Profilo, formazione e professioni nei gruppi dirigenti del Partito Democratico nel Sud Italia

di E. Marino Responsabile Organizzazione PD Sud e Isole Il sistema politico-istituzionale italiano è quello della “democrazia rappresentativa”, nella quale si riconosce, non solo formalmente, il Partito Democratico,

al punto da farne il caposaldo della forma democratica per come si è andata affermando nel cosiddetto Occidente. Ma cos’è la “rappresentanza”? Il politologo Giovanni Sartori, ne “La rappresentanza politica”, spiegava che “la nozione di rappresentanza si svolge in tre direzioni diverse, a seconda che venga associata:

1) con l’idea di mandato, o di delega;

2) con l’idea di rappresentatività, vale a dire di somiglianza e similarità;

3) con l’idea di responsabilità”.

Seguendo un approccio sociologico, definiva la rappresentanza “essenzialmente un fatto esistenziale di somiglianza, che trascende ogni ‘scelta’ volontaria e persino la stessa consapevolezza”, per cui “diciamo che qualcuno è ‘rappresentativo di’ per dire che egli impersona talune caratteristiche esistenziali del gruppo, della classe, o della professione dalla quale proviene e appartiene”. E che deve tutelare, difendere, emancipare e riscattare, nel caso di un Partito di Sinistra. Sartori aggiungeva poi che “il legame tra rappresentanza politica e rappresentanza sociologica è particolarmente evidente quando parliamo di sovra-rappresentazione o di sottorappresentazione”. Se così non fosse, “non avrebbe molto senso denunziare il fatto che i lavoratori sono sovente sottorappresentati se non si attribuisse importanza alla rappresentatività (cioè al criterio della somiglianza)”. E proprio la somiglianza, tra il Partito Democratico e coloro che esso vuole rappresentare, difendere e riscattare in via prioritaria, ossia gli strati sociali più deboli, è l’oggetto di questa ricerca. Essa rappresenta una fotografia dei gruppi dirigenti regionali nelle otto regioni del Sud Italia, (intesi come segreterie, direzioni e assemblee politiche) sotto il profilo culturale, di formazione e professionale. Il campione studiato è quello uscito dagli assetti degli ultimi congressi tenutisi nelle regioni in oggetto e intende riflettere in modo particolare su come e quanto i gruppi dirigenti somiglino e si avvicinino ai blocchi sociali che vogliono rappresentare e quanto siano in grado di coinvolgerli e includerli negli organismi dirigenti assembleari o esecutivi. Chi sono i dirigenti del PD? A chi somigliano? Quanto somigliano ai propri elettori? E questi ultimi quanto somigliano a coloro che il PD dice di voler rappresentare? Queste domande chiamano in causa la questione della credibilità di un partito politico e, dunque, al fondo, la questione delle questioni: il consenso. Le regioni interessate dallo studio sono: Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Gli organismi per i quali si dispone (con enorme difficoltà) di elenchi completi sono: Abruzzo (Segreteria e Assemblea); Molise (Segreteria, Direzione, Assemblea); Basilicata (Segreteria, Direzione, Assemblea, Commissione di garanzia); Puglia (Segreteria, Direzione, Assemblea); 2 Campania (Segreteria, Direzione, Assemblea); Calabria (Direzione, Assemblea, Commissione di garanzia); Sicilia (Segreteria, Direzione); Sardegna (Segreteria, Direzione, Assemblea). Il totale dei dirigenti che compongono questi organismi è di 1969. È stato possibile ottenere i dati (non sempre completi) relativi a soli 1026 dirigenti, ossia il 52,1%. Sono stati presi in considerazione il titolo di studio, la professione e il lavoro svolto, l’inquadramento nel pubblico o nel privato, il lavoro di concetto o manuale. La percentuale del 52,1% sul totale del gruppo dirigente, fa sì che lo studio non possa considerarsi esaustivo, tuttavia i risultati significano una tendenza netta. È quindi possibile fare alcune considerazioni politicamente rilevanti. La prima è che la grandissima parte del gruppo dirigente del PD nel Sud Italia, ossia 770 iscritti (pari all’75,% del totale), è formato da iscritti in possesso di una laurea (nel Mezzogiorno d’Italia, nel 2021, la percentuale di laureati rispetto alla popolazione era del 16,2% - fonte ISTAT); 213 iscritti (pari al 20,7% del totale) hanno il diploma (nel Mezzogiorno d’Italia, nel 2021, la percentuale di diplomati rispetto alla popolazione era del 38,1% - fonte ISTAT); e solo 6 iscritti (pari allo 0,5% del totale) hanno conseguito solo una licenza media o elementare (si consideri che su 364.000 beneficiari del reddito di cittadinanza in Italia, solo nella fascia tra i 18 e i 29 anni, ben 11.000 possiedono esclusivamente la licenza elementare o nessun titolo e altri 129.000 soltanto la licenza media – Fonte M. Ferrera, Corriere della sera, 20 gennaio 2023). L’3,6% non ha fornito il proprio titolo di studio. Tra di essi, la grande maggioranza, pari a 442 iscritti (ossia il 43,% del totale) è formata da lavoratori dipendenti (nel 2021 la percentuale di lavoratori dipendenti in Italia era del 34,8% - dato INPS); 298 (pari al 29,% del totale) è formata da lavoratori autonomi e/o liberi professionisti (nel 2021 la percentuale di lavoratori autonomi e/o liberi professionisti in Italia era dell’8,4% - dato INPS). Il 29% di essi non ha fornito una risposta sul settore di lavoro. Tra i 442 lavoratori dipendenti, poi, ben 332 (ossia il 31,3% del totale) è composto da lavoratori dipendenti del settore pubblico (nel 2021 la percentuale di lavoratori dipendenti del settore pubblico in Italia era il 27,4% della popolazione - dato INPS); e solo 95 (ossia il 9,2% del totale) da lavoratori dipendenti del settore privato (nel 2021 la percentuale di lavoratori dipendenti del settore privato in Italia era il 5,7% della popolazione - dato INPS). Il 2,4% non ha fornito una risposta sul settore di lavoro pubblico o privato. Tra i dirigenti locali non lavoratori (81 in tutto, pari all’7,8% del totale), vi sono solo 15 studenti (1,4% del totale), 6 disoccupati (0,5% del totale), 4 casalinghe (0,3% del totale) e 56 pensionati (pari 5,4% del totale). Se si considerano le figure professionali dei dirigenti locali, si osserva che a prevalere in misura significativa, con 190 dirigenti (pari al 18,5% del totale), sono gli avvocati (nel 2021 la percentuale di avvocati in Italia era lo 0,4% della popolazione - dato Censis-Cassa Forense), cui seguono, largamente distanziati, i docenti dei vari livelli di insegnamento, che sono 120 (pari al 11,6% del totale) e i medici, che sono 67 (pari al 6,5% del totale). Tra i docenti, poi, va tenuto presente che 32 (pari al 3,1% del totale) sono solo docenti e 3 ricercatori universitari e 88 (pari al 8,5% del totale) si dividono tra tutti gli altri livelli di istruzione: scuola dell’infanzia, istruzione primaria, istruzione secondaria di primo e secondo grado. Sono poi 55 (pari al 5,3% del totale) gli imprenditori, 23 (pari al 2,2% del totale) i commercialisti e solo 3 (pari allo 0,2% del totale) gli operai, esattamente come gli infermieri e i farmacisti. Quanto ai segretari regionali, 7 su 8 sono laureati e uno diplomato. Di questi, 4 sono attualmente parlamentari nazionali (Sicilia, Calabria e Abruzzo – eletti parlamentari dopo la loro elezione a segretario regionale – e Puglia, il cui segretario era già parlamentare) e uno parlamentare regionale (Molise). Dei segretari regionali, tre sono avvocati, due ricercatori, due liberi professionisti e un consulente scientifico. Situazione analoga a quella della Segreteria nazionale del Partito, dove su 15 componenti 13 sono laureati e 2 diplomati. E dove 11 sono parlamentari in carica, 2 ex parlamentari, 1 assessore in una città metropolitana e uno rappresentante di impresa. Gli eletti al Parlamento, dal canto loro, nelle 8 regioni del Sud, su un totale di 24, schierano 20 laureati e 4 diplomati. Di questi, 13 sono liberi professionisti e 11 lavoratori dipendenti. Dei 13 liberi professionisti ben 7 sono avvocati e i restanti 6 si dividono tra un architetto, un ingegnere, un imprenditore, un dirigente di azienda, e due consulenti scientifici. Degli 11 lavoratori dipendenti 5 sono docenti universitari e/o ricercatori, 3 funzionari politici, due sindacalisti (ma le due ex segretarie generali di CGIL e CISL, Camusso e Furlan) e una impiegata di Azienda Sanitaria Locale. Quanto fin qui riportato evidenzia una sotto-rappresentanza dei lavoratori manuali talmente accentuata da configurare quasi una rimozione. Non esistono, di fatto, dirigenti (o parlamentari) locali che svolgano lavori manuali quali muratori o manovali in genere, operai portuali o metalmeccanici. Eppure, il lavoro fatto con le mani non è scomparso. Il territorio preso in analisi comprende un’area vasta del Paese dove vi sono importanti realtà portuali come quelle di Gioia Tauro, Palermo, Taranto o Napoli e grandi fabbriche come la Fiat di Melfi e altre con importanti e consistenti presenze di lavoratori manuali e crisi aziendali aperte, come l’Ilva di Taranto, la Wirlpool di Napoli (e diverse altre grandi aziende) che coinvolgono decine di migliaia di lavoratori (circa 40.000 in tutto il Sud) che dalla politica aspettano risposte, soluzioni. Una situazione paradossale per un Partito che voglia rispondere ai bisogni e agli interessi dei ceti più in difficoltà, che più sono stati colpiti dal susseguirsi di crisi epocali negli ultimi venti anni. Il paradosso si trasmette dalla periferia al centro fino ad arrivare al recente “Comitato costituente” nazionale, incaricato di riscrivere il Manifesto dei valori del Partito. Nell’istituirlo, la Direzione Nazionale del 28 ottobre 2022, ha previsto che fosse composto da “personalità iscritte e non iscritte al PD, rappresentative del mondo del lavoro, delle professioni…”. Tuttavia, tra i 94 componenti non compare nessuno che svolga un lavoro manuale, nessun operaio, nessun rider, nessun manovale, badante, cameriere…. Quindi le “professioni” rappresentate sono, ancora una volta, docenti, avvocati, imprenditori, scrittori, filosofi, ingegneri, magistrati. 4 Se lo stato è questo, dunque, se ne può dedurre che: - il PD non è attrattivo per chi fa lavori manuali e nessuno di essi è interessato a far parte dei gruppi dirigenti locali; oppure: - il PD non lascia adeguato spazio nei propri gruppi dirigenti locali a chi svolge lavori manuali e dunque non li include nei propri organismi; o ancora: - chi svolge lavori manuali non è nelle condizioni (di tempo, economiche, culturali e/o di consenso personale) di impegnarsi politicamente. Probabilmente c’è un po’ di verità in ognuna di queste opzioni. Di fatto, nei numeri appena visti è scritta la crisi della nostra credibilità. Noi non somigliamo abbastanza a ciò che diciamo e non facciamo fino in fondo quello che diciamo, ma questo avviene non perché non crediamo nelle nostre stesse parole, ma perché le nostre vite sono troppo distanti dalle vite di coloro sui quali le nostre parole (e le nostre politiche) dovrebbero produrre il loro effetto. La rimozione di interi pezzi di società dalla vita del Partito è il frutto avvelenato del progressivo disinvestimento nella formazione delle classi dirigenti e della demonizzazione del professionismo in politica. I partiti politici hanno smesso da tempo di ‘formare’ i propri gruppi dirigenti a ogni livello (ma soprattutto tra i ceti più svantaggiati), attingendo in modo sempre più massiccio ad élite altrove formate e selezionate. Qui nasce il tanto evocato scollamento con la società italiana. Qui si compie la profezia della “casta” che tanta linfa ha riversato nelle vene del populismo demagogico di questi anni. In conclusione, come PD, rappresento le élite perché sono élite. E non è quello che deve fare (ed essere) un Partito di Sinistra.