SAN GIUSEPPE TRA TRADIZIONI, PANE E TAVOLATE

ll 19 marzo si festeggia San Giuseppe, una ricorrenza che affonda le sue radici nella tradizione popolare e che è ancora oggi saldamente radicata nel cuore del popolo siciliano;

basta pensare che il patronato di San Giuseppe copre oggi 34 comuni e il Santo viene celebrato quasi in tutti i paesi della Sicilia e in taluni anche più di una volta nel corso dell’anno. I primi a celebrarla furono i monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. Nella tradizione popolare, San Giuseppe, padre adottivo di Gesù, è il Santo protettore dei poveri e dei derelitti, poiché i più indifesi hanno diritto al più potente dei Santi: come scriveva Pitrè nel 1900 non v’è comune della Sicilia dove il 19 marzo non si benefichino i poveri, i santi, i santuzzi, i vicchiuareddi, la Sagra Famiglia In questo giorno, si ricorda la sacra coppia di giovani sposi, che in un paese straniero ed in attesa del loro Bambino si videro rifiutata la richiesta di un riparo per il parto; un atto questo che viola due sacri sentimenti: l'ospitalità e l'amore familiare. Così in alcuni paesi della Sicilia, il 19 marzo di ogni anno, si usava invitare i poveri al banchetto di san Giuseppe, che come nelle feste di origine contadina assumeva un valore propiziatorio teso ad assicurare buoni raccolti ricorrendo ai segni dell’abbondanza. In questa occasione, un sacerdote benediva la tavola, ed i poveri erano serviti dal padrone di casa. Ad oggi gli Altari di San Giuseppe, detti anche Artara o Artari, Autari o Avutari, Cene o Mense, Tavulate o Tavulati allestiti per voto o tradizione in paesi come Salemi, Pietraperzia, Chiusa Sclafani, Marittimo, Ribera, Terrasini, incantevoli nella loro bellezza, costituiscono uno dei grandi tesori artigianali della Sicilia. Queste mense, riccamente imbandite e decorate con i pani squisitamente modellati in forme diverse, come la chiave o la forbice, la croce, la colomba simbolica della pace, il pavone che indica l’immortalità, la palma la redenzione, il pesce simbolo del Cristo, l’agnello che ricorda il sacrificio divino e gli angeli l’annunciazione. patrimonio di vera arte “effimera”, vengono allestite su una struttura in legno o in ferro con colonnine portanti, fatte di canne intrecciate, che convergono in alto formando un tetto a cupola; il tutto interamente ricoperto da ramoscelli di alloro e di “murtidda” odorosa (bosso), elementi ornamentali che hanno un significato propiziatorio. Ultimata la struttura, vi si appendono a decorazione piccoli pani artisticamente lavorati, secondo un ordine ben definito, e arance e limoni appena colti. Al centro si prepara un piccolo altare con cinque ripiani degradanti, tutti ricoperti di candidi lini ricamati, e si appende in alto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia. Ai lati si dispongono delle mensole con bianche tovaglie ricamate su cui si poggeranno oggetti simbolici di significato costante e di facile lettura: caraffe di vino, vasi di fiori, garofani e “balacu” (violaciocche), frutta, fette di rossa anguria di gesso, lumini, candelabri, vasi con pesciolini rossi, arance e limoni alternati al pane. Ai piedi dell’altare si stende un tappeto dove vengono posati un agnello di pane, di gesso o di cartapesta, in riferimento al sacrificio di Cristo, un’anfora con acqua e un bianco asciugamano, disposto a forma di “M”, per ricordare la purificazione, dei piatti con germogli di frumento, che inneggiano alla terra, tutti simboli presenti nei sepolcri pasquali. Le “cene” non sarebbero complete se mancassero ai piedi delle colonne portanti dei mazzi di finocchi verdi, segno di abbondanza. Famosi anche i Falò, i Fuochi, le Luminarie di san Giuseppe che si accendono la sera del 18 marzo, chiamati nelle diverse località col nome di Vampe o Vampanigghia, Pagghara o Paggharu, Luminaria o Luminaggi, Duminaria e Fucati, il cui significato era quello di togliere il freddo ai bisognosi, oltre che di glorificare il santo. La sera della vigilia si accatastano casse di legno, tavole e roba vecchia a cui viene dato fuoco, tra le grida di grandi e bambini che urlano in coro: “Evviva San Giuseppi”. è tradizione preparare anche la Minestra di san Giuseppe, detta anche Maccu, fatta di fave e legumi; le Sfingi di san Giuseppe nel palermitano, dolci ripieni di crema e ricotta, i Ucciddati – detti anche Bucciddati o Vucciddati -, ciambelle di pasta dal grande peso. Solo ad Acate si usano i Baddotti, polpette di riso in brodo; a Santa Croce Camerina si mangia la Principissedda col pomodoro, pasta tipica della festa giuseppina; a Valguarnera la Pagnuccata, dolce di pistacchio e altro; ad Alessandria della Rocca si prepara la pignolata - farina, uova e miele - e la pasta cu la milanisa, bucatino condito con sarde, salsa, finocchio e pangrattato; a Salemi, infine, si prepara la pasta ca muddica. E’ chiaro che questo elenco delle tradizioni culinarie è solo indicativo e non del tutto esaustivo. DI MARIA CACIOPPO