ROMA – Con la proposta di dare esecuzione alla Direttiva sulla protezione temporanea, l’Unione Europea fa un passo coraggioso nella giusta direzione. Tende la mano verso chi fugge dall’Ucraina, nell’immediato e senza distinzioni, anche a prescindere dalla nazionalità ucraina, in un momento in cui non c’è tempo per indugiare né per perdersi in intralci burocratici.

Sarebbe la prima volta che gli Stati membri trovano l’accordo per ricorrere a questo strumento eccezionale, introdotto nel 2001 per offrire un argine umanitario in caso di massicci afflussi di sfollati che non potessero tornare nello Stato terzo d’origine. Davanti agli occhi degli europei di allora, stava l’immagine delle colonne di civili evacuati dall’ex Jugoslavia. Eppure, nonostante la violenza di quel conflitto, neanche allora si riuscì ad applicare la nuova misura. La Commissione propone al Consiglio dell’Unione, l’organo rappresentativo degli Stati membri, di farlo ora. Non vi è dubbio che la crisi ucraina abbia creato le condizioni descritte dalla Direttiva: gli ucraini che varcano i confini del loro Paese fuggono da un pesante conflitto armato e dal serio rischio di violazioni sistematiche dei propri diritti fondamentali. Allo stesso tempo, il loro numero è certamente considerevole: lo è già adesso, quando l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati stima che oltre un milione di persone hanno lasciato il Paese, e lo sarà sempre più nel futuro. Si attendono almeno quattro milioni di profughi. In più, è una fuga che sta avvenendo in tempi precipitosi: numeri così elevati si sono raggiunti in appena una settimana. Queste persone hanno bisogno innanzitutto di essere accolte dignitosamente: si tratta per la maggior parte di donne e bambini e in tutti i casi di persone vulnerabili, col trauma di un improvviso distacco forzato. È importante che ricevano un permesso di soggiorno e il riconoscimento immediato di tutti i diritti, compresi quelli allo studio, al lavoro e all’assistenza sociale. Subito dopo, ci si dovrà impegnare nel ricollocamento, in primo luogo assecondando le loro esigenze di ricongiungimento con familiari nei vari Paesi d’Europa. Anche prima che la nuova protezione diventi effettiva, comunque, un’imponente macchina dell’accoglienza si è attivata nei Paesi confinanti, prima meta dei profughi. Organizzazioni umanitarie, amministrazioni locali e nazionali, volontari e singoli cittadini si sono attivati in Polonia, Moldavia, Romania, Slovacchia, mentre gli altri Paesi spalancavano i confini agli spostamenti secondari. Si sono messi a disposizione cibo, vestiti, auto, case. Nessuna voce politica, in nessun Paese europeo, si è levata in senso contrario. Nulla di strano a pensarci, sembrerebbe la più naturale delle reazioni. Ora che l’Europa pare rovesciata e che un ingente, improvviso flusso migratorio preme da nord e da est, invece di approdare sui confini sud, i Paesi che finora hanno potuto sciogliersi dagli oneri di asilo europei non avranno più modo di sfruttare il proprio privilegio geografico. Di certo, non potranno più opporsi ad un meccanismo di redistribuzione. L’attuale risposta solidale dell’Europa, per una volta tutta unita, non può portare alla fine della guerra né offrire risarcimento a chi, in passato, ha moltiplicato le proprie sofferenze a causa di sistemi d’accoglienza fallaci e della chiusura delle frontiere europee. Che sia almeno l’inizio di un approccio nuovo verso tutte le migrazioni forzate, da qualsiasi luogo provengano. (Migrantes online /Inform)