Tra i miei impegni prioritari in questa legislatura va annoverato quello riguardante le agevolazioni fiscali a favore dei lavoratori rimpatriati. I nostri giovani che sono emigrati negli ultimi anni all’estero alla ricerca di lavoro devono essere considerati un grande patrimonio umano,

culturale ed economico da non disperdere ma da valorizzare. Ecco perché ho sollecitato e accolto con favore tutte le misure legislative che hanno introdotto una serie di sconti fiscali sui redditi di coloro i quali rientrano in Italia a lavorare. Visto che sono molti in questo contesto determinato dalla emergenza coronavirus gli espatriati che rientrano, ritengo opportuno ricordare che, in seguito alla recente entrata in vigore delle nuove norme agevolative, l’Agenzia delle Entrate, con due risposte ad altrettanti interpelli ha chiarito che per poter accedere agli incentivi previsti (detassazione fino al 90% del reddito imponibile) per lavoratori, docenti e ricercatori, non è più necessaria l’iscrizione all’AIRE ma è sufficiente avere avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi. Quindi le nuove norme recentemente introdotte stabiliscono che per comprovare il requisito della residenza all’estero prima del rientro sono sufficienti i criteri dettati dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia dal periodo di imposta 2020 (ma secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate anche per il periodo di imposta 2019). L’Agenzia ha risposto al quesito di un interpellante che era andato a lavorare nel Regno Unito nel 2016 ma non si era iscritto all’Aire, mantenendo quindi teoricamente la sua residenza fiscale in Italia e perdendo così il diritto alle agevolazioni previste per il rientro. Ebbene l’Agenzia ha sostenuto che (interpretando le nuove recenti norme) qualora il lavoratore, nonostante la mancata iscrizione all’Aire per due periodi di imposta (come richiesto dalla legge) precedenti il trasferimento nel territorio dello Stato italiano, sia comunque in grado di provare la sua residenza estera ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4 (che disciplina il domicilio fiscale di un lavoratore a prescindere dall’iscrizione all’Aire) della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni (ratificata con la legge n. 329/1990) e sempreché risultino soddisfatti gli altri requisiti richiesti dalla norma, nulla osta alla fruizione del beneficio fiscale previsto. Credo però che sia giusto osservare che l’iscrizione all’AIRE è comunque un adempimento obbligatorio da eseguirsi entro 90 giorni dall’espatrio se si intende trasferire la propria residenza all’estero per un periodo superiore ai 12 mesi, e che oltre ad avere tutta una serie di vantaggi politici ed amministrativi, l’iscrizione è utile anche i fini fiscali in quanto consente, in genere, di non essere considerati fiscalmente residenti in Italia. Quindi l’estensione delle agevolazioni fiscali ai rimpatriati non iscritti all’Aire da parte del legislatore va interpretata non come un incentivo a violare la legge ma come una forma di “sanatoria” (giuridicamente avallata dalle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali) per coloro i quali per tutta una serie di motivi hanno “dimenticato” l’iscrizione.