Nei tempi antichi il sale era il prodotto che maggiormente si esportava o si barattava e che quindi costituiva una ricchezza per chi ne poteva disporre. Sale deriva

da un termine greco antico che al singolare significa anche “mare”, come a ricordare l’origine di questa preziosa sostanza. Ovviamente ci si riferisce al sale di uso comune, il cloruro di sodio, o NaCl. Si calcola che la quantità di sale contenuta nel mare sia circa ventuno milioni di chilometri cubi e cioè circa un terzo del volume della terraferma, valutata sessanta milioni di chilometri cubi. Il contenuto del sale nell’acqua del mare è variabile secondo le regioni e secondo l’apporto d’acqua dolce che vi si scarica dai fiumi. Esso diminuisce ai poli ed aumenta verso l’equatore. La composizione e la densità delle acque marine sono perciò diverse per i diversi mari e variano da zona a zona dello stesso mare. Tali variazioni dipendono soprattutto dalla costituzione geologica dei terreni, dalla natura delle acque sotterranee ed esterne e dal regime di evaporazione e precipitazione di zona. In realtà, oltre a quello delle saline marittime, esistono altri sistemi di produzione del sale comune. Infatti il sale può avere diverse provenienze. Estratto da miniere si chiama salgemma. Ricavato per evaporazione dalle acque del mare si chiama sale marino. Ottenuto dall’ebollizione di soluzione liquida si chiama sale da ebollizione. Impiegato direttamente in soluzione liquida si chiama salamoia. Oltre al cloruro di sodio, nell’acqua marina sono contenuti diversi altri sali. Se si lascia evaporare dell’acqua marina prima di arrivare alla sedimentazione del cloruro di sodio, si depositano diverse altre sostanze. Si ha prima la precipitazione dei carbonati, quando il volume iniziale del liquido si riduce del 50%_. Si ha successivamente quella dei solfati (come il gesso), quando il volume iniziale si riduce dell’80, poi precipitano i cloruri (come il cloruro di sodio) quando il volume iniziale è ridotto del 90%.(fonte libertàsicilia)