Pesantissime accuse al nostro Paese arrivano dal rapporto del Consiglio d’Europa su una delle tante tragedie dell’immigrazione, la morte di 63 persone nel Mediterraneo nel marzo del 2011. “L’Italia, come primo Stato ad aver ricevuto la chiamata di aiuto e sapendo che la Libia non poteva ottemperare ai propri obblighi, avrebbe dovuto assumere la responsabilità del coordinamento delle operazioni di soccorso”,

si legge nelle conclusioni dell’inchiesta condotta dal comitato per l’immigrazione dell’assemblea parlamentare del Consiglio. Nel documento si sottolineano anche le gravi responsabilità della Nato e dei singoli Paesi che hanno partecipato alla guerra in Libia e che al momento del dramma avevano navi che in solcavano quel tratto del Mediterraneo. E si parla di “fallimento collettivo” di Italia, Malta, Onu e Nato “nel pianificare gli effetti delle operazioni militari in Libia e prepararsi per un atteso esodo via mare”. Una sottovalutazione che ha portato alla morte di decine di migranti, tra i quali c’erano anche donne e bambini, costretti alla deriva per due settimane e lasciati morire di fame e di sete. L’inchiesta, firmata dalla senatrice olandese Tines Strik e durata nove mesi, punta l’indice su carenze umane e istituzionali, errori compiuti tanto da navi militari che civili, insieme ad ambigue richieste di soccorso e alla confusione sulla responsabilità per i soccorsi. Senza tralasciare le colpe delle autorità libiche in merito alle quali il rapporto sottolinea che, soprattutto in tempi di guerra “uno Stato ha la responsabilità dei civili, sia quando sono sulla terra che quando sono per mare”. Inoltre, aggiunge la relatrice, “la Libia ha violato tutti gli impegni internazionali incoraggiando e perfino forzando i migranti e i rifugiati a prendere la pericolosa via del mare”. La storia del barcone dei migranti libici è nota: il gommone, a bordo del quale c’erano 72 migranti africani, salpò da Tripoli nel cuore della notte del 25 marzo, ma entrò poco dopo in avaria e fu lasciato andare alla deriva per due settimane, fino a quando non fu rispedito sulle coste libiche. Nonostante le richieste d’aiuto e il fatto che la nave fosse stata identificata dalla guardia costiera europea, non fu fatto alcun tentativo di salvataggio: morirono quasi tutti coloro che erano a bordo, compresi due bambini, si salvarono soltanto nove persone. Strik ha descritto la tragedia come “una pagina buia per l’Europa” che rivela il “doppio standard” in uso per valutare la vita umana. “Possiamo parlare quanto vogliamo di diritti umani e dell’importanza di rispettare gli obblighi internazionali, ma se lasciamo morire le persone – forse perché non sappiamo la loro identità o perché provengono dall’Africa – tutte quelle parole diventano prive di significato”. (Fonte: Repubblica.it)