ARBITRIU

Castelvetrano, zona ricchissima di grano aveva nel suo territorio numerosi mulini, tra cui 14 mulini ad acqua soltanto lungo sul fiume Modione e numerosi pastifici.

Per risparmiare, ma anche per tradizione, molte massaie preparavano in casa, oltre al pane, anche la pasta, tutti elementi base indispensabili all’alimentazione. “L’arbitriu o ingegnu” era una sorta di torchio a vite inventato e sperimentato in Sicilia. Consisteva di un pistone che era spinto mediante delle leve manuali all'interno di un cilindro verticale, in ottone, chiuso alla base da dischi di rame intercambiabili. L'impasto già preparato dalle donne veniva posto all'interno del cilindro e, a secondo dei dischi predisposti, uscivano dai fori spaghetto, bucato, maccheroni etc. Il taglio della pasta, infine, si eseguiva con appositi coltelli a lama lunga e la sua essiccazione si effettuava all'aria aperta. Gli spaghetti si stendevano su delle canne sostenute da forche; la pasta di tipo corto, si disponeva ad asciugare su "cannistri" ricoperti di tovaglie di tela. Purtroppo a quei tempi anche il possesso di questo marchingegno rappresentava un lusso, pertanto, le massaie preparavano la pasta manualmente impastando sullo “scannaturi” (spianatoio), quindi la spianavano con il “lasagnaturi”, detto impropriamente “sagnaturi” e tagliavano la sfoglia di pasta ottenuta con un coltellaccio, ottenendo “li tagghiarini” (fettuccine). “Li maccarruna” (i maccheroni) si preparavano senza bisogno di spianare la pasta.

ANIMMULA

Durante la civiltà contadina oltre agli alimenti, si preparavano in casa anche i tessuti necessari per i fabbisogni della famiglia. La materia prima, come lana o cotone e raramente la canapa, si trovava facilmente nelle campagne proprie o nel mercato locale. Le nostre nonne preparavano il filo, tramite il fuso, ma in molte famiglie negli ultimi anni era entrato l’uso dell’“animmula” (l’arcolaio), che era un procedimento di filatura molto più veloce. Il filo poi passava alle ragazze per tessere i tessuti al telaio. L’arcolaio era un marchingegno composto da un fuso, posto in posizione orizzontale, terminante con un gancio,che, girando velocemente avvolgeva la “stuppa” (la fibra grezza) che si cedeva con “mastria” (bravura) con l’indice e il pollice della mano sinistra. Siccome l’animmula gira velocemente, per paragone un proverbio diceva:. “Firria comu ‘n animmula” = gira molto veloce. L’animmula girava perché collegato, ad una ruota , fatta girare tramite un pedale, mediante una corda inserita nella scanalatura, che fungeva da cavo di trasmissione. La pratica della filatura era in gran parte affidata alla sveltezza con la quale i polpastrelli del pollice e dell’indice della mano sinistra, cedevano parte della matassa di fibra trattenuta sotto l’ascella destra. Per assicurare uniformità e omogeneità di spessore al filo, di tanto in tanto, si inumidiva con la saliva per farlo scorrere meglio. Lo strumento era costruito in legno dal falegname locale. Anche il cordaio usava uno strumento simile, ma molto più grande, utilizzando come materia prima zabbarinu (fibra di agave “zabbara”). o fibra di canapa, anch’essi prodotti nelle nostre campagne. (VITO MARINO)