(SA) - Nella sua immersione nelle usanze antiche e nei mezzi e strumenti che caratterizzavano quei tempi, Vito oggi ci presenta due primitivi strumenti di illuminazione che andavano di moda nei periodi precedenti alla seconda guerra mondiale.

Si tratta di due corpi illuminanti, che appena riuscivano a rompere il buio degli ambienti producendo spesso e volentieri aloni d’ombra che sembravano fantasmi che popolavano la notte. Stiamo parlando dell’acetilene utilizzata a casa, nella pubblica illuminazione, nelle miniere, sui luoghi di lavoro a seconda del tipo di lavoro. L’altro corpo illuminante, se così si può chiamare, che ci presenta oggi il nostro collaboratore, è LU SPICCHIU o LU PICCHIU a seconda della località siciliana. Il nome ha un suo motivo d’essere, poiché parliamo di un attrezzo generalmente in terracotta, con o senza il piede, ma sostanzialmente composto da una cavità con una parte ristretta in modo da presentare una piccolo incavo dove appoggiare “lu miccu” un rotolino di cotone imbevuto nell’olio della cavità più grande, che permetteva di accendere una piccola fiamma che a malapena riusciva a fendere il buio delle immediate vicinanze del lumino stesso. Ma vediamo come ce li ricorda Vito questi due attrezzi che si accompagnano anche al lume a petrolio (SA)

L’ACITALENA

Ricordo che fino agli anni ’50 circa la nostra Marinella di Selinunte era sprovvista di corrente elettrica; l’illuminazione delle strade era garantita da pochissimi fanali ad acetilene. Si trattava di un contenitore contenente carburo di calcio. Un secondo contenitore, più piccolo, posto sopra, lasciava gocciolare l’acqua contenuta sul carburo. Per reazione chimica si sviluppava “acetilene”, un gas che acceso produceva una fiamma luminosa. Ogni sera c’era una persona incaricata dal Comune a controllare il combustibile e ad accendere questi fanali.

LU SPICCHIU

Parallelamente al lume a petrolio esisteva “lu spicchiu”, una lucerna ad olio, di origine antichissima, che con la sua luce fioca riusciva appena a riconoscere l’ambiente dove si accendeva. La lucerna era composta da un piccolo contenitore con piede d’appoggio di varia forma, generalmente di terracotta, contenente olio e un “mecciu” che poteva farsi benissimo con un po’ di bambagia attorcigliata. Per una buona illuminazione esisteva anche una lucerna multipla, detta “trappitara”, perché usata per illuminare “lu trappitu” (frantoio), tanto l’olio si trovava molto facilmente; essa aveva una forma piramidale con circa 30 lucerne ad olio disposti su tre ordini. Ho il piacere, ora, di aggiungere un po’ di storia sull’illuminazione di Castelvetrano: L’illuminazione stradale agli inizi del 1800 era costituita da mensole di gesso sulle quali si sistemavano delle

lucerne ad olio. Ma spesso l’olio veniva sostituito da puzzolente sego e le lucerne venivano appese su steccati di legno. Inoltre l’illuminazione al completo avveniva soltanto in occasione delle festività principali e dell’arrivo di autorità. In questi ultimi casi la popolazione doveva contribuire alla luminaria accendendo candele o altro sui balconi e sulle finestre. Generalmente le strade erano al buio completo, perché le poche lucerne accese si spegnevano presto col vento. Per merito dell’interessamento dell’allora sindaco di Castelvetrano cav. Antonino Saporito nel 1908 si deve l’arrivo dell’energia elettrica a Castelvetrano; ma ancora nel 1911 l’illuminazione del paese era garantito da 355 fanali a petrolio, mentre nel 1915 avverrà l’illuminazione della città a corrente elettrica. Su “La Vita Nuova” n.12 del 31/8/1913 risulta che a Selinunte esisteva soltanto un solo fanale e niente a Torretta Granitola, che allora faceva parte del territorio di Castelvetrano, per quanto. Il Comune di Castelvetrano per provvedere all’illuminazione della città e fornire di corrente elettrica la città costituì una Azienda Elettrica Municipale funzionante a carbone fossile che allora arrivava per mezzo delle ferrovie. Ma, podestà di allora Riccardo Tondi, con delibera n. 473 del 1/8/1929 <>.