Vito Marino continua a presentarci un aspetto della Sicilia che in passato ha avuto grande importanza nella vita dei siciliani e negli usi della civiltà contadina.

Si tratta di usanze che riconducono al modo di conservare i prodotti agricoli per poterli utilizzare durante l’inverno. Quali potevano essere questi prodotti, che durante in processo di conservazione e trasformazione era facile incontrare esposti al sole per le strade del paese o nelle aie delle case di campagna? Stiamo parlando intanto del pomodoro, alimento importante che i contadini e non solo loro, cercavano di conservare il più a lungo possibile, trasformandolo in CHIAPPI DI PUMADORO o in SARSA SICCA un tempo chiamato “astrattu” e che oggi troviamo nei supermercati sotto forma di concentrato di pomodoro. Il metodo per conservare invece il pomodoro (prunaru) in quanto tale, era la “pinnula” che permetteva di conservare a lungo il prodotto per averlo disponibile per le minestre o per il brobo. Di questi tre tipi di conservazione e trasformazione, oggi ci parla il nostro collaboratore, facendoci fare in salto indietro nella civiltà contadina che un tempo imperava sulla nostra Isola. (Salvatore Augello)

CHIAPPI DI PUMARORU

Per ottenere li chiappi di pumaroru o di pumaramuri (pomodori essiccati), i pomodori si tagliavano in due trasversalmente e si esponevano al sole con l’aggiunta di un pizzico di sale. Quando erano ben asciutti, si “acchiappavanu” ( si accoppiavano) ben stretti e si mettevano a bagno d'olio dentro una “burnia” (contenitore per alimenti. Essi erano molto usati come "cumpanaggiu" (companatico) per l'inverno e per condire diverse pietanze.

SARSA SICCA

Per ottenere la sarsa sicca (il concentrato di pomodoro) si procedeva in questo modo: il pomodoro si schiacciava e pressava con le mani dentro “la sarsera” (setaccio d’alluminio o di lamiera zincata); il succo così ottenuto si poneva al sole a strato sottile su dei larghi ripiani di legno "li maiddi" e, per farlo asciugare più presto, si rimuoveva spesso con un cucchiaio di legno. Il pomodoro doveva essere maturo, “siccagnu”, cioè coltivato su terreno non innaffiato e “sanizzu” (non doveva essere guasto), viceversa, la conserva ottenuta, s’inacidiva. Il concentrato si conservava ben pressato a forma di semisfera e cosparso d’olio, su di un piatto largo, oppure si metteva in speciali contenitori di terracotta smaltata "li burnii", con un filo d'olio sopra. D’inverno era ottimo per fare un buon ragù con carne di maiale. In pratica, per queste conserve, si sfruttava il sole come fonte energetica a costo zero. Ma quanto caldo e fatica! In tempi relativamente più recenti il succo di pomidoro, ottenuto sempre con spremitura a mano, si poneva nelle bottiglie e si pastorizzava con la bollitura; alcuni aggiungevano acido acetilsalicilico, come conservante. Oggi molte famiglie continuano a preparare il succo di pomidoro in bottiglia, conservandolo nel surgelatore oppure con la pastorizzazione, cioè con la bollitura.

PENNULI

Una volta, oltre alla caratteristica treccia d’aglio, si trovavano appese alle travi del tetto li pennuli (i pendoli) cioè dei grossi grappoli confezionati con “bummulidda siccagni” (piccoli pomodori “pizzutello” coltivati senza irrigazione); essi servivano per condire i cibi durante l’inverno. Allora non esistevano i pomidori pelati in scatola, per cui “li pennuli” si trovavano appesi in tutte le case, specialmente in quelle dei nobili; poteva cambiare solo la loro ubicazione, che poteva essere in cucina, nel ripostiglio, sotto qualche tettoia, in un magazzino o nell’unica stanza tuttofare dei poveri. VITO MARINO