La maggioranza parlamentare ha il diritto di approvare il ddl intercettazioni, assumendosene la responsabilità politica. I giornalisti e gli editori hanno, però, il diritto di avvalersi di tutti gli strumenti a disposizione, per ottenerne l’abrogazione o la disapplicazione. È sempre consentito, infatti, chiedere la verifica di costituzionalità di una legge all’imputato in un processo in cui quella legge deve essere applicata.

La decisione finale spetterà, tuttavia, al giudice che potrà, a sua discrezione, condividere i dubbi dell’interessato, sottoponendo la questione alla Corte costituzionale o procedere oltre, ove riterrà la legge conforme al dettato costituzionale: il giornalista incriminato per pubblicazione arbitraria di un atto d’indagine, ai sensi dell’art. 684 del codice penale, per aver, ad esempio, sintetizzato e divulgato un’intercettazione assai rilevante, potrà eccepire il contrasto della norma con l’art. 21 della Costituzione. Ma il suo giudice, se non condividerà l’obiezione , potrà procedere oltre e condannarlo. Ancora lo stesso giornalista, se condannato in via definitiva, all’esito dei tre gradi di giudizio, potrà rivolgersi alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo, sostenendo di essere rimasto vittima di una legge ingiusta, perché adottata in violazione dell’art. 10 della Convenzione europea, che garantisce il diritto di informare e di essere informati. Potrà chiedere, perciò, la condanna dell’Italia, per averla promulgata e il risarcimento del danno, derivatogli dalla sua applicazione. I medesimi strumenti di tutela sono a disposizione degli editori, chiamati in causa nello stesso processo, ai sensi della legge 231/2001, per non aver adottato modelli organizzativi, idonei ad impedire la commissione di quel reato e per aver tratto profitto da quella pubblicazione. Ciò grazie al discutibile inserimento dell’art. 684 del codice penale, fra i reati cui quella legge si applica, indipendentemente dall’ammontare della sanzione amministrativa, più o meno elevata, prevista. Tutti gli altri giornalisti e tutti gli altri editori rimarrebbero, così, tagliati fuori e costretti ad attendere l’esito delle procedure avviate da altri, poiché non è consentito al singolo cittadino di chiedere direttamente alla Corte costituzionale l’abrogazione di una norma incostituzionale: solo il giudice può farlo. E allora, alla facoltà per 5 Consigli regionali o per 500.000 elettori di chiedere di raccogliere le firme per sottoporre a un referendum abrogativo il ddl, si aggiunge la possibilità per ogni singolo giornalista, per ogni singolo editore e per ogni associazione di entrambe le categorie di ricorrere direttamente alla Corte di Strasburgo, ai sensi dell’art. 34 della Convenzione, nell’interpretazione data alla norma dalla giurisprudenza di tale organo. Diverse sentenze hanno riconosciuto, infatti, la facoltà di ricorrere contro lo Stato che abbia promulgato una legge che leda uno dei diritti garantiti dalla Convenzione, a chi di quel diritto sia titolare. Il giornalista lo è del diritto di far circolare liberamente le informazioni di cui viene in possesso, ove rilevanti per la formazione della pubblica opinione, garantito dall’art. 10 della Convenzione; ed è vittima di tutte le leggi che irragionevolmente limitino quel diritto, fra le quali può annoverarsi senza dubbio il ddl intercettazioni. In tale veste, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, potrà rivolgersi alla Corte per ottenere la condanna dell’Italia, per averla promulgata e il risarcimento dei danni, derivatigli dalla conseguente compressione del suo diritto. Una sentenza sfavorevole sancirebbe la legittimità del ddl, ma l’accoglimento del ricorso imporrebbe alla Corte costituzionale, ove investita della questione da un giudice interno, di ratificare quella decisione, in forza dell’art. 117 della Costituzione e di disapplicare le norme ritenute in contrasto con la Convenzione. I tempi medi di un ricorso a Strasburgo sono piuttosto lunghi, ma sulle questioni più importanti è frequente una loro riduzione: una massiccia adesione all’iniziativa della Fnsi, che sta monitorando il numero di soggetti interessati e che ha incaricato un pool di avvocati - chi scrive, Roberto Mastroianni, Filippo Donati e Bruno Del Vecchio - di predisporre il ricorso; e la sua sottoscrizione da parte di migliaia di operatori dell’informazione e di decine di editori conferirebbe all’atto il peso necessario per garantire la giusta attenzione a Strasburgo e tempi ragionevoli per la decisione. di Caterina Malavenda (avvocato cassazionista, giornalista)