Per la Cassazione la scolarizzazione dei minori rappresenta un’esigenza ordinaria collegata al loro normale processo educativo-formativo e non può costituire motivo per giustificare una deroga all’esigenza di tutela delle frontiere. Il clandestino, padre di due figli in età scolare, non ha diritto di ottenere dal tribunale per i minorenni l’autorizzazione a soggiornare in Italia in deroga alle disposizioni del testo unico immigrazione

solo per il fatto che i figli frequentano la scuola. La scolarizzazione rientra in una situazione “ordinaria” tale da non legittimare la permanenza degli irregolari. In questi termini si è pronunciata ieri la Cassazione, ritornando all’orientamento “tradizionale” che gli ermellini avevano assunto e mantenuto negli ultimi dieci anni e che, però, sembrava essere stato superato - almeno in parte - con due recentissime sentenze del 21 gennaio scorso e dell’ottobre 2009. Con la decisione del 21 gennaio, la stessa I Sezione aveva infatti cassato il decreto della Corte di appello, che aveva negato al padre di due minori di rimanere in Italia per assisterli, sostenendo che i gravi motivi che autorizzano un genitore straniero a restare sul territorio nazionale in deroga alle altre norme del TU immigrazione, non vanno individuati solo in relazione allo stato di salute del minore, dal momento che per un minore, specie se in tenerissima età, subire l’allontanamento di un genitore, con conseguente impossibilità di avere rapporti con lui e di poterlo anche soltanto vedere, costituisce un sicuro danno che può porre in serio pericolo uno sviluppo psicofisico, armonico e compiuto. La sentenza si era collocata sulla scia di una analoga decisione del 16 ottobre con la quale si era affermato il diritto di una madre irregolarmente presente in Italia a rimanere sul territorio nazionale per due anni per stare accanto al figlio, nato nel 2007, sul presupposto che, nonostante l’assistenza fosse prestata dal padre già beneficiario di analoga autorizzazione, al minore dovesse essere garantito il diritto alla bi genitorialità. Con la sentenza n. 5856 di ieri la Suprema Corte ha sconfessato il suo stesso tentativo di attribuire alla norma del testo unico un significato più ampio riguardo la tutela dell’interesse del minore ed ha bocciato il ricorso di un extracomunitario albanese, padre di due figli in età scolare e con una moglie a Milano titolare di permesso di soggiorno e in attesa della cittadinanza italiana essendo stata adottata da un signore di Busto Arsizio, che chiedeva di rimanere in Italia per stare accanto ai figli in quanto con un suo allontanamento avrebbero subito “un vero e proprio depauperamento sentimentale che andrebbe ad incidere sul loro futuro”. La I Sezione, allineandosi alla Corte d’Appello di Milano il 5 febbraio 2009, a sua volta uniformata ai precedenti della stessa Cassazione (per tutti, Sent. n. 4197 del 19 febbraio 2008 e n. 747 del 15 gennaio 2007), ha respinto il ricorso del cittadino albanese “in ragione dell’accertata insussistenza di una qualche situazione eccezionale e contingente relativa ai figli minori tale da integrare il presupposto necessario della rivendicata autorizzazione al genitore privo di permesso di soggiorno alla permanenza in territorio italiano”. Quindi, la Suprema Corte ha osservato che l’articolo 31 del testo unico immigrazione “non può essere diretto a salvaguardare la normale situazione di convivenza dei minori con il proprio genitore, essendo invece esso correlato esclusivamente alla sussistenza in situazioni particolari le quali non possono assumere carattere di normalità e stabilità collegate al ciclo scolastico”. Non ha dunque rilievo il fatto che i figli minori “si siano inseriti con profitto nella scuola e che qui abbiano intrecciato stabili amicizie”. La scuola, continua la sentenza, “non è circostanza eccezionale né transeunte poiché la scolarizzazione dei minori medesimi fino al compimento dell’istruzione obbligatoria rappresenta un’esigenza ordinaria collegata al loro normale processo educativo-formativo”. Inoltre, sull’esigenza scolastica deve prevalere la “tutela delle frontiere” poiché se così non fosse, si “finirebbe col legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l’infanzia”. Infatti, secondo i Giudici della I Sezione, “La voluntas legis, necessariamente restrittiva in ragione della natura eccezionale del dettato normativo che prevede l’autorizzazione in discorso ‘anche in deroga alle altre disposizioni di legge’ subordina la necessità di garantire al minore che il suo ordinario processo educativo, formativo o scolastico, si realizzi con l’assistenza del genitore che merita invece di essere allontanato dal territorio italiano al più generale interesse della tutela delle frontiere, che si esprime nelle esigenze di ordine pubblico che convalidano il decreto di espulsione”. Quanto alla precedente sentenza di gennaio che aveva fornito una interpretazione della norma certamente meno rigorosa, i Giudici scrivono che “la decisione affronta la tematica dell’istituto in questa segmentata prospettiva, offrendone una lettura apparentemente estensiva ma in realtà riduttiva, in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore, omettendone l’inquadramento sistematico nel complessivo impianto normativo alla cui voluntas, rimasta inesplorata, non risulta attribuita alcuna rilevanza ermeneutica benché ai sensi dell’art. 12 delle preleggi l’intenzione del legislatore funga da criterio comprimario nella ricostruzione della mens legis”. (R.M.)