Curato dal Centro studi e ricerche Idos per l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali della Presidenza del Consiglio Un’analisi per far conoscere numeri, caratteri e aspetti della presenza immigrata in Italia e stimolare la politica ad interventi mirati sulle sue reali necessità. Crescono, nonostante la crisi, gli immigrati nel nostro Paese, oggi quasi 5 milioni di cittadini, pari alle collettività straniere presenti in Regno Unito e Spagna. Prima in Europa la Germania, con oltre 7 milioni di immigrati ROMA – Si conferma strutturale la presenza di immigrati nel nostro Paese: anche con il perdurare della crisi economica sono aumentati di 164 mila unità gli stranieri residenti in Italia nel 2013, un +3,7% rispetto all’anno precedente, per un totale di 4.922.085 (l’8,1% della popolazione complessiva). Il superamento del numero dei connazionali all’estero – 4.482.115 alla fine del 2013 – conferma dunque la trasformazione dell’Italia in Paese di immigrazione, mentre la consistenza dei flussi in entrata ed uscita ne fanno luogo fortemente connotato dal fenomeno migratorio. Ad illustrare numeri, caratteri e aspetti sui quali intervenire il Dossier statistico Immigrazione 2014, curato dal Centro studi e ricerche Idos per l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Dipartimento Pari Opportunità della presidenza del Consiglio dei Ministri e presentato questa mattina presso il Teatro Orione a Roma. Un appuntamento ormai tradizionale – il primo Dossier risale al 1991 – per fare il punto sul profilo che la presenza immigrata ha assunto nel nostro Paese, sensibilizzare stampa e opinione pubblica in merito ad una più corretta ed equilibrata lettura del tema e stimolare la politica ad interventi mirati sulle necessità reali che esso pone. E proprio sull’importanza di ragionare “con pacatezza” sui dati si sofferma Franco Pittau, coordinatore di Idos e moderatore dell’iniziativa, mentre Giovanna Martelli, consigliere del presidente del Consiglio per le Pari opportunità, rileva come il materiale del Dossier fornisca una base fondamentale per programmare politiche nazionali e territoriali, “politiche che diano opportunità e garantiscano percorsi di cittadinanza ed integrazione per coloro che hanno scelto l’Italia come luogo di residenza”. Il percorso di integrazione richiede una politica di allargamento e tutela dei diritti dei singoli, via maestra per combattere la discriminazione, fenomeno il cui contrasto è al centro dell’impegno dell’Unar, e che riguarda tutte le minoranze. Martelli richiama anche il problema delle discriminazioni di genere che spesso si sommano alle difficoltà di soggetti resi vulnerabili da percorsi di vita più accidentati, come quelli dei migranti – il 52% del totale degli stranieri in Italia, secondo le statistiche, è donna. Sottolinea come si affronti nel Dossier un tema importante e delicato il direttore generale dell’Unar Marco De Giorgi: “delicato perché ci troviamo a vivere un momento di crisi che lascia poco spazio a richiami sulla solidarietà”, ed importante perché il futuro e la crescita del Paese “non possono ignorare il tema dell’immigrazione”. De Giorgi sottolinea come i dati sull’invecchiamento della popolazione italiana – 13 milioni gli italiani ultra 65enni – pongano interrogativi sulla sostenibilità del sistema pensionistico cui fa da contraltare la crescita del numero di immigrati e quello dei loro figli che frequentano le scuole italiane – 802.785, il 9% degli iscritti nell’anno scolastico 2013/2014, che raggiunge il 20% a Piacenza e a Prato – e come a fronte di tale presenza i casi di discriminazione segnalati all’Unar nel 2013 siano stati 1.142, il 68% dei quali per motivi etnico-razziali, spesso veicolati dai mass media o avvenuti nei contesti di vita pubblica, legati all’accesso al lavoro, ai servizi pubblici e alla casa. “Le 3 i della scuola devono diventare sempre più inclusione, italiano, senza il quale l’integrazione non è possibile, e intercultura – afferma De Giorgi mutuando le 3 i di uno slogan relativo all’aggiornamento del nostro sistema scolastico (impresa, informatica, inglese). Per il direttore generale “non è possibile parlare di sviluppo senza integrazione o escludendo dai processi di crescita una parte più o meno grande della popolazione” e ribadisce la necessità di “invertire il paradigma” e parlare dell’immigrazione “con la dovuta serenità ed equilibrio” sia a livello di opinione pubblica che in ambito politico, risolvendo in “modo pragmatico” le difficoltà. Sottolinea la necessità di tenere insieme e lavorare sulle tre “parole chiave: lavoro, pari opportunità e integrazione” Franca Biondelli, sottosegretario del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, che rileva come anche gli immigrati abbiano sofferto gli effetti della crisi economica, pur tenendo nel numero di imprenditori, in continua crescita. Essi “sono una risorsa per il Paese – aggiunge – e vanno considerati su un piano di uguaglianza, premiando il merito”. L’auspicio è di una “convivenza fruttuosa per lo sviluppo della società”, afferma il sottosegretario, ricordando poi come sia responsabilità di tutti fare in modo che tale convivenza si realizzi, a cominciare dalla politica, “in ritardo su molte questioni – ammette, segnalando poi la necessità di dare risposte più efficaci all’integrazione, a dispetto degli slogan dei “partiti xenofobi, che in realtà – annota – non hanno saputo dare risposte a nessuno, neppure agli italiani”. Presentano alcuni dei dati del Dossier insieme a Pittau Antonio Ricci e Luca Di Sciullo. Ricci mette in luce il contesto internazionale in cui si muovono i flussi migratori – la stima delle Nazioni Unite alla fine del 2013 è di 232 milioni di migranti nel mondo, 1 persona ogni 33, tra i quali 175 milioni di lavoratori, pari al 5% dell’intera forza lavoro del pianeta – ed europeo, contesto, quest’ultimo, in cui il primo Paese di presenza straniera è la Germania, con oltre 7 milioni di immigrati – secondo sbocco mondiale per l’immigrazione con carattere “permanente”, dopo gli Stati Uniti, – seguito da Spagna, Regno Unito e Italia, in cui gli immigrati si aggirano sui 5 milioni, e Francia, con poco più di 4 milioni. Ricci parla di “luoghi comuni da sfatare” sulla presenza immigrata in Italia e non solo: in primo luogo non si tratta solo di migranti economici, perché nei flussi mondiali molto importanti sono i ricongiungimenti familiari – i minori sono 34 milioni, – ma anche le migrazioni forzate dei richiedenti asilo e profughi – quasi 18 milioni, mentre 33 milioni sono gli sfollati interni – e le migrazioni qualificate – elevato il numero di laureati; in Italia la provenienza non si limita solo all’Africa – 196 la provenienze riscontrate, ma il 51% dei migranti proviene da Romania, Albania (Paese che ha il 45% della sua popolazione emigrata all’estero), Marocco, Cina (per cui l’Italia è una scelta di secondo livello, perché i 223mila cinesi presenti rappresentano solo il 2,4% della diaspora cinese) e Ucraina; il limitato numero di presenze irregolari nella Penisola (negli ultimi 10 anni 120 mila risultano essere i respinti e 190 mila i rimpatriati a fronte di una presenza regolare stimata da Idos in 5.364.000 persone). Rispetto al periodo precedente la crisi, in Italia sono diminuiti i flussi di ingresso di lavoratori (visti rilasciati nel 2013 169mila), mentre i visti per ricongiungimento familiare sono stati 76mila e 77mila le nuove nascite, a fronte di 5.500 decessi circa. Molti poi i permessi di soggiorno non rinnovati in questi anni di difficoltà economica: 262mila nel 2011, 166mila nel 2012 e 145mila nel 2013. Ricci segnala infine il futuro incerto dell’operazione Mare Nostrum, che ha consentito il salvataggio in mare di 150mila persone, e l’assenza di una piattaforma condivisa sulla politica migratoria da parte dell’Unione Europea, dopo la crescita del fronte euroscettico alle ultime elezioni. Ciò che preoccupa – rileva – è che ora anche la mobilità intraeuropea viene agitata come spauracchio per l’opinione pubblica e ciò non pare consentirà un auspicato riequilibrio delle risorse pubbliche tra interventi alla frontiera – oggi di gran lunga prevalenti – ed integrazione. Si sofferma invece su alcuni indici di integrazione degli immigrati in Italia Luca Di Sciullo, rilevando come sul fronte casa, lavoro e scolarizzazione emergano criticità che andrebbero colmate: nel settore abitativo, l’impatto del costo dell’affitto pesa sul reddito di un immigrato di 1/5 in più rispetto a quanto sostenuto da un italiano e il primo può contare su un reddito inferiore di oltre 1/4 rispetto a quello percepito in media da un italiano; 1/5 anche la quantità di studenti che vengono indirizzi a licei piuttosto che a scuole professionali, mentre in questo caso la percentuale degli italiani è più che doppia, differenza che si ripercuote poi sul livello di inserimento nel mercato lavorativo; inoltre gli stranieri risultano avere lavori più frammentari, discontinui e precari ed essere stati maggiormente penalizzati dalla crisi (metà degli assunti prima del 2013 ha perso il lavoro in quest’anno, contro il 30% degli italiani). Pittau richiama invece la necessità che la strategia degli interventi sia a livello legislativo che sociale superi l’episodicità e dichiara positivo l’allungamento ad un anno del periodo concesso per cercare un nuovo lavoro prima della scadenza del permesso di soggiorno e la riduzione del tempo di permanenza massima nei Centri di identificazione a 90 giorni. Tuttavia “occorre fare di più – afferma, citando la necessità di un rinnovato impegno sul tema dell’acquisizione della cittadinanza e per l’abbassamento degli oneri burocratici e finanziari legati al permesso di soggiorno. A testimoniare il punto di vista degli immigrati Paula Baudet Vivanco dell’Associazione nazionale stampa interculturale, che segnala la responsabilità dei media nello sguardo superficiale attraverso il quale spesso si guarda al mondo dell’immigrazione, e l’imprenditore Radwan Khawatmi, che sottolinea l’importanza e la vivacità dell’imprenditoria straniera nel nostro Paese, il contributo che i lavoratori immigrati apportano alle casse previdenziali e la necessità che si intervenga legislativamente sull’acquisizione della cittadinanza italiana e sulla partecipazione al voto amministrativo da parte degli immigrati. Affidate a Domenico Manzione, sottosegretario al Ministero dell’Interno, le conclusioni della mattinata. Manzione ha rilevato come occorra diffondere il più possibile il lavoro scientifico del Dossier, per evitare che finisca per passare “una visione distorta, tendenziosa e strumentalizzata del fenomeno migratorio” che ormai è fenomeno “strutturale” e richiede interventi sul fronte di tutti quegli aspetti soprarichiamati che si traducono sul livello di integrazione che la nostra società è in grado di assicurare ai nuovi arrivati – accesso alla casa, inserimento nel mercato del lavoro, inserimento scolastico, cittadinanza, anche attraverso l’esercizio di voto amministrativo, diritti. Per il sottosegretario dunque i dati contenuti nel Dossier forniscono la base per produrre decisioni consapevoli, informate ed efficaci. In conclusione è intervenuto anche mons. Matteo Zuppi, vescovo italiano nominato cittadino onorario del Mozambico per il lavoro di mediazione svolto anni fa per porre fine alla guerra civile e coronato dalla firma degli Accordi di Roma nel 1992. Mons. Zuppi ha richiamato l’importanza della figura di papa Francesco e dell’esempio che può derivare dal suo impegno e dalla sua passione per alimentare la speranza di “vincere i tanti sistemi di ingiustizia presenti nel mondo, mettendoci dalla parte dei poveri e degli ultimi e operare concretamente, e ciascuno di noi, per costruire un futuro diverso e migliore per tutti”. (Viviana Pansa – Inform)