L’aumento delle spese militari al 2% del pil non è l’unico impegno internazionale che l’Italia deve rispettare. C’è anche il raggiungimento del traguardo dello 0,7% del pil da impiegare nella cooperazione allo sviluppo. Per quanto riguarda l’impegno assunto nel 2014 con la Nato esso merita di essere inquadrato nella prospettiva di una accelerazione,

necessaria, verso una politica estera e della difesa europea. Sul tema del riarmo interviene anche Marina Sereni, viceministra degli Affari Esteri, appena tornata da una missione in Senegal, partner strategico per l’Italia nel continente che è destino inevitabile per l’Europa. Anche lì sono giunti gli echi del dibattito nella maggioranza sull’aumento delle spese per la Difesa innescato su Avvenire - dopo le parole contrarie del Papa - da Graziano Delrio e proseguito poi dall’ex premier Giuseppe Conte che hanno espresso critiche. Viceministra Sereni, anche in questo momento particolarmente difficile per gli italiani, come ha dichiarato ad Avvenire il leader M5s Giuseppe Conte, il governo deve per forza rispettare l’impegno di aumentare le spese militari? L’obiettivo di aumentare gradualmente la spesa per modernizzare l’apparato militare era già previsto e lo stesso governo Conte lo aveva rispettato. Credo si debba evitare di collegare il tema all’emergenza Ucraina. L’aggressione russa conferma che il problema più urgente è la difesa comune europea, ma più che immaginare l’impegno di 27 Stati ad aumentare autonomamente le spese per la Difesa penso sia ragionevole che ci si impegni ad accelerare le riflessioni su una politica estera comune e poi sulla difesa europea. In questo quadro decidere tempi e modalità per modernizzare il sistema difensivo nazionale. Ma non si lancia così il messaggio di una ripresa del riarmo? No, quello che l’Ue ha fatto fin qui per l’Ucraina, dalla fornitura di aiuti umanitari a quelli militari, è finalizzato a fermare la guerra. Il messaggio che l’Europa sta inviando al mondo e prima di tutto a Putin è che vanno impedite ulteriori uccisioni di civili e distruzioni. Dobbiamo fare ogni sforzo per sostenere anche il piu’ piccolo spiraglio di negoziato e per aiutare l’Ucraina, che tra l’altro ha chiesto anche all’Italia di fare da garante per la sua sicurezza. Non nego che in questo quadro sia giusto avviare una discussione sulle spese militari, ma penso che vada fatta nel contesto europeo. Giusto quindi approvare l’aumento delle spese militari? Si, ma tenendo insieme le esigenze di sicurezza di ciascun Paese con quella di accelerare sulla politica estera e di difesa comune. Non è l’ordine del giorno sul 2% a determinare le scelte del nostro paese. Ma se diciamo che un impegno internazionale va rispettato per garantire la nostra credibilità, ce n’è un altro da rilanciare con forza: lo 0,7% del pil da investire in Aiuti pubblici allo sviluppo. E a che punto siamo? Lo 0,7% è una cifra molto più piccola del 2%, ma in un momento in cui si parla di come rafforzare la proiezione italiana sulla scena mondiale, non possiamo che enfatizzare anche quell’impegno per non dare un’immagine sbagliata delle nostre ambizioni internazionali. Che sono contribuire a un’Europa di pace e ad un’Europa che coopera con i paesi terzi. Vorrei che il tema non scivolasse nel dibattito pubblico italiano. Ma la guerra in Ucraina non sta invece occultando le altre guerre, i cambiamenti climatici e i flussi migratori che queste generano? Il rischio c’è, il conflitto nel cuore d’Europa li ha messi in secondo piano, ma questi temi non se ne sono andati. Giustamente abbiamo aperto le porte a milioni di ucraini, ma ce ne sono altrettanti che fuggono dalle conseguenze catastrofiche dei mutamenti climatici e da altre guerre che non possiamo ignorare. Se vogliamo garantire la sicurezza per la nostra regione dobbiamo investire di più in cooperazione allo sviluppo. La guerra ha fatto esplodere molte contraddizioni a livello globale. In Africa, il macrocontinente del nostro destino, si assiste all’aumento dell’ insicurezza alimentare perché molti paesi africani acquistavano il grano dall’Ucraina e dalla Russia. Quando raggiungeremo il traguardo dello O,7% del pil da destinare alla cooperazione? La scadenza è il 2030 e l’Italia è molto indietro rispetto a partner europei come Francia, Germania e Spagna. Dobbiamo accelerare. Il bilancio 2022 propone un graduale aumento, ma possiamo fare di più e soprattutto rendere vincolante questo aumento. Da oggi la curva deve gradualmente continuare a salire. (Marina Sereni 30 marzo 2022)