Dalla preistoria ad Amiselon Sino a qualche tempo fa era opinione comune che la presenza dell'uomo nel territorio di Regalbuto coincidesse con l'ingresso nella storia della Sicilia e, cioe', al tempo della colonizzazione greca.


Recentemente, invece, il continuo ritrovamento di reperti fossili ed utensili del paleolitico e del neolitico siciliano in varie aree del territorio regalbutese modificano idee ritenute ormai acquisite, costringendoci a riconsiderare sotto nuova luce alcuni discussi problemi: quali ad esempio quelli relativi alla colonizzazione dei greci e ai loro rispettivi insediamenti nel nostro territorio.

Questi ritrovamenti, rinvenuti sui terrazzi fluviali del medio e basso corso del Salso, purtroppo si sono in parte perduti a causa della costruzione dell'invaso del Pozzillo; tuttavia l'opera di alcuni archeologi ed appassionati ha permesso l'individuazione di numerosi giacimenti con risultati che hanno dato la possibilita' di rilevare alcune caratterizzazioni e connessioni culturali interessanti per tutti gli studiosi di preistoria.

Certamente un piu' ampio panorama di ricerca urge per poter ricostruire con sicurezza l'ambiente nel quale i nostri antenati vivevano.

A questo proposito, senza dubbio, significativi sono per una migliore ispezione delle nostre conoscenze, i ritrovamenti di frustuli ceramici di tipo stentinelliano rinvenuti nella contrada di Tamburino, in localita' .Piano Nero (oggi custoditi nel museo di Adrano) e i ritrovamenti presenti in tutta una serie di grotte nella dorsale di monte Porticella, nella contrada di Piano Arena, ecc.

A queste localita' bisogna associare i ritrovamenti della contrada Zorie sulla via di Centuripe, di monte Lorito, di Stupari Savarino, della contrada Sparagogna e altre. Le zone ci sono note per l'opera devastatrice dei tombaroli, per rinvenimenti casuali, e dalle dichiarazioni di alcuni "collezionisti privati", delle cui asserzioni, sia sulla provenienza dei reperti, sia sulla modalita' del loro ritrovamento, e' pertanto legittimo dubitare. I dati raccolti negli ultimi anni attestano comunque l'esistenza di piccoli insediamenti umani di epoche diverse diffusi per il territorio.

Infatti tracce di frequentazione umana, a carattere sparso; e databili dalla prima eta' dei metalli al periodo tardoromano, si sono riscontrate un po' ovunque nel territorio di Regalbuto.

Checchi ne sia di queste localizzazioni, non possiamo fare a meno di citare l'arca archeologica situata sul monte S. Giorgio che, per la vastita' della sua estensione e per l'importanza dei ritrovamenti, e' sicuramente la piu' interessante fra tutte.

Non e' certo che il sito fosse occupato dai Siculi al momento dell'arrivo dei Greci, benchi non manchino segni e resti indigeni misti ai primi resti greci. Dall'insediamento emergono quindi m caratteri di un centro indigeno piu' o mena ellenizzato (coabitazione?). Sfortunatamente, la vicinanza del luogo all'abitato moderno e la sua estrema accessibilita' hanno permesso una sistematica devastazione della zona che si perpetua da ben due secoli, mentre nessuno studio scientifico e serio e' stato mai effettuato.

I pochi dati a nostra disposizione testimoniano l'esistenza d'un centro abitato a partire dalla meta circa del secolo VI al sec. III a.C. circoscritto all'altipiano da una cinta murata, i cui resti sono stati distrutti in tempi recenti.

Sporadici rinvenimenti del perioda ellenistico e romano si sono avuti anche intorno alle falde del monte e nelle zone vicine ad esso: mentre nella zona antistante, sul declivio di monte S. Calogero, e' ipotizzabile, ma pochi in verita' sono gli indizi, una fase medievale databile nel XI-XIII secolo. Anche se oggi vi e' un consenso generale riguardo all'identificazione di questo grosso centro con l'antica Amiselon resta in ogni caso aperto il problema sull'origine della fondazione e d'una eventuale partecipazione di gente greca ad essa.

Non essendoci, infatti, fanti dirette sulla provenienza dei fondatori, scrivere la storia d'un fenomeno arcaico, basandosi sull'accidentalita' e frammentarieta' delle fonti antiche e contemporanee sarebbe ovviamente presuntuoso.

Ne' ci e' di molto aiuto il sapere con certezza che anni or sono, durante dei lavori di dissodamento del terreno, alcuni contadini hanno trovato e distrutto una lastra in pietra interamente ricoperta di graffiti o segni epigrafici.

Non possiamo quindi, almeno per adesso; servirci della paleografia per scoprire la natura del sito di monte S. Giorgio, ne' di studi archeologici attendibili, per cui dobbiamo attenerci per ricostruire gli eventi, anche in linee molto generali, alla vecchia letteratura storico-archeologica, non dimenticando tuttavia che le cognizioni desunte dalle fonti contemporanee ed arcaiche sono assai poca cosa.

Per quanto ci riguarda, la fonte piu' antica ed autorevole e' quella di Diodoro Siculo: ad essa si riallacciano, citandola, pur nella pluralita' delle loro opinioni, la maggior parte degli storici. Afferma Diodoro che Gerone durante la guerra contro i Mamertini, dopo aver distrutto la citta' di Mile, procedette verso l'interno della Sicilia, dove i Mamertini avevano numerosi presidi, conquistandoli.

Il piu' meridionale fra essi era Amiselon che, posto tra Centuripe ed Agira, rendeva malsicure le comunicazioni tra queste due citta. Gerone la conquisto' (nel 270 circa a.C.), ne distrusse le mura, accolse nel suo esercito i soldati che la presidiavano e divise il suo territorio, donandolo alle citta' di Agira e di Centuripe.

Cluverio, poi, parlando del nostro paese ("splendido tra le prime citta di Sicilia"), sembra accettare la tradizione diodorodea, stabilendo addirittura l'anno di fondazione di Amiselon nel 420 a.C..

Successivamente afferma pero' (Siciliae antiquae ecc., lib. 2, cap. 8, pag. 408), d'accordo col Ventimiglia, che si tratta della citta' di Simeto, o per meglio dire per lui Amiselon e Simeto sono la stessa citta, asserendo che il nome tramandatoci dal testo di Diodoro e' sbagliato, dovendosi leggere, a suo dire, non tis 'Aptlap-kov bensi to' EvptaOov.

In questo parziale cambiamento d'opinione del Cluverio confluiscono chiaramente tradizioni non diodorodee (Plinio, Naturalis Historia, lib. III, Cap. 8, pag. 91, C. Mahoff, Lipsiae 1897), a cui per altro si rifanno, in diversa misura, altri storici: come l'Arezio, il Maurolico, il Fazello e il Ferrario, che parlando di Regalbuto la identificano con Alceo o Alicia (gli studiosi moderni sono dell'avviso che Halicyae sia da identificare con Salemi). Il Riccioli, invece, rifacendosi a Tolomeo asserisce che si tratta dell'antica citta' di Ergenzio o Sergenzio, che l'antico geografo pone tra Agira, Centuripe e Mene. Evidentemente, in base alle considerazioni gia fatte, non si puo' attribuire un valore specifico a queste affermazioni; esse possono tutt'al piu considerarsi come punti approssimativi di riferimento per fissare molto genericamente nel tempo le circostanze in cui poti sorgere l'abitato di monte S. Giorgio. Pertanto necessariamente aperte per carenza di dati sono le nostre conclusioni; ma il quadro che emerge dall'esame degli antichi storiografi e dei moderni studiosi ci si palesa, come s'e' detto, sostanzialmente concorde nell'identificare il sito di S. Giorgio con l'Amiselon di Diodoro Siculo. Se cosi e', sorge spontaneo chiedersi che accadde nell'habitat dell'Amiselon diodorodea dopo la sua spartizione tra Agira e Centuripe? Come si sviluppo' e trasformo' il suo territorio fino alla nascita araba di Rahal-Butahi?

Dagli insediamenti bizantini al Casale di Butahi

Morta l'antica citta', con la sua articolazione sociale complessa, possiamo ipotizzare, nel periodo romano, come gia in precedenza abbiamo avuto modo d'accennare, la nascita di cellule economiche funzionali a struttura aperta. e non gerarchizzata: cioh il territorio e' coperto da una serie di poveri abitati rurali che non potevano evidentemente lasciare grandi tracce.

Questa situazione si perpetuera' fino al periodo bizantino, quando assistiamo addirittura al recupero d'insediamenti in "grotte", probabilmente gia usati in precedenza e poi abbandonati (S. Antonino, Setalu', "Le grotte", Grotta dei ladri, ecc.). Le dimore bizantine erano delle abitazioni scavate principalmente nella roccia, in diversi ordini di piani, per questo definite "grotte" nella toponomastica locale. Queste sedi, raramente isolate, sorgevano qua e la nel nostro territorio, in luoghi di difficile accesso e a gruppi poichi, in questo modo, le piccole comunita' potevano difendersi e organizzare meglio la loro esistenza.

Le attivita economiche' e l'organizzazione sociale si reggevano sulle disposizioni delle comunita' monastiche (basiliani?), che possedevano vasti possedimenti e adibivano ai lavori in regime feudale le masse rurali. Ai grandi feudi erano riservate le terre piu estese e redditizie, mentre i piccoli e medi proprietari erano costretti, per sopravvivere, ad integrare con l'allevamento degli ovini i magri guadagni dei terreni meno produttivi.

E' da osservare come questi abitati rurali, caratterizzati da un vivace spirito religioso e da un'economia agricola di pura sussistenza, vanno a disporsi tra le disponibilita' d'acqua ed i campi, replicando uno schema tipicamente orientale, che implica la diffusione delle colture irrigue gia prima dell'occupazione araba. In seguito all'occupazione musulmana della Sicilia - che non fu facile e priva di sofferenze - parte di queste comunita', anche se fortemente emarginate, riuscirono a sopravvivere; e di certo non possiamo postulare, dato che le nostre informazioni dirette ed indirette sono minime, che tra queste ci fossero gli insediamenti bizantini di Regalbuto. Indubbiamente la dominazione araba ebbe un'influenza profonda e duratura nel nostro territorio, come la toponomastica regalbutese ci dimostra; ma tale influenza non fu soltanto il ri sultato dei due secoli e mezzo di permanenza degli Arabi in Sicilia ma anche dell'arabizzazione che continuo' in era normanna in forme e modi che si ripetono in molte zone del territorio siciliano. Per di piu la natura e la durata stessa della conquista saracena provocarono inevitabili conseguenze nell'habitat dell'isola, cambiandone profondamente il paesaggio.

L'effetto combinato delle confische dei grandi patrimoni pubblici e privati, dell'abbandono delle terre, della loro ridistribuzione ai vincitori musulmani, muto' inevitabilmente i rapporti di proprieta' e la situazione fiscale e favori la nascita di centri rurali minori, tra cui anche il "casale fortificato" (Rahl-Butahi) di Regalbuto. Esso sorgeva, secondo la tradizione e gli antichi storiografi, sul declivio della contrada "Monte"; sulla cima del colle fu costruita la "Rocca", sulle cui rovine venne eretta la chiesa di S. Calogero, oggi un rudere, che da il nome al monte.

Dato per scontato il toponimo d'origine arabo rahl "luogo di sosta, casale", del resto molto diffuso nella Sicilia medievale e che denota l'origine saracena della nuova fondazione, restano da rilevare le particolari condizioni geotopografiche dell'ambiente fisico in cui si formo' l'insediamento di ?a?a?_??ta. Il Casale, situato nel Val Demone (una delle tre antiche valli in cui fu divisa amministrativamente la Sicilia dagli Arabi), era un centro rurale che doveva contare un numero sparuto di fuochi.

E' da notare come dell'abitato formatosi intorno al colle e sormontato dalla torre di vedetta contro i potenziali nemici, non siano rimaste costruzioni. E' quindi probabile che sulla spianata, posta in cima all'altura, siano stati eretti baraccamenti o comunque edifici fatiscenti. Ricordiamo inoltre che il sito, verosimilmente recintato con muri a secco fatti con ciottoli, era un avamposto fortificato posto a difesa d'un incrocio stradale, punto di passaggio obbligato d'una delle vie del grano della Sicilia antica, l'attuale statale 121, ed era anche stazione di cambio di mezzo vettore. Sorge spontaneo domandarsi a questo punto se esistesse ancora un'etnia indigena all'interno o accanto a quella araba, in seguito alla venuta dei Saraceni nella nostra zona e quale rapporto tra stabilita e mutamento si sia avuto non solo nella toponomastica ma anche nell'habitat regalbutese. Infatti il rinnovamento toponomastico d'un centro abitato non significa, di per si, una frattura della continuita' d'un insediamento abitativo; per essere sicuri di cio' dovremmo disporre d'una minuziosa analisi toponomastica e archeologica, ma studi del genere ancora non esistono. In linea di massima si puo' dire solamente che abbiamo avuto degli spostamenti del sito abitato, all'interno del territorio, in funzione delle condizioni economiche e di sicurezza del luogo.

Ora, pur concedendo l'antica preesistenza indigena, rimane intatta la circostanza che durante la campagna normanna per la conquista della Sicilia il paese di Regalbuto e', senz'ombra di dubbio, saracino come attesta la donazione del 1087 da parte di Ruggero alla chiesa di Messina del casale di Butahi. Questo documento oltre ad assicurarci l'origine araba di Regalbuto, sulla quale tutti gli storici concordano, fa emergere altre interessanti considerazioni di carattere sociale. E' evidente che il casale di Butahi fosse amministrato secondo le "antiquas divisiones Saracenorum" (ma lo stesso diploma recita che se in avvenire in esso o nelle sue pertinenze fossero state erette delle chiese, esse sarebbero state sottoposte al solo arcivescovo di Messina. Da cio' sembra emergere che l'arcivescovo avesse la facolta' d'impiantare delle chiese nel casale di Regalbuto anche se il centro era, etnicamente, arabo-musulmano. Questa ipotesi e' confortata da un testo, anche se poco chiaro, citato dal Collura e da numerosi altri diplomi da cui si evince che la costruzione delle chiese nei casali fosse dovuta al feudatario;

per di piu' da questi stessi documenti risulta che spesse volte le chiese venivano erette in centri del tutto abitati da saracini. Lo scopo di quest'attivita' di erezione di chiese, che si trovavano ad officiare in partibus infidelium, sembra essere non tanto il proselitismo religioso, quanto piuttosto la rappresentazione tangibile del potere e del prestigio dei vincitori. Cio' ovviamente finiva per avere effetto nel tempo, favorendo le conversioni al cristianesimo degli Arabi, ed una migliore disposizione verso gli immigrati cristiani che arrivavano nei loro borghi.

Gli Arabi convertiti, infatti, non abbandonavano solamente una religione per un'altra, ma s'inserivano in un contesto culturale nel quale il modello dotato di maggior prestigio era, sempre piu, quello occidentale.

Questo fenomeno, assieme ad altri che esulano dalla nostra trattazione, accelero' la cristianizzazione dei casali arabi siciliani tra cui, come numerosi indizi sembrano indicare, anche quello di Regalbuto.(continua/1)