Di Maria Cacioppo -  Per gli amanti delle antiche tradizioni rurali, appassionati, curiosi e buongustai, domenica 7 luglio 2019 ritorna la Festa della mietitura sulle colline di Gioiosa Marea (ME). Una iniziativa dedicata all’alimento principe della nostra alimentazione, il grano, e alla cultura che intorno ad esso si è sviluppata nei secoli.

I costumi e i forti valori di un tempo, legati al lavoro, alla famiglia e alla religiosità. L’iniziativa, promossa dall’associazione La Spiga, ci porterà a rivivere per il decimo anno consecutivo i momenti di vita agreste legati alla mietitura del grano, con la partecipazione attiva alla raccolta delle spighe, laboratori, degustazioni di prodotti tipici locali, il mercatino dei prodotti tipici e dell’artigianato tradizionale, musica e flolklore con il gruppo folk Il Meliuso di Gioiosa Marea. Nella contrada Landro di Gioiosa Marea si rivivrà quello che era un vero e proprio rito: la mietitura del grano fatta a mano, accompagnata da giochi, musica e canti. Il grano ha segnato profondamente la storia millenaria della Sicilia. La sua coltivazione a carattere estensivo ha assoggettato al suo ciclo vegetativo la vita dei popoli che si sono succeduti nel dominio dell'Isola. Granaio del Mediterraneo, la Sicilia ha mantenuto nei secoli, tra alterne fortune economiche, il primato incontrastato della produzione di frumento fino all'unità d'Italia, quando ha iniziato un lento e inesorabile declino. Un vecchio proverbio dice: “Giugno la falce in pugno”; oggi con la mietitura meccanizzata, bisognerebbe modificarlo. Negli anni 46-51, l’agricoltura era tenuta in gran considerazione. Oggi molti giovani sanno soltanto che il pane si compra dal panettiere e la pasta al supermercato, pochi conoscono la materia prima usata e tutti i lavori necessari per produrla. Il periodo della mietitura ha rappresentato una scadenza lavorativa di primaria importanza in Sicilia, almeno fino a trenta anni fa. A partire dal mese di maggio nelle grandi aree cerealicole dell’interno si creava la necessità di reperire una manodopera bracciantile non disponibile nei luoghi di produzione. Si creavano, quindi, correnti migratorie stagionali di lavoratori che dalle coste settentrionali o meridionali dell’Isola raggiungevano le marine, immense distese del latifondo cerealicolo, all’interno della Sicilia. La mietitura del grano si configurava quindi come un momento di forte socializzazione e, di conseguenza, come un'occasione per riaffermare valori di vita comuni, vincoli di solidarietà, gesti di lavoro, espressioni vocali e modalità rituali, fuori dai ristretti confini della comunità di appartenenza. La lunga giornata lavorativa, che aveva inizio alle prime luci dell'alba per concludersi all'imbrunire, univa all'iterazione regolare dei gesti dei mietitori, scansioni temporali sancite dai pasti e l’esecuzione rituale di forme di ringraziamento a Dio e ai santi. Spettava sempre al cugghituri, solitamente alla fine del secondo pasto della mattinata, invitare i mietitori a intonare le preghiere di ringraziamento invocando e lodando anche il proprio santo protettore. Anche la pisera (trebbiatura), ritmata dall'andatura circolare degli animali (muli o buoi aggiogati a coppia) nell’aia ricolma di mannelli di spighe, si configurava come un ulteriore evento dotato di carattere devozionale. Il cacciante, ovvero l'uomo che guidava gli animali dal centro dell'aia, scandiva le cacciate, le varie riprese della battitura del grano, mentre i turnanti (altri contadini) badavano a rivoltare con il tridente le spighe di grano sotto il passo degli animali. Accanto a questi, ma con spiccate funzioni ritmiche rispetto alla scansione lavorativa, i richiami di incitamento agli animali. I tipi di frumento coltivati erano: “Russulidda, bianculidda, bilì, saracinu, zizzìa. e tumminìa”. In altre zone del catanese e siracusano le cultivar erano: “Maiorca, maiorca pilusa o sganguni, ruscia o furmentu biancu, furmentu forti o piluseddu, gurria, o furmentu di la Maronna, urbia ‘mpiriali, furmentu di Franza o francisedda, giustalisu giganti e tumminia”. Una volta, con la mietitura manuale, i contadini “iurnateri adduvati” (giornalieri) erano impegnati a migliaia per tutto il mese di Giugno e parte di Luglio, quindi passavano sui territori collinari: “Metiri ‘n susu” (mietere in alto, sulle colline), si diceva allora, e fino ad Agosto si mieteva. Sul manico della falce i contadini solevano incidere con un coltello le iniziali del proprio nome o delle figure come segno di riconoscimento. Il mietitore, per non farsi pungere dalle reste del frumento, usava dei pantaloni di “ntoccu” (albagio, un cotone pesante) e “causi di tila” (mutande) lunghe fino alla caviglia, inoltre si metteva "lu vrazzali" al braccio e "lu pitturali" al petto, fatti della stessa tela; per non procurarsi ferite con la falce si metteva dei "canneddi" (tronchetti di canna) alle dita (medio, anulare e mignolo) della mano sinistra, perché più esposti al pericolo. I mietitori, al primo taglio di prova, dicevano: “A nomu di Diu, ch’è nomu sicuru!” quindi, con la mano sinistra stringevano alcuni steli e con la falce, stretta nella mano destra, li tagliava; ripeteva quest’operazione per tre volte, quindi attorcigliava con uno stelo il manipolo e lo metteva per terra. Lo stesso faceva il compagno che lavorava a fianco. Un altro contadino “lu ligaturi” li seguiva con "l'ancina” (uncino; una specie di falce per tirare a sé il frumento) e “l’ancinedda” (una specie di Y di legno per raccoglierlo). Una “ancinata” era la quantità di manipoli che si potevano raccogliere in una sola operazione di “’ncoccia e scoccia” con i due attrezzi. Ogni 6 ancinati (mazzetti) raccolti, si formava una “jermita”. Posate per terra una volta cinque Jermite e una volta quattro, a testa e coda (le spighe sistemate sempre ai due esterni del mazzo ed i gambi all’interno), 9 di esse formavano una "regna" o "gregna" (covone); 6 “regne” formavano un "cavaddunciu" (quanti ne poteva portare sul dorso un animale da soma). I covoni si legavano con le "liame", (vedi argomento zabbara). Quando si trattava di mietere grandissime estensioni di terreno, come avveniva nei feudi, c'era lavoro per molti mietitori, che erano divisi in due squadre: una a destra ed una a sinistra con un capo squadra ciascuna: "lu capu di manu ritta e lu capu di manu manca". Quello che comandava tutti i mietitori era però quello di destra, perché conosceva tutte le preghiere. C'era pure “l’acqualoru”, un garzone che girava fra i mietitori, con il “ciascu” (la brocca dell'acqua), per portare da bere. Il proprietario, spesso, per rendere più celere il lavoro, anziché acqua, forniva vino ai contadini. "Lu capu di manu ritta" prima di “mettiri manu” (iniziare a lavorare) si scopriva il capo e diceva a voce alta: “Sia ludatu e ringraziatu lu santissimu Sacramentu” e gli altri rispondevano “Sempri sia ludatu”. Lo stesso avveniva ad ogni “livata di manu” (ora di smettere); inoltre, prima dei pasti principali faceva recitare ai mietitori delle preghiere con dei ringraziamenti al Signore per il lavoro eseguito, per il raccolto e per il cibo che dovevano consumare: - "Sia ludatu e ringraziatu lu Santissimu e Divinissimu Sacramentu (detto tre volte) E tri boti laudatu sia e scatta lu nfernu e triunfa Maria E cu tri chiova fu nchiuvatu Cristu e senza chiova la matri Maria Na funtanedda a li peri di Cristu, chi fu fatta cu li larmi di Maria". Dopo seguivano i vari Pater Noster, Ave Maria, “Lòria Pàtrisi” (Gloria al Padre), Salve Regina e ringraziamenti per tutti i santi protettori. La Festa della mietitura sarà quindi una grande festa dedicata al buon cibo e alle tradizioni, uno spaccato di Sicilia rurale e autentica con uno sguardo verso il futuro. Un momento di lavoro e festa insieme, a cui tutti potranno partecipare alla scoperta degli antichi costumi di un tempo ormai quasi dimenticati o addirittura sconosciuti per i più giovani e i turisti. Oltre che assistere e partecipare alla mietitura del grano, effettuata a mano così come si svolgeva fino ai primi anni ’60 nelle campagne siciliane, sarà possibile visitare la mostra di oggetti e strumenti antichi legati alla lavorazione del grano e al ciclo del pane e la mostra di prodotti artigianali locali rigorosamente preparati in casa secondo metodi tradizionali. Accompagnerà la manifestazione la musica popolare, degustazione di pane cunsato, dolci fatti in casa e altri prodotti tipici locali realizzati con farina di grano duro, accompagnata da musica popolare con canti e balli. A margine delle attività saranno allestiti degli stand espositivi con prodotti tipici e artigianato locale. L’evento, inserito nel calendario delle manifestazioni estive di Gioiosa Marea, si pone anche l’obiettivo di coinvolgere e valorizzare gli abitanti e il territorio delle contrade, oltre che promuovere e riscoprire le tradizioni e gli antichi mestieri. Nell’aia si svolgeranno i giochi tradizionali di una volta come i ciappi e i brigghia. Sarà possibile anche effettuare passeggiate naturalistiche nei sentieri limitrofi e visitare la mostra di attrezzi antichi legati al ciclo del grano e alla vita rurale (falci, maglio, pariglia, etc.). . I braccianti vestiranno con abiti tradizionali e utilizzeranno gli indumenti e gli strumenti propri per la falciatura del grano: grembiule e copribraccio di tela pesante, canneddi (protezioni per le dita fatte con le canne), falce. Il grano viene poi legato in fascine e ammucchiato per farlo asciugare fino al momento della trebbiatura. Il lavoro viene accompagnato da canti popolari. (Maria Cacioppo)