«Mimmo Lucano vive di stenti. La sua condizione è incompatibile con la commissione di qualsiasi reato. E’ innocente». Con le arringhe finali degli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua è alle battute finali il processo a carico di Mimmo Lucano,

l’ex sindaco di Riace accusato di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa e abuso d’ufficio in relazione ai progetti di accoglienza ai profughi nel piccolo borgo della Locride. PUBBLICITÀ I legali del già primo cittadino hanno chiesto al collegio del tribunale di Locri l’assoluzione del proprio assistito per non aver commesso il fatto da tutti i capi d’imputazione. «Questo non è un processo politico – ha espresso l’avvocato meneghino – ma un po’ di accanimento nei confronti di Lucano c’è stato. Si tratta di un uomo che ha messo la propria vita a disposizione della società, capace di rinunciare a candidature certe, sicure al Parlamento italiano ed europeo. Ha superato quelli che erano i suoi poteri – ha concluso Pisapia – ma aveva il dovere di farlo in situazione di emergenza. Quello che ha fatto non lo ha fatto per il potere, l’ha fatto perché ci credeva ed era giusto, perché lo chiede la nostra Costituzione». A provare a smontare punto per punto i reati contestati è stato l’avvocato Andrea Daqua. «Noi non abbiamo mai parlato di processo politico – ha tuonato il legale in aula – Ci siamo attenuti al dato documentale e istruttorio, e rileviamo come il procedimento accusatorio presenti profili di anomalie che inficiano irrimediabilmente l’attendibilità del castello di accuse. Il modello Riace e l’operato di Lucano hanno avuto per anni l’apprezzamento di Ministero e Prefettura. Si è costruito un castello accusatorio sul nulla. Truffa e peculato? E’ come accusare un cadavere di omicidio. Mimmo Lucano vive in condizione di povertà, in una casa umile. Da parte sua nessun arricchimento economico né interesse personale». Daqua ha inoltre puntato il dito contro la relazione prefettizia su cui si fonda il supporto investigativo, ritenuta contrastante rispetto a quella redatta dal viceprefetto Campolo. «Quanto accaduto mina la credibilità dei funzionari Sprar e delle loro relazioni – ha evidenziato la difesa – Gli ispettori sono stati mandati a Riace con un solo obiettivo: colpire Lucano. Non esiste nessuna prova del reato di associazione». Il legale si è soffermato anche «sull’assoluta inattendibilità del teste chiave Ruga. Le sue dichiarazioni sono generiche, caratterizzate da imprecisioni e continue smentite». Lunedì il collegio giudicante entrerà in camera di consiglio. Sentenza prevista giovedì 30 settembre.