Divagazioni storico-letterarie sulla coltura dell’olivo in Sicilia Di Maria Caciopp (foto a sinistra) L’avventura millenaria dell’olivo, considerato simbolo di pace e fecondità inizia con la Bibbia, in particolare col racconto del diluvio universale “…e la colomba tornò da lui (Noè)

sul far della sera, ed ecco aveva una fronda novella d’olivo nel becco”. Il crisma, l'olio che fa brillare il volto, appartiene alla cultura ebraica: con esso si ungevano i sacerdoti, i profeti e i re (ricordiamo il re Davide). Il popolo di Gerusalemme accolse Gesù Cristo agitando ramoscelli di ulivo. Prima di morire questi pregò nell'Orto degli Ulivi e ancora oggi in quella città c'è il Monte degli Ulivi. L'olio viene usato in parecchi riti religiosi, specie cristiani (battesimo, cresima, estrema unzione). Non vi è rito sacro di antica tradizione pervenuto sino al nostro tempo, che non preveda l'uso dell'olio o la presenza d'ulivo. L'albero dell'ulivo è citato nei testi di Omero, rappresentato nei graffiti e affreschi delle tombe in Egitto, nominato nei testi arabi. Nel mondo greco l’olivo, dono della dea Minerva, simboleggiava la pace. I vincitori dei Giochi Olimpici venivano incoronati con ramoscelli di olivo selvatico e gli ambasciatori ne recavano in capo una corona.I romani solevano intrecciare insieme con l’alloro corone da offrire ai cittadini meritevoli.La pianta dell’olivo, il mitico “ulivo saraceno” ha ispirato i nostri maggiori letterati siciliani, da Pirandello, autore della celeberrima commedia La Giara, a Quasimodo, il quale in pochi versi riesce a rievocare suoni e tradizioni della spremitura “ S’udiva la mola del frantoio/ e il tonfo dell’uliva nella vasca”. Ancora nell’ Almanacco del popolo siciliano di Francesco Lanza leggiamo sotto il mese di Dicembre come “ la raccolta delle ulive è l’ultima gioia della campagna. Chi bacchia si scalda le mani e le raccoglitrici intanto cantano, o ascoltano dai vecchi storie d’amore, di santi, di cavalleria. Fervono allegri motti e risate, l’uomo accarezza con lo sguardo la donna, e qualcuno mette al fuoco le ulive più grosse e più nere e abbrustolisce fette di pane”. La cristianità fin dalle sue origini è ricca di riferimenti all'olivo e all'olio. Proveniente dalla Siria, l’olivo si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo, area geografica ideale per la sua crescita ottimale, divenendo simbolo di abbondanza, di gloria e di pace. In tutta la Grecia e le isole circostanti, si hanno riscontri di questa pianta intorno al 1500 a.C. della sua diffusione sono investite anche le colonie greche. Così, a partire dal VIII secolo a.C., l’olivo viene piantato anche nell’Italia meridionale ed in Africa settentrionale; sono i Fenici ad essere particolarmente attivi nella coltivazione e trasformazione dell’olivo selvatico, ne hanno diffuso il commercio e lo chiamavano l’oro liquido. Secondo la mitologia greca è la dea Atena a piantare il primo olivo, ed il cantore Omero, nei suoi poemi illustra gli svariati usi che dell’olio d’oliva si fanno nel mondo ellenico. I miti raccontano che gli ulivi crescono con il tronco doppio in quanto ciò costituisce un premio divino alla devozione di due umili sposi che lodarono l'albero quando un dio scese dall'Olimpo e li interrogò sulle loro condizioni di vita. Essi dissero: "Con l'ulivo abbiamo quanto ci serve: l'ombra per l'estate, la legna per l'inverno, i frutti per nutrirci, l'olio per condire i cibi e per fare luce". Sempre in tema mitologico si racconta che Cecrope fu il fondatore di Atene e il primo re dell'Attica. Fu sotto il suo regno che si svolse la mitica contesa tra Athena e Poseidone per il predominio sulla città. I due stabilirono che essa sarebbe toccata a chi di loro avesse fatto il dono più utile agli Ateniesi. Poseidone (dio del mare) battè il suolo con il tridente e ne balzò fuori una polla d'acqua marina, in tal modo offrì agli Ateniesi il dominio sul mare. Athena invece colpì con la lancia la roccia e ne nacque un albero d'ulivo. Poiché fu riconosciuto pubblicamente che questo era di maggiore utilità il predominio fu affidato alla dea. L'ulivo in Sicilia divenne, assieme al fico, l'immagine stessa dell'Isola. Ad esso i Greci di Sicilia tributavano grande importanza tanto che sradicare anche un solo albero comportava la pena dell'esilio! Monete coniate a Messina nel 490 a.C. ed a Crotone, in Calabria, nel 400 a.C., con raffigurazioni di foglie e rami d’olivo, testimoniano l’esistenza in quel tempo dell’albero in Italia. Vasi rinvenuti nel sud Italia con scene di raccolta, produzione e vendita delle olive sono una chiara dimostrazione della diffusione dell’olivicoltura e del commercio oleario in Italia in tutta la Magna Grecia. È comunque a partire dal XVI secolo che l’olivicoltura in Sicilia, come in tutta l’area del mediterraneo, un notevole sviluppo; l’importanza dell’olivo e dell’olio che se ne ottiene dalla spremitura dei suoi frutti, detti “drupe”, diventa enorme nella storia economica e nella cultura mediterranea. La tradizione vuole che l'ateniese Aristeo, insegnò agli antichi siciliani come strarre l'olio, inventando "u trappitu" (tradizionale oleificio a pressione), e per questo fu onorato con un tempio in suo onore a Siracusa. Ma, fu con la dominazione araba che la coltivazione dell'ulivo si diffuse maggiormente in Sicilia. Tutt'oggi vengono adoperati nel dialetto locale alcuni termini di derivazione araba: Giarra, tipico recipiente d'argilla specifico per tenervi l'olio; Burnia, vaso di argilla cotta per riporvi le olive; Coffa, corda intrecciata atta a contenere la pasta, da porre sotto il torchio; Tumminu, misura di capacità per le olive. In epoca successiva, i monaci Benedettini e Cistercensi divulgarono tecniche agronomiche e di coltivazione razionali e favorirono la diffusione dei frantoi. Dopo un periodo di crisi dovuto alla caduta dell’impero romano, la coltivazione dell’olio conobbe una ripresa in età normanna per poi decadere in età spagnola e risollevarsi in epoca borbonica con l’incremento e la specializzazione della produzione di olio d’oliva e l’estensione della superficie investita ad oliveto, a tal punto da costituire parte integrante della vita dei siciliani. È il momento in cui si comincia a fare una certa distinzione tra gli oli di oliva: i migliori per l’alimentazione, altri per lavare la lana e per lubrificare le macchine , altri ancora per l’illuminazione, da qui la dizioni olii lampanti e ògliu pi llumi , l’olio usato per alimentare le lucerne. Per quel che riguarda l’uso dell’olio di oliva in medicina, sempre valido è il teorema di Paracelso secondo il quale il miglior medico per gli uomini è la natura. Nella medicina antica e fino all’immediato secondo dopo guerra, l’olio di oliva era impiegato come lassativo ed anti-ulcera, l’olio caldo sulla fronte, invece, se accompagnato da un segno di croce, si riteneva efficace contro il mal di testa e l’emicrania; nella medicina popolare siciliana venivano usate diverse varietà di olio; ricordiamo l’ògliu di ggiurana, olio di oliva nel quale venivano fritte le rane che mescolato col miele veniva usato per curare la scabbia; ògliu di nivi, olio in cui si scioglieva la neve usato per medicare le ferite; ògliu di carta rimedio contro le malattie infiammatorie cutanee come l’impetiggine; ògliu di linusa, olio di linosa usato per le artromialgie. Chiuderei ricordando alcuni modi di dire quasi relitti antropologici di una civiltà contadina ormai al tramonto: appizzarici l’ògliu e l’opira, sprecare tempo e fatica senza profitto; aviri guai di cani e attacchi d’ògliu, trovarsi in mezzo a guai seri; friirisi cu so propriu ògliu, essere autosufficienti; ‘ù jornu attornu attornu e ‘a sira sciaga l’ògliu, detto di chi per poca voglia non compie il proprio lavoro a tempo debito e lo rinvia a tempi meno adatti all’esecuzione; Di jornu unni vogghiu e a sira spardu l’ogghiu letteralmente Di giorno non ne voglio sapere e la sera spreco l’olio della lampada, si riferisce al non fare le cose quando si deve ; e ancora acqua d’agustu ògliu, meli e mustu, la pioggia che cade nel mese di agosto fa incrementare la produzione di olio, miele e mosto.