia e dell’Italia meridionale. A Palermo nacque la "Scuola poetica siciliana" con la prima poesia italiana; e politicamente il sovrano chiamato "Stupor mundi" (meraviglia del mondo) anticipò – come scrive Santi Correnti – "la figura del principe rinascimentale", anche con le cosiddette Costituzioni Melfitane (1231). Il suo regno fu tuttavia caratterizzato dalle lotte contro il Papato e i Comuni italiani, nelle quali riportò vittorie o cedette a compromessi, organizzando la quarta crociata e dotando l'isola e il meridione di castelli e fortificazioni. Volle essere sepolto nella cattedrale di Palermo, quando nel 1250 si concluse improvvisamente la sua vita, conseguentemente scatenando le lotte di successione in cui Manfredi, figlio naturale di Federico II, venne sconfitto a Benevento nel 1266 da Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia.

Gli Angioini

Carlo d'Angiò dava inizio alla dominazione angioina che sarebbe durata fino al 1282. Carlo e i suoi funzionari cercarono di sfruttare con tasse e tributi la Sicilia, mentre frattanto la capitale veniva spostata a Napoli. Il malcontento dei Siciliani culminò nella rivolta del Vespro, il 31 marzo 1282, quando dinanzi alla chiesa del Santo Spirito – si dice – esplose la reazione popolare in seguito all'offesa fatta da un certo Drouet ad una donna palermitana. Tale avvenimento fu l’occasione per cacciare gli odiati Angioini, mentre veniva inviato ad assumere la corona del Regno Pietro III d'Aragona. Cominciò una guerra che sarebbe durata novant'anni in tre fasi distinte concluse rispettivamente con la pace di Caltabellotta nel 1302, la pace di Catania nel 1347 ed infine con il Trattato di Avignone 1372.

Gli Aragonesi

Palermo passò da un sovrano all’altro della dinastia aragonese: Giacomo II, Federico III di Aragona e l’isola fu lacerata dalle rivalità fra le famiglie nobili come i Ventimiglia, gli Alagona e i Chiaramonte, i quali si contendevano il potere nelle terre occidentali della Sicilia. Tracce artistiche del periodo aragonese troviamo in Palermo in alcuni palazzi sontuosi come lo Steri e Palazzo Sclafani di stile chiaramontano, mentre i commerci con Genova e con la Spagna fiorirono con lo scambio di materie prime e prodotti artigianali.

La dominazione spagnola

Nel 1494, alla morte di re Martino, la Sicilia venne annessa alla Spagna e Palermo diventava sede dei Viceré, i governatori a cui veniva affidato il potere nell’isola da condividere con i baroni. Furono espulsi gli ebrei, istituito il Sant'Uffizio, e crebbero i privilegi nobiliari. Tuttavia la città vide rilanciare l’attività artistica e la costruzione di sontuosi edifici pubblici come la chiesa di San Giuseppe, la chiesa di Santa Maria dello Spasimo e il nuovo assetto scenografico di Porta Nuova, pur frutto di pesanti tasse. Dopo Ferdinando d’Aragona il governo più tirannico fu quello di Carlo V, della dinastia degli Asburgo di Spagna, e di Filippo II suo figlio, che esercitarono il potere da lontano servendosi dei baroni, i quali si circondavano di bravacci per esercitare la loro prepotenza. La città s’arricchì però, ad uso soprattutto delle classi nobiliari, dell’apertura di via Maqueda, della scenografia dei Quattro Canti, con statue innalzate ai sovrani come quella a Carlo V in Piazza Bologna, di mura robuste e bastioni per la difesa del territorio. Ecco cosa scrisse lo scrittore Albert Jouvin proprio durante il periodo spagnolo:

« Palermo non è convenevolmente paragonabile ad altra città che a Napoli, non soltanto perché è un'importante porto marittimo, sede di Arcivescovado, capitale di un Regno e residenza di un Viceré, ma anche perché deve essere annoverata tra le città più belle e le più grandi, ed è poste in un sito tra i più gradevoli di tutta l'Italia: essa sorge infatti nel bel mezzo di una campagna fertile, estesa per diverse miglia e circondata da colline ridenti sulle quali si trova la maggior parte delle splendide case di villeggiatura, dimore stagionali dei cittadini nobili e loro delizia in quanto godono della veduta del mare e dei più bei giardini d'Italia. In una parola non si può immaginare niente di più amabile, di più incantevole di questo luogo, di più dolce della sua aria; niente di simile alla grandiosità e alla magnificenza dei suoi palazzi, di più delizioso delle sue fontane e dei suoi giardini. Passeggiando per la città l'abbiamo ammirata di continuo notando la lunghezza delle sue strade tracciate in linea retta, che presentano una prospettiva infinita, tanto più godibile in quanto compresa tra due file di case veramente belle,tali da offrire non poco di letto a chi cammina tra esse. Quella del Cassaro è la più importante, sia per la sua lunghezza e per la sua larghezza, sia perché attraversa d'un punto all'altro la città che essa divide in due parti uguali. »

I Borboni

Coinvolta nelle guerre europee tra Francia, Austria e Spagna, nel 1713 col trattato di Utrecht la Sicilia passava a Vittorio Amedeo II di Savoia per breve tempo, finché dal 1734 ritornavano i Borbone con Carlo III che scelse Palermo per la sua incoronazione del Regno delle due Sicilie. Sotto questo monarca la città vide crescere e sviluppare l’edilizia, l’industria, il commercio in modo fiorente. A lui successe il figlio Ferdinando, non molto gradito dai Palermitani, ma nel 1798 gli eventi della Rivoluzione francese costrinsero il sovrano a rifugiarsi a Palermo. Negli anni seguenti dal 1820 al 1848 la Sicilia venne coinvolta nei moti rivoluzionari che videro nel 12 gennaio del 1848 un’insurrezione popolare capeggiata da Giuseppe La Masa che proclamava il primo parlamento e la monarchia costituzionale con comitati presieduti da Ruggero Settimo che fu il capo del nuovo governo provvisorio che durò sedici mesi. Ma i Borboni ripresero il potere bombardando le città siciliane (re Ferdinando IV fu detto perciò “Re Bomba”) che avrebbero mantenuto fino allo sbarco di Garibaldi. Costui nel 1860, con la Spedizione dei Mille preparata dalla rivolta del 4 aprile di Francesco Riso, entrava trionfante a Palermo il 27 maggio, dopo aver assunto la dittatura dell’isola col proclama di Salemi, chiamato a liberare la Sicilia dai Borboni da Rosolino Pilo. Dopo le battaglie vittoriose nell’isola col plebiscito del 1860, la Sicilia sceglieva l’annessione all’Italia una, libera e indipendente, che si sarebbe costituita in regno nel 1861. La Palermo di quegli anni viene esemplificata perfettamente da un testo dello studioso francese René Bazin:

« Ha proprio l'aria di una capitale, di vecchia città sovrana, questa Palermo bianca, circondata da aranci. Davanti a sé ha una delle più belle baglie del mondo, largamente aperta, limitata da due montagne la cui cresta è magnifica al di sopra del mare azzurro. Dietro un semicerchio di verdura cupa, un immenso orto di agrumi dove splende qua e là il biancore di una casa di ricchi, e che presto si restringe, forma una valle e sale come un nastro svolgentesi in mezzo a cime senza alberi. È la Conca d'Oro. Nell'interno, due grandi strade che si tagliano ad angolo retto, la via Maqueda e il corso Vittorio Emanuele, dividono interamente Palermo e tracciano sulla città il segno della croce così come la ordinarono i suoi pii costruttori d un tempo. I monumenti sono ovunque: appartengono a tutte le età, raccontano ciascuno il paesaggio, e l'umore sontuoso, poetico o guerriero, e l'anima così diversa delle razze che si sono succedute nell'isola. Poiché ha molto spesso cambiato padrone, la Sicilia non ne ha amato nessuno, forse ha sempre avuto in fondo al cuore un sogno deluso di libertà. Essi, al contrario, l'hanno abbellita e ornata a piacere: Saraceni, Normanni, Spagnoli. I Normanni soprattutto sono stati dei grandi costruttori; avevano portato con loro il Gotico del Nord; ma lo splendore del Mezzogiorno cambiò presto i loro occhi e divennero come quei pittori di Germania e di Olanda, i quali a forza di percorrere l'Italia perdevano il gusto delle penombre: essi costruirono per la luce con marmi e mosaici in scarlatto e oro, e il Gotico si piegò al nuovo ideale. Produsse dei capolavori che sono tanto lontani da Notre Dame di Parigi quanto i templi dorici. Palermo sola può provarlo. Quando si traversa la città partendo dal mare, si può scorgere un'antica moschea saracena, dalle cupole ancora tinte di rosso; più lontano, nella parte alta del corso Vittorio Emanuele, la strada è limitata a destra da una lunga balaustra che chiude un giardino,alberi di alloro e melograno distanziati secondo il gusto del Mezzogiorno che non ama gli alberi per se stessi, e se ne serve discretamente per far valere l'opera dell'uomo; poi, un po indietro, per un tratto immenso, esposta tutta intera al sole che la colora di giallo, la Cattedrale, l'Assunta, innalza la sua sagoma frastagliata di castello feudale, con le sue cime merlate, le sue torrette e le sue torri. Ignoro quale possa essere stata l'impressione di occhi diversi dai miei; a me è sembrato di vedere trasportata nella luce bionda una facciata di Westminster. A qualche centinaio di metri da li, in mezzo al Palazzo Reale, si apre la Cappella Palatina, il gioiello di Palermo. Ivi è tutta la poesia del Nord e quella del mezzogiorno che si incontrano e si mescolano. Se l'insieme delle sue linee ricorda le origini gotiche, tutto il resto è di un' arte nuova: la fusione meravigliosa della luce del giorno e dei riflessi, che non lascia in piena ombra nessuna parte dell'edificio, il rivestimento dei muri, i mosaici di vetro di un dolcissimo splendore, il finito delle più piccole parti di scultura, di uno spirale nel basso di una colonna, delle penne di uccello in un fregio, particolari inutili o perduti nelle nostre cattedrali del Nord e il cui sorriso leggiero qui non sfugge. » (René Bazin 1894)

Dopo l'unificazione italiana

Da allora la storia di Palermo ha seguito le vicende di quella italiana, con contributo dei Siciliani a tutte le guerre per l’espansione del territorio. Tra Ottocento e Novecento - grazie ad un gruppo di imprenditori illuminati (Florio, Ingham, Withaker) - Palermo vive una stagione di grande crescita economica e culturale (guadagnandosi l'appellativo di "Floriopoli"). Successivamente, lo scoppio della Grande guerra prima e il fascismo dopo relegheranno la città ad un ruolo marginale nello scenario italiano. Durante la II guerra mondiale la città fu vittima di pesanti bombardamenti sin dai primissimi giorni del conflitto, operati dall'aviazione francese e da quella inglese, prevalentemente su obiettivi militari. Con l'intervento degli Stati Uniti, i bombardamenti si fecero disastrosi e indiscriminati, distruggendo interi quartieri, causando molte centinaia di civile vittime ed infliggendo gravissimi danni al patrimonio artistico della città. Dopo la liberazione, la città fu quindi colpita da un intenso bombardamento operato dalla Luftwaffe, che aveva per obiettivo i traffici alleati nel porto di Palermo.

Il dopoguerra 

Dopo l’ultima guerra mondiale, nella quale la liberazione dell’Italia ebbe inizio dell’armistizio di Cassibile,e dopo la lotta indipendentista del MIS, dal 1946, Palermo è sede del Parlamento regionale ed è stata proclamata capitale della Regione a Statuto speciale sede dell’Assemblea a Palazzo dei Normanni. Ripresasi dalle distruzioni del secondo conflitto mondiale, Palermo è oggi - anche in virtù del ruolo di capitale della Regione autonoma della Sicilia - una città a forte prevalenza di attività terziaria e caratterizzata da una vivace vita culturale. Oggi il capoluogo siciliano deve la sua rivitalizzazione economica - oltre alle citate attività del settore terziario - ad una buona ripresa del flusso turistico, favorito dal clima particolarmente mite di cui la città gode e dal ricco patrimonio artistico presente sul territorio. Ciò malgrado, la criminalità organizzata continua ad avere un forte impatto sulla città, che continua ad essere afflitta da seri problemi economici e sociali. Le lotte più significative dell’età contemporanea sono state quelle contro la mafia e il banditismo di Salvatore Giuliano, che ebbe il suo regno nelle zone limitrofe di Montelepre; Palermo ha vissuto il peso del dominio mafioso per decenni, caratterizzati dalla speculazione edilizia, dal cosiddetto “Sacco di Palermo”. Nella lotta alla mafia sono stati colpiti uomini dello Stato, come il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il presidente della Regione Piersanti Mattarella e soprattutto i coraggiosi magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi nelle stragi di Capaci e Via D’Amelio, fino a Don Puglisi, martire nella sua difesa dei deboli nei quartieri più degradati. Oggi Palermo, che s’affaccia su uno dei più bei promontori del Mar Mediterraneo fra Monte Pellegrino e il Capo Zafferano, lungo il pendio della Conca d’Oro, conta 700.000 abitanti ed è una città desiderosa di riscatto e di ritrovare l’antico splendore. Essa è il centro degli affari e dei commerci più importanti non solo dell’isola, ma con l’Africa e gli altri Paesi che s’affacciano sul Mar Mediterraneo, sede di un’Università d’antiche tradizioni, aperta a molti studenti dei paesi islamici con i quali ha mantenuto antichi legami, forti delle sue origini. La sua espansione urbana è stata notevole, favorita nei collegamenti dall’autostrada che la unisce al resto dell’isola, dall’aeroporto di Punta Raisi e dalle linee marittime recentemente incrementate, ma potrebbe tornare ad essere il centro di collegamento fra il Nord Europa e il continente africano se venissero valorizzati da un turismo intelligente i suoi tesori d’arte e di bellezze naturali.